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Tolleranza zero... virgola

A chi non è mai capitato di leggere dei post inferociti o di assistere ad una discussione in cui una persona si scaglia contro quello che gli risulta essere il problema dei problemi? Sempre più spesso, anche e soprattutto in quest'era social, si ha modo di avvertire un forte disagio della gente comune verso i temi più disparati: dall'immigrazione africana, alle sentenze dei giudici, al calcio, alle malefatte dei vip, alle ruberie dei politici, ecc. Un minimo comun denominatore sembra essere il risveglio della "zero tolerance" che fu tanto cara all'ex Sindaco di New York, Rudolph Giuliani.

A dire il vero, questa forma alta di politica amministrativa ebbe come genitore la "teoria delle finestre rotte" (broken windows theory) che fu formulata dai sociologi James Quinn Wilson e George Kelling nel 1982. Il loro pensiero nasceva dall'idea che se delle persone vedono una finestra rotta che costantemente non viene sostituita o riparata si abituano all'idea che in quella casa c'è un deterioramento e disinteresse verso le cose di proprietà e che ciò stimola delle attività criminali.

Giuliani (che fu Sindaco dal 1994 al 2001) fu un assiduo assertore di tale teoria e la applicò durante tutto il periodo della sua amministrazione per "ripulire" la città, e in particolar modo Harlem, riuscendo ad ottenere spettacolari risultati. Classico esempio fu la metropolitana dove qualunque tipo di infrazione (dalla più semplice come il mancato pagamento di un biglietto fino alla distruzione di proprietà) venne severamente punito instillando nella mente dei cittadini di New York il concetto che la loro città aveva smesso di avere delle zone dove le regole non esistevano più o, meglio, che potevano essere trasgredite senza timore di pagarne pegno.

La zero tolerance sta tutta qui. Basta aggiungere alla regola la certezza della pena per chiunque decida di infrangere la Legge. Per chi pensa come sarebbe bello che ciò possa accadere anche in Italia debbo fare una ovvia premessa. Questo sistema funziona solo se si applica a tutto e tutti. Anche a chi lo propugna, per esempio. E qui, di solito, casca l'asino. Infatti, sempre più spesso, sono proprio coloro che urlano più forte degli altri perché le cose non funzionano e non si può vivere in questo modo che poi pretendono di avere una scappatoia, una corsia preferenziale, una chiusura di occhi da parte di chi è incaricato di vigilare sul rispetto delle Leggi. Tuttavia, la tolleranza zero è tale solo se zero è un numero finito, completo. Non può funzionare se a questo si aggiunge una piccola, minuscola, quasi invisibile virgola...

L'Italia e gli italiani sono maestri nell'arte dell'aggiustamento, della "contrattazione fuori contratto", del rimaneggiamento, così come del "lei non sa chi sono io". Tutto questo, in un sistema di governance fondato sulla zero tolerance non può esistere, non può avere alcuna ragion d'essere. Se si sceglie un regime autoritarista anziché una democrazia lassista, in quanto si avverte il bisogno di un maggior rigore e disciplina, occorre comprendere che si accettano anche tutte le pene e le contraddizioni che questo fatto comporta. Nessuno escluso. Nulla escluso. Ci sentiamo veramente pronti?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.194) 29 ottobre 2017 19:48

    Non si gioca >

    La cittadinanza non è né un punto di partenza né uno strumento per l’integrazione.

    Conferire lo status di cittadino ad uno straniero, anche se nato e/o cresciuto in Italia, significa “aver prima accertato” sia che sono stati acquisiti cultura, principi e valori di questo paese, sia che sussista la maturata e cosciente condivisione di norme e regole vigenti per un modello di convivenza improntato al rispetto ed alla solidarietà.


    La cittadinanza semmai è il punto di arrivo, il frutto di un percorso sviluppato e implementato negli anni. E come tale può e deve essere conferita solo con la maggiore età. Anche perché ricevere siffatto status oltre ai “diritti” implica dei sostanziali “doveri” (v. ad es. Art 52 Costituzione).


    Finale. Rischia di essere altamente mistificatorio e fuorviante, dissertare su nuove formulazioni (Jus soli o Jus culturae).

    Lo “Jus sanguinis” è il simbolo, il  retaggio storico-culturale di una realtà vissuta che accumuna e “identifica” l’intero paese.


    UNA COSA è l’attenzione ed il rispetto dovuti a dei “predestinati” futuri cittadini.

    Tutt’altra cosa è “snaturare” valore e significato di Parola e Merito

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