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Tim Marshall e gli Stati murati

Nel saggio “I muri che dividono il mondo” il giornalista inglese Tim Marshall prende in esame i muri fisici e culturali che separano alcune popolazioni umane (Garzanti, 2018, euro 19, 270 p.).

Dal 1999 sono stati eretti migliaia di chilometri: 65 paesi, “più di un terzo degli stati nazionali del mondo, hanno costruito barriere lungo i propri confini; metà di quelle erette a partire dalla seconda guerra mondiale è stata creata tra il 2000 e oggi”. Israele ha costruito una barriera difensiva veramente funzionante: è una lunga recinzione ben sorvegliata dall’esercito, che è murata solo per il tre per cento della sua lunghezza (l’analisi di Marshall delle politiche interne degli israeliani e dei palestinesi è molto approfondita ed inizia a pagina 79).

Nella maggior parte dei casi i muri hanno dei costi insostenibili e le recinzioni non funzionano senza la presenza di una sorveglianza ben organizzata. In effetti “i muri non funzionano quasi mai, ma sono potenti simboli di azione contro problemi percepiti” (Reece Jones, Università delle Hawaii, p. 49, www.twitter.com/reecejhawaii, autore di Violent Borders). Probabilmente anche Trump sa bene che non salteranno mai fuori i soldi per fare un muro improduttivo, che i messicani non pagheranno mai. Comunque “il 2016 è l’anno record per numero di morti sui confini (7200 in tutto il mondo), data l’intensificazione delle misure di sicurezza” (Jones, citato a p. 128).

In Europa non esiste solo il muro ungherese: la Slovenia ha iniziato la costruzione di un muro lungo il confine croato, “gli austriaci hanno isolato la Slovenia, la Svezia ha eretto barriere per impedire agli immigrati clandestini di entrare dalla Danimarca, mentre Estonia, Lettonia e Lituania hanno cominciato a erigere fortificazioni difensive lungo i confini con la Russia” (p. 10). A livello internazionale esistono i muri africani (ad esempio tra Marocco e il popolo Sahrawi), ed esiste un muro poco noto, “la barriera che divide il Bangladesh e l’India, nella regione di Karbook” (p. 125).

La barriera più famosa della storia è l’antica muraglia cinese, che era “una linea di demarcazione che separava la steppa dai campi coltivati, il nomadismo dall’agricoltura, e la barbarie dalla civiltà” (John King Fairbank, p. 22). Oggi i governanti cinesi sono più preoccupati delle divisioni interne e dei pericoli di rivolte locali e regionali, a causa delle differenze religiose, delle incredibili differenze di reddito e della divisione burocratica e assistenziale tra gli abitanti delle città e gli agricoltori. Infatti uno dei rari muri digitali lo ha eretto la Cina, per evitare la condizione mentale e culturale più libera che caratterizza quasi tutti i paesi del mondo. Il Grande Firewall, ha una gestione che assorbe innumerevoli dipendenti civili e militari, e viene chiamato “scudo dorato” dai cinesi.

Comunque esistono tre motivazioni principali che spingono uno Stato a proteggersi tramite una barriera. La prima motivazione riguarda “i problemi dell’identità” e delle risorse economiche, e interessa paesi come gli Stati Uniti, l’Europa e il subcontinente indiano. La seconda motivazione è rappresentata dal nazionalismo come forza che unifica all’interno e divide dall’esterno, e riguarda la Cina, il Regno Unito e molti paesi africani. La terza preoccupazione è prevalentemente di origine religiosa e politica, ed è magistralmente esemplificata dalla guerra tiepida tra Israele e Palestina.

In definitiva in passato tutti i muri venivano costruiti per difendersi dalla violenza degli altri uomini, mentre oggi si costruiscono per difendersi dalla presenza di persone di altre culture nel tentativo di proteggere l’identità nazionale. L’aumento dei muri è un segno indicativo dei problemi demografici che caratterizzeranno le relazioni internazionali nel terzo millennio. Forse la pressione demografica africana e asiatica prima o poi scatenerà grossi tumulti interni tribali anche in Europa.

 

Tim Marshall è nato nel 1959, ha fatto l’inviato di guerra, ha lavorato per BBC e Sky News. Oggi Tim dirige un sito di analisi politica internazionale: www.thewhatandthewhy.com. Nel 2017 ha pubblicato “Le dieci mappe che spiegano il mondo” (Garzanti, libro best seller). Per alcuni approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=OvJ5CDSBeUs (intervista BBC del 2018); www.youtube.com/watch?v=86OSjx6ry8E (geopolitica, identità e interesse nazionale; 2016); www.youtube.com/watch?v=tNA_YZS2qQM (LSE Events, Londra, il potere delle bandiere, 2016); www.youtube.com/watch?v=Dnn8dv6fkuU (prigionieri della geografia, Madrid, 2017).

 

Nota poetica – “Scegliete un leader che investirà in ponti, non in muri. In libri, non in armi. In moralità, non in corruzione” (https://suzykassem.com, p. 103). Però bisogna anche essere realisti: alcuni muri in alcuni casi rappresentano il male minore che ti fa superare i tempi più difficili.

Nota africana – I social media aumentano il potere degli outsider e “la tecnologia digitale destabilizza le élite di governo in tutto il mondo e accelera il ritmo del cambiamento. È probabile che ne sentiremo a lungo gli effetti” (Yascha Mounk, Popolo vs democrazia, 2018). In Africa “nelle aree in cui venne introdotta la copertura per i cellulari, i livelli di violenza politica si impennarono” (Jan Pierskalla e Florian Hollenbach, in Popolo vs democrazia di Yascha Mounk, p. 138 e p. 140).

Nota politica e religiosa – Soprattutto nei paesi musulmani vengono pubblicati pochissimi libri a causa di una barriera cognitiva religiosa invisibile e alla sua autocensura. Invece in molti paesi occidentali esiste la barriera psicologica del politicamente corretto: “Le persone possono recintare le proprie abitazioni, ma non sono graditi i recinti fatti dalle nazioni” (Amian Azzott). La scienza etologica ha dimostrato che la specie umana è molto territoriale. Anche le popolazioni nomadi hanno un territorio di riferimento, magari più o meno elastico, e hanno delle regole da rispettare nell’uso delle risorse ambientali: l’utilizzo dei pozzi e dei pascoli, e delle riserve di pesca e di caccia.

Nota islamica – “Negli ultimi mille anni sono stati tradotti in lingua araba meno libri di quelli che vengono tradotti ogni anno in lingua spagnola in Spagna. Nel 2002 l’utilizzo di Internet era limitato a un misero 0,6 per cento della popolazione” (Nader Fergany, http://arab-hdr.org, p. 120, analisi statistica dei ventidue paesi arabi nel 2002). Per fortuna nel 2016 Internet ha raggiunto il 50 per cento della popolazione araba, ma “i regimi arabi restavano spietatamente aggressivi nei confronti del dissenso, le libertà individuali erano ancora fortemente limitate, molte idee provenienti dal mondo esterno continuavano ad essere sgradite e si registravano conflitti interni in undici paesi arabi” (Arab Human Development Report dell’ONU del 2016, p. 120). Oggi purtroppo “l’islam è un sistema di vita onnicomprensivo, molti dei suoi seguaci fanno fatica a separare la religione e l’etnia dalla politica” (Marshall, p. 123). Inoltre “per diversi secoli qualunque erudito musulmano fu libero di elaborare un pensiero originale sulle questioni religiose, ma con la fine del califfato sunnita abbaside (750-1258) le porte della ijtihad [lo sforzo dell’interpretazione] vennero definitivamente chiuse” (p. 120). Forse gli unici due paesi in grado di modernizzare la cultura islamica sono l’Egitto e l’Iran (L’Iran svelato, Fabrizio Cassinelli, www.cdgweb.it/chisiamo.asp, 2016).

Nota etologica – Consiglio un paio di libri a chi volesse approfondire la faccia oscura della natura umana: “Etologia della guerra” (Irenaus Eibesfeldt, Bollati Boringhieri, 1999); “Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari” (Irenaus Eibesfeldt, Adelphi, 1996).

Nota aforistica – “L’investimento in conoscenza paga i migliori interessi” (Benjamin Franklin); Quindi tutto ciò che limita la circolazione della conoscenza e delle persone più intelligenti limita lo sviluppo economico e culturale di una nazione. Ma è anche vero che “la macchina da stampa diffuse la morte insieme alla cultura, l’instabilità e il caos insieme all’emancipazione” (Yascha Mounk, 2018, p. 131). Nei paesi civili “i politici devono conoscere la differenza tra un nemico e un avversario. Un avversario è qualcuno che vuoi battere. Un nemico è qualcuno che devi distruggere” (Michael Ignatieff, filosofo politico ed ex leader dei liberali canadesi, in Mounk 2018, p. 109). La storia è una ruota che gira e “Chi vince non può vincere per sempre” (Amian Azzott).

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