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Tfr, guai a chi risparmia

Buon ultimo, nel dibattito sul Tfr in busta paga, giunge il professor Pietro Ichino. Che tuttavia, preso dalla foga di sostenere l’idea, fa soprattutto mostra di avere scarsa dimestichezza con la materia oltre che di avere in testa concetti che rischiano di essere piuttosto pericolosi.

Tralasciamo le considerazioni storiche sul Tfr come originaria indennità di licenziamento trasformata in retribuzione differita. Ha forse senso tornare alle origini ma non appare la riforma a cui metter mano in questo momento della vita della nostra comunità nazionale. La constatazione successiva di Ichino appare piuttosto malferma e non particolarmente informata:

Il TFR obbliga i lavoratori a risparmiare, ma noi oggi per rimettere in moto la nostra economia abbiamo bisogno di ridurre la propensione delle famiglie al risparmio, di promuovere la loro propensione al consumo. E poi, se anche una persona intende risparmiare, perché vincolarla a prestare i propri risparmi al datore di lavoro? Il principio europeo della libera concorrenza nel mercato dei capitali non imporrebbe di lasciarla libera di investirli dove le pare?

Da dove iniziare? Intanto, appare piuttosto surreale l’obiettivo di “ridurre la propensione al risparmio delle famiglie”. Se le famiglie hanno aumentato la componente precauzionale di risparmio perché schiacciate dalla incertezza e dalla crisi, forse è più opportuno capire che fare per rimuovere questa incertezza, piuttosto che intimare al prossimo di consumare. Questo approccio alla realtà appare molto simile alla costruzione di una casa partendo dal tetto anziché dalle fondamenta. E quanto al “vincolo” dei propri risparmi presso il datore di lavoro e la presunta violazione del principio “europeo” della libera circolazione dei capitali (nientemeno), Ichino non si crucci e si documenti: da molti anni esiste una cosa, chiamata previdenza complementare, che consente a tutti i lavoratori di spostare liberamente la quota del Tfr su fondi pensione complementari, secondo la propria propensione al rischio ed il proprio orizzonte temporale di riferimento, cioè la distanza dalla pensione. In tal modo, anche la sacra “libera concorrenza nel mercato dei capitali” è tutelata. Magari anche questa opzione non sta bene ad Ichino, visto che in tal modo si realizza una forma di risparmio e non dell’agognato consumo, ma notoriamente nella vita occorre accettare vincoli e limitazioni.

E riguardo all’esigenza di preservare l’autofinanziamento delle imprese, soprattutto di quelle piccole e medie? Niente paura, il finanziere Ichino ha già previsto tutto:

Una soluzione c’è. Oggi l’accantonamento per il TFR rende al lavoratore circa l’1,5 per cento ogni anno. Le banche, invece, possono procurarsi denaro dalla BCE a un costo annuo molto vicino allo zero; e hanno il problema di come utilizzare tutta questa liquidità senza rischiare troppo. Si può pensare, dunque, di stabilire che l’impresa a cui il dipendente chieda il TFR in busta paga abbia diritto a un prestito di entità identica, garantito dal Fondo di Garanzia dell’Inps, senza commissioni e a un tasso di interesse inferiore rispetto al rendimento del TFR

Ma non è meraviglioso, tutto ciò? C’è solo il piccolo e trascurabile problema dei prestiti delle banche allo stato (ché di quello si tratterebbe), che come tali determinerebbero un aumento del debito pubblico, come contingent liability. Ed è anche interessante il fatto che le banche, secondo Ichino, debbano prestare allo stato italiano a tassi inferiori a quello della rivalutazione del Tfr. Abbiamo il lieve sospetto che l’Unione europea avrebbe qualcosa da obiettare, in materia.

C’è da dire che Ichino pensa proprio a tutto. Non solo a trovare modi per stimolare i consumi degli italiani; non solo a modi per promuovere la libera circolazione dei capitali in Europa; ma anche a stimolare lo sviluppo della previdenza complementare. Burro, cannoni e cannoli, in pratica. E quindi:

A me sembra che la cosa migliore sia di lasciar libera la persona che lavora di scegliere il modo di impiegare queste somme, pari al sette per cento circa del suo reddito. Magari incentivando sul piano fiscale la destinazione alla previdenza complementare. E obbligando le banche a prestare a rischio zero e a tassi molto bassi alle imprese fino alla cessazione quello che i loro dipendenti non saranno più disposti a prestare, fino alla cessazione dei rispettivi rapporti.

Abbiamo una notizia per il professor Ichino: la previdenza complementare è già incentivata fiscalmente, e non poco. Magari il problema consiste nel fatto che chi destina ad essa il Tfr compie al momento una scelta senza ritorno, oltre a non poter beneficiare del noto “stimolo ai consumi” tanto agognato da Renzi ed Ichino. Circa il passaggio in cui Ichino suggerisce di “obbligare le banche a prestare a rischio zero e tassi molto bassi alle imprese”, stendiamo un velo pietoso. Queste sono le ideuzze dei liberali di casa nostra, quando si travestono da tuttologi ed ingegneri sociali.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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