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Suicidio assistito: le reazioni clericali alla Sentenza

Nonostante il pressoché totale silenzio mediatico e l’assenza di un qualsivoglia dibattito politico sull’argomento durante gli ultimi undici mesi, tempo durante il quale il Parlamento avrebbe dovuto ridefinire i termini del reato di istigazione e aiuto al suicidio (Art. 580), già da una manciata di ore dalla recente sentenza della Corte costituzionale sono state numerosissime le reazioni che si sono susseguite.

Puntuali quelle tonanti dei vescovi della CEI e dei loro succubi seguaci politici. Certo, potevamo ben immaginarcelo che avrebbe suscitato le loro reazioni stizzite qualora fosse arrivata la vittoria laica tanto auspicata dai cittadini italiani dotati di buonsenso. Ci mancherebbe e sarebbe stato sorprendente essere smentiti dei nostri presentimenti dal momento che erano già intervenuti per esercitare pressione sulla Corte costituzionale stessa. Una vittoria peraltro doppiamente sentita perché non solo spingerà il Parlamento a prendere finalmente provvedimenti per colmare il vuoto normativo, ma anche perché questa vittoria è stata ottenuta grazie alla disobbedienza civile di Marco Cappato, ora scagionato dalle odiose accuse di istigazione e aiuto al suicidio. Come è noto infatti, nel febbraio 2017 fu lui ad accompagnare il DJ Fabiano Antoniani in una clinica in Svizzera a seguito di esplicita richiesta, consentendogli di congedarsi da una vita che riteneva non più vivibile a causa di atroci sofferenze.

La CEI si dice quindi “sgomenta”. Le persone che conoscono il vero valore della libertà potrebbero anche rispondere a questo loro sgomento tagliando corto con un bel “siamo alle solite” o tutt’al più con un bel “chissenefrega”. Ma il dovere di un cittadino che voglia dirsi anche laico e ragionevole è quello di tollerare le opinioni altrui, per quanto singolari, attraverso il confronto, le argomentazioni e il dibattito. Ovvero attraverso tutto ciò che finora la CEI si è ben guardata dal fare, arroccandosi per anni dietro posizioni dogmatiche, anatemi e agendo con quelle ingerenti pressioni sulle istituzioni, che chiaramente hanno l’obiettivo di negare sia il pluralismo di opinioni che il confronto. Viene dunque istintivo chiedersi perché mai la sentenza sgomenti i vescovi italiani. Ogni anno in Italia sono migliaia i malati terminali che decidono di suicidarsi, spesso in modi atroci, anche senza quell’assistenza da parte dei propri cari, famigliari o amici. Sgomenti perché? Perché finalmente la più alta istituzione giudiziaria italiana ha riconosciuto che non è punibile aiutare qualcuno che sceglie di morire perché dilaniato da dolori o da malattie terminali? Alla faccia della compassione, della pietà e della misericordia di cui tanto si riempiono la bocca nei loro sermoni domenicali, insomma. A nostro parere sgomentano forse di più coloro che antepongono le loro convinzioni e i loro dogmi religiosi sulla pretestuosa sacralità della vita, alle sofferenze altrui. Facile che Oltretevere abbiano maturato nel corso dei millenni una certa familiarità con i supplizi e con le pene corporali e tormentose, ma lo Stato laico e i cittadini che lo compongono non possono eticamente permettersi di avallare quella che si configurerebbe come una sorta di tortura di Stato, per giunta ai danni di individui già afflitti. Ancora una volta sembra che la Chiesa voglia fare la Chiesa, ma per una volta è lo Stato che ha fatto lo Stato, all’insegna di una scelta laica e decisamente umanista.

Tra le reazioni non sono mancati gli isterismi integralisti dei soliti ultrà clericali. Massimo Gandolfini ha già minacciato e chiamato a raccolta le sue family lobby no-choice e i politici clericali per “dare battaglia” in una futura discussione parlamentare. Lo segue a ruota la fondamentalista cattolica Paola Binetti, che arriva perfino a criticare la sentenza definendo “una follia” il diritto all’autodeterminazione terapeutica già sancito nella nostra Costituzione sin dal 1948 (sic!). Si è espresso sulla sentenza anche il leader leghista sbaciucchia crocifissi Matteo Salvini, il quale non ha mancato di sottolineare come secondo lui “la vita è sacra” e le istituzioni non possono concedere ai cittadini sofferenti la libertà di porre fine alla loro vita. Una sacralità della vita che a quanto pare, per lui, oscilla tanto quanto i barconi dei migranti disperati in mare che la vita l’hanno persa a causa dei suoi decreti sicurezza, visto che fino al 2017 si diceva assolutamente favorevole alla libertà di scelta in materia di fine vita. Ma la coerenza, si sa, non è mai stato il suo forte.

Tutti chiedono che venga eventualmente prevista l’obiezione di coscienza per i medici. In primis gli stessi medici cattolici, sebbene siano solo il 2% del totale quelli realmente preoccupati da questa sentenza, ma anche il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Chi si dice contrario all’inserimento dell’obiezione di coscienza in una futura ed eventuale legge che vada a colmare il vuoto normativo lasciato dalla sentenza della Consulta, lo fa giustamente con cognizione di causa, forte dell’esperienza maturata con la legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza, la cui applicazione è divenuta ormai una sopravvivenza alla giungla. Peraltro nel suicidio assistito il ruolo del medico è marginale e passivo rispetto a un ginecologo chiamato a praticare un aborto. Ad esempio in Svizzera il medico si limita alla prescrizione di un farmaco dopo aver constatato l’effettiva volontà del paziente ed è quest’ultimo a concludere l’operazione in autonomia. Il rifiuto di rispettare la volontà di chi richiede di porre fine alle proprie sofferenze secondo coscienza, in questo caso, sarebbe più equiparabile all’arroganza di far prevalere le proprie differenti opinioni sugli altri.

In conclusione, il vero effetto dirompente di questa decisione della Corte costituzionale è proprio quello di aver ravvivato il dibattito pubblico e a maggior ragione quello politico, ma con una differenza. In Parlamento ora c’è una nuova maggioranza, presumibilmente più sensibile e favorevole ad intervenire sui delicati temi del fine vita. Se si volesse farlo subito, basterebbe incardinare e calendarizzare subito una delle tante leggi presentate da tempo che giacciono ferme in qualche cassetto di qualche commissione parlamentare, nonostante le opinioni dell’89% degli italiani. Se c’è la volontà e i numeri non mancano, attendiamo solo gli sviluppi. Laicamente.

Paul Manoni

Questo articolo è stato pubblicato qui

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