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“Sovranità o Barbarie” di Thomas Fazi. Un manifesto per la Sinistra

Il prossimo 25 gennaio presso la “Sala dell’Arco” del Palazzo di Città di Potenza, l’Associazione “Potenza nostra”, con il patrocinio dell’amministrazione comunale presenterà il libro di Thomas Fazi e Bill Mitchell “ Sovranità o Barbarie” edito dalla Meltemi. 

Che il saggio dei due autori venga presentato in una città di provincia non è solo il segnale della sensibilità culturale e politica di un’associazione ma di come gli argomenti trattati magistralmente dai due autori siano ormai parte integrante del dibattito che interessa l’opinione pubblica sia nazionale che locale. La relazione che scaturisce tra la progressiva cessione di sovranità a favore di organismi tecnocratici controllati dalle oligarchie finanziarie e gli effetti che tale cessione ha prodotto in termini di arretratezza, sottosviluppo, desertificazione demografica e crescente disuguaglianza, danno la misura di quanto la questione venga sentita da settori sempre più ampi di opinione pubblica. Il saggio non è un’opera prima di Thomas Fazi. Pur essendo giovane ha già pubblicato e scritto tanto su questo argomento. Cito solo il saggio scritto a quattro Mani con Iodice dal titolo “La Battaglia contro l’Euro” per la Fazi Editore. Il saggio che verrà presentato a Potenza per molti versi si presenta in continuità con il precedente scritto. Il saggio scritto con un linguaggio semplice e accattivante, cosa alquanto rara, per scritti che trattano di analisi economica e politica è di facile lettura anche per profani dell’economia. La trama del saggio si sviluppa lungo l’arco degli ultimi decenni trovando nel Trattato di Maastricht la chiave di volta per comprendere gli eventi che si sono succeduti fino ai giorni nostri che vede termini come: spread, vincoli di bilancio, austerità espansiva, deficit,debito, vincolo esterno, pareggio di bilancio, entrare a far parte del linguaggio quotidiano. L’analisi del saggio parte focalizzando l’attenzione sull’ascesa e il declino della teoria di J.M. Keynes. Solo per inciso Keynes non era un rivoluzionario comunista, era un liberale politicamente impegnato in politica con il partito liberale britannico. Questo semplice dato la dice lunga sulla complessità della cultura economica e politica liberale. Keynes elabora il suo pensiero alla ricerca della soluzione alla crisi economica passata alla storia come Grande Depressione del lontano 1929. I tentativi messi in campo dalle politiche economiche dell’epoca ispirate anche allora dal pensiero liberale legato a J. Say e alla sua legge dell’offerta che presupponeva politiche di riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale, allora come oggi non produssero nulla. La fuoriuscita dalla crisi negli Usa avvenne grazie al New Deal di Roosvelt, a sua insaputa keynesiano, in altri Paesi come la Germania la fuori uscita dalla grande crisi economica anche in questo Paese avvenne con politiche economiche inconsapevolmente keynesiane. In entrambi i casi la spesa pubblica supplì alle inefficienze del mercato. Ci volle la seconda guerra mondiale con il carico di devastazione umana e materiale per convincere i governi post conflitto ad abbandonare il credo liberale tradizionale per abbracciare le indicazione che venivano da lord Keynes. L’adozione da parte dei governi occidentali di politiche economiche ispirate al pensiero keynesiano inaugurò la fase storica che i francesi hanno definito dei “trenta glourious”. Crescite economica, piena occupazione, crescente uguaglianza sociale, allargamento della middle class e consolidamento della Democrazia che da Liberale diventa Sociale furono i risultati. Il modello delle politiche economiche diventa come scrive Fazi il New Deal << Il New Deal confermò l’intuizione fondamentale d Keynes: ossia che la maggior parte delle crisi del capitalismo ha origini finanziarie –la dinamica classica è quella di una bolla speculativa che a un certo punto scoppia, privando l’economia di una delle sue risorse principali: la liquidità – e dunque può essere risolta, anche abbastanza rapidamente, attraverso la mobilitazione di risorse finanziarie pubbliche, per loro natura inesauribili>> da qui gli effetti benefici della spesa pubblica in deficit che Fazi nel corso dello scritto spiega in modo chiaro ed esaustivo. Per l’autore, ed è questo un passaggio fondamentale per comprendere l’oggi, la crisi attuale non inizia nel 2007 – 2008 con il fallimento simbolico della banca d’affari Lehman & Brothers ma molto prima. La crisi inizia con il declino del modello keynesiano a partire dagli anni 70. E’ la crisi petrolifera, la fine degli accordi di Bretton Woods, la crisi fiscale dello stato per dirla con O’Connor. Scrive Fazi << In sostanza, le classi politiche dell’epoca, vista la situazione, si trovarono di fronte a un bivio: rischiare di alimentare il disordine accomodando le rivendicazioni dei movimenti operai e sociali, o restringere i diritti sociali attraverso ”una graduale riduzione del ruolo biopolitico dei governi”, e una conseguente trasformazione degli apparati pubblici da mediatori del conflitto di classe a “disciplinatori” delle classi subalterne>> . Se il capitalismo avesse optato per la prima soluzione si sarebbe dovuto caricare dei costi per realizzare un tale progetto riducendo i profitti. La reazione del capitale fu quella che descrive molto bene Davide Harvey in “Breve storia del capitalismo” e cioè il colpo di stato in Cile l’11 settembre del 1973. La soluzione adottata fu quella indicata dal Rapporto della Trilaterale curato da Crozier, Brenzinsky, Huntington. Le soluzioni avanzate in chiave liberale alla Grande crisi del 29 oltre a quella di Keynes, ma di diverso segno, furono diverse. Nel 1938 a Parigi ad opera di Walter Lippman si tenne un convegno che vide la partecipazione di diversi economisti di segno diverso rispetto a quello di Keynes. Tra i partecipanti al convegno vi era Freidrich von Hayeck che a partire dagli anni 60 e 70 insieme a Milton Friredaman sono diventati gli ispiratori del modello neoliberale egemone.  Il declino del modello keynesiano viene assecondato dalle sinistre avendo proprio sulle sinistre un effetto devastante. Scrive Fazi << Il problema è che nel corso degli anni Settanta buona parte delle sinistra socialdemocratica e socialista/comunista occidentale (ed europea in particolare) o non capì ciò che stava avvenendo – (…) o non ebbe il coraggio di mettere seriamente in discussione i “fondamentali” del sistema e in particolare il problema del vincolo esterno>> I molti economisti di sinistra non ebbero la capacità di dare una risposta alla stagflazione degli anni 70 che produceva un “gioco a somma zero” come scriveva Thurow. La soluzione, complice l’errata interpretazione data da O’Connor con la sua “Crisi fiscale dello Stato”, fu che anche a sinistra si pensò che la fuoriuscita dalla crisi dipendesse da politiche di riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale. In Italia il PCI guidato da Enrico Berlinguer fa dell’Austerità la bandiera di legittimazione politica verso il capitalismo per l’ascesa al governo cosa che avverrà solo negli anni 90 dopo il crollo del Comunismo e lo scioglimento del PCI ad opera di un gruppo dirigente nato e cresciuto all’ombra di Berlinguer e all’insegna dell’austerità. A partire da quegli anni in Italia come nel resto dell’Europa la Sinistra al governo, al pari della destra << è intervenuta attivamente a governare il processo di transizione al neoliberismo. (…) la sinistra ha giocato un ruolo di spicco tanto nella gestione di quel processo quanto nella sua legittimazione ideologica (…)>>. Possiamo dire che la Terza via blairiana, che influenzerà il resto dei partiti socialisti e socialdemocratici occidentali, ha inizio proprio in Italia con il “Compromesso storico “ e il governo di Solidarietà nazionale teorizzati da Berlinguer ed esaurita la spinta del PCI proseguirà secondo altre modalità negli anni 80 con i governi di Pentapartito a guida PSI. Non a caso Giuliano Amato guiderà il governo che per primo inciderà profondamente nel nostro sistema economico e sociale in senso neoliberale. Come evidenzia Fazi nel suo saggio un passaggio chiave nella destrutturazione del modello keynesiano nazionale è dato dal divorzio della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro. Artefici : Ciampi, Draghi, Andreatta. Le classi dirigenti italiane dell’epoca vedono nel “vincolo esterno” ossia nel vincolare la politica economica e finanziaria dei governi italiani ad accordi internazionali come lo SME e più tardi il Trattato di Maastricht la soluzione per la fuoriuscita dalla crisi. La trasformazione in senso neoliberista del nostro Paese avviene con massicce dosi di privatizzazione che portano allo smantellamento dell’industria pubblica e dello stesso settore Bancario. Come ricorda Fazi già allora ad alcuni come al giurista Giuseppe Guarino appariva chiaro che un tale processo avrebbe avuto effetti deleteri sul nostro sistema economico e sociale. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: impoverimento di fasce sempre più ampie di società, crescita del divario tra nord e sud, smantellamento del welfare, ed altro ancora. Di fronte a questi dati è del tutto evidente che le classi sociali subalterne, sulle quali sono stati scaricati i costi della ristrutturazione in senso neoliberista del sistema economico e sociale, hanno reagito attribuendo alla sinistra e nello specifico al PD, erede diretto dei partiti della sinistra storica italiana, la responsabilità della crisi nella quale versano. Qui arriviamo al titolo del saggio “ Sovranità o barbarie. Il Ritorno della questione nazionale”. Fazi nel suo saggio propone una fuori uscita dalla crisi che è economica e sociale ma anche crisi della Sinistra. La risposta che da Fazi è in primo luogo alle Sinistre anti sovraniste. Su questo tema, fatemi passare la definizione, in punta di diritto citando testi sacri del pensiero marxista, da Marx, a Lenin fino a Gramsci o i recenti scritti di Preterossi e Galli, smonta le argomentazioni della sinistra anti sovranista dimostrando che <<In mancanza di reali meccanismi di rappresentazione sovranazionale – la cui costruzione futura non è realisticamente ipotizzabile né auspicabile, come visto -, lo Stato nazionale rimane l’unica cornice istituzionale all’interno della quale le masse possono ottenere una reale rappresentanza politica, alterare rapporti di forza in proprio favore e stringere rapporti di pacifica cooperazione con i popoli di altre nazioni, ossia praticare l’internazionalismo>> che è altra cosa dalla globalizzazione che riduce il governo alla governace di organismi tecnocratici e di agenzie svincolate da qualsiasi controllo democratico. Sovranità o barbarie è l’alternativa tra Democrazia e l’homo homini lupus rappresentato dalla lotta senza quartiere propria del mercato. Il saggio di Thomas Fazi e William Mitchell si inserisce nell’ampio dibattito che progressivamente sta attraversando la Sinistra e che trova eco nel movimento Aufstehen di Sahra Wagenknech. Possiamo considerare il saggio di Fazi come un vero e proprio manifesto di un nuovo corso politico della Sinistra che con fatica sta riconquistando una propria autonomia culturale dopo anni di subordinazione al pensiero unico neoliberale. 

 

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