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 Home page > Attualità > Economia > Taglio al 5 per mille. Fare del bene non produce ricchezza

Taglio al 5 per mille. Fare del bene non produce ricchezza

Nella Finanziaria 2011 è stata ridotta del 75% quella parte del 5 per mille destinata alle organizzazioni non lucrative, passando da 400 a 100 milioni di euro. Le associazioni insorgono, il ministro Tremonti assicura che entro aprile potrebbe riportare il finanziamento di nuovo a 400 milioni.

Di fatto, è una decisione deplorevole perché stabilita senza preavviso, ma ancor più perché parliamo di un settore, in sussidio allo Stato, di per sé altamente produttivo. Ma si apre una questione etica: il volontariato è una voce positiva per il Paese? E le sue associazioni lo sono? Sotto il profilo sociale, tutto il terzo settore ha la sua utilità perché, da un lato, aiuta i bisognosi, dall’altro, impiega persone che, al contrario, si sentirebbero inutili, depresse o insoddisfatte. Ma il volontariato non è ‘bene’ in assoluto. Infatti, economicamente, distorce le dinamiche del mercato e finanziariamente lo impoverisce, perché non crea ricchezza, pur riducendo i costi del bilancio centrale.

In più, lo Stato lo considera elemento strutturale solo quando deve usarlo a proprio vantaggio, marginalizzandolo con troppa leggerezza quando ha necessità impellenti, come in questo momento, determinando shock che non fanno bene ad un ambito che dovrebbe conservare una certa serenità, lontano dallo stress contabile.

Sul piano delle associazioni, invece, il problema si complica, perché sono in aumento quelle che speculano sull’ideale di volontariato, sfruttando chi, più romanticamente, gli attribuisce un valore universale (come avviene per i santini di Padre Pio). Sempre più spesso, e lo si può verificare continuamente, associazioni no profit nascono per far ottenere ai loro fondatori tornaconti personali, a livello di immagine, di relazioni sociali, di vantaggi pecuniari extra bilancio. Lo scopo altruistico, passa in secondo piano. E lo si può notare meglio quando si vogliono avviare iniziative solidaristiche private, chiedendone solo una parziale collaborazione alle associazioni esistenti; anziché essere felici per un interesse comune, si irrobustisce il fastidio, palesato prospettando mille difficoltà, dimenticando che il fine ultimo dovrebbe essere il risultato, indipendentemente da chi lo raggiunge.

Alla fine dei conti, il settore volontaristico, così come si presenta oggi, con un’organizzazione ancora spesso amatoriale, difficilmente schematizzabile, in continua evoluzione, voce di bilancio residuale dello Stato, risulta non essere efficace. Difficile, però, diffondere questo concetto, certamente rigoroso, senza rischiare di passare per insensibili e cinici agli occhi dei più sentimentali. Ma si dovrebbe cominciare a farlo. Perché ‘economia’ non è solo compravendita di titoli azionari e fusioni aziendali, privilegio di una ridotta parte della società. Economia significa anche posti di lavoro, concorrenza, inflazione, qualità della vita. E gli effetti indiretti, o a medio termine, non sono meno invasivi degli altri. E’ necessario essere più lungimiranti ed imparare a mettere maggiormente in discussione fatti e definizioni.

Certamente il volontariato non deve scomparire, è auspicabile che i volontari aumentino. Addirittura non è troppo poetico suggerire che ognuno dovrebbe dedicare del tempo agli altri. Ma le condizioni attuali, basate sullo sfruttamento da parte sia dello Stato, sia di un numero in aumento di associazioni, ed in cui il controllo è troppo fiacco se non, in molti casi, inesistente, non ne permettono uno sviluppo sincero ed equilibrato per il benessere di tutti.

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