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Taliban, i più stabili nella politica afghana

Persino la rissosa galassia talebana risulta attualmente più stabile e seria dei rappresentanti ufficiali del regime afghano amato e sponsorizzato dall’Occidente. Lo si è visto palesemente stamane nel corso della cerimonia di giuramento che il candidato vincitore delle presidenziali dello scorso settembre, Ashraf Ghani, ha affrontato in solitudine. 

Unico conforto d’apparato gli è giunto dal rappresentante afghano presso gli Stati Uniti, quel Khalilzad che ha condotto per un anno e mezzo i ‘colloqui di pace’ coi turbanti, e dal comandante delle truppe Nato nel Paese, il generale Scott Miller. Volutamente è mancato all’insediamento Abdullah Abdullah, il candidato giunto secondo, che come aveva fatto nel 2014 ha decisamente contestato anche quest’elezione accusando il vincitore di brogli. Anzi, stavolta ha addirittura predisposto una propria cerimonia in contrapposizione a quella dell’avversario. Abdullah, oftalmologo tajiko con buoni agganci fra i pashtun, è da tempo un eterno secondo. Si presentò anche in alternativa a Karzai, ma poco potè contro l’agguerrito clan Popalzay. Dovette, dunque accontentarsi di incarichi di ministro degli Esteri e di premier in pectore, durante la prima amministrazione Ghani. Di fatto l’establishment nazionale, che avrebbe dovuto avviare il colloquio inter afghano proprio con la delegazione degli studenti coranici, non c’è.

Esistono due tronconi: quello di Ghani, gradito a statunitensi e presumibilmente ai loro alleati che però non risultano interpellati. E quello di Abdullah, che raccoglie il benestare di personalità e signori della guerra locali. Un quadro sconfortante per la spesa elettorale affrontata e la prosopopea di offrire comunque un’amministrazione democraticamente eletta. Ora i già scarsi risultati dei pochi votanti appaiono per l’ennesima volta inficiati dai dubbi di brogli, che reali o presunti (in genere non si riesce mai a saperlo), lasciano un’amministrazione spaccata e debolissima incapace di interloquire col soggetto politico talebano che, peraltro, rifiuta di riconoscerle qualsiasi valore. Perciò in queste ore a Kabul è andata in scena l’ennesima farsa d’un governicchio asfittico che necessita di rianimatori peggio di qualsiasi vittima debilitata del Covid-19. A maramaldeggiare sugli zombie governativi ci si è messo anche l’Isil che ha rotto ulteriormente la ‘tregua di pace’, lanciando due missili sulla postazione predisposta per Ghani. Un attentato più blando di quello di qualche giorno addietro, dove l’obiettivo pareva Abdullah e comunque l’apparato che ricordava il defunto leader hazara Mazari. Avvertimenti del clima che la capitale e l’intera nazione potrebbero riprendere a vivere, visto che le autorità ufficiali nulla possono sul fronte della sicurezza.

Enrico Campofreda

 

 

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