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“Sono malato e rischio di morire in carcere”. Ma le procure non intervengono

Pubblico il testo di una breve lettera che un uomo, detenuto a Torino, mi ha fatto pervenire.

Il testo è breve, ma dice due cose fondamentali:

Sto rischiando di morire.

Le Procure non rispondono.

Che legga questo appello, o che pensi alla fatica che facciamo con Rachid, per farci ascoltare dalle procure, l’impressione che ho è sempre quella di una grande distanza tra la persona che ha bisogno e le istituzioni.

Ma appena un attimo prima che questa impressione, diventi certezza, mi piomba addosso una notizia di questi giorni e tutto mi si confonde.

Una donna di 40 anni, di Latina, rinviata a giudizio perché denunciata dal marito per maltrattamenti: non pulisce e non cucina.

Non che voglia infilarmi nel coro di chi “sfotte” una simile decisione. Per quanto mi riguarda, le motivazioni dell’uomo possono essere legittime e richiedere l’intervento della Giustizia.

Ma forse, e a maggior ragione, la Giustizia dovrebbe rispondere all’appello di un uomo di 68 anni, chiuso in carcere da malato, che teme per la sua vita e chiede aiuto allo Stato.

Come mi è stato chiesto, ho inoltrato la stessa lettera a l’ “Avvenire”, a “Repubblica” e, per mia iniziativa, alla garante dei detenuti di Torino.

Non so se quest’uomo abbia o meno una famiglia. E se ce l’ha, non so se possiede le forze, morali ed economiche, per fare qualcosa.

Quindi lancio questo appello, attraverso l’unico mezzo a mia disposizione.

Se qualcuno ritiene di poter fare qualcosa, questi sono i riferimenti:

Leone Attilio, nato il 6 Giugno 1948 e attualmente detenuto presso la casa circondariale di Torino.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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