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Solo la lotta paga. Un commento a partire dalla vittoria degli operai Fermet

L'ennesimo tentativo di lotta per il mantenimento del posto di lavoro si è concluso da poche ore: l'operaio Fermet che l'altro ieri notte era salito su un silo della fabbrica per protestare contro il mancato pagamento della cassa integrazione ha deciso di scendere per incontrare i sindaci di Massa e di Carrara che garantiranno un nuovo posto di lavoro a lui e ai 5 operai della sua cooperativa.

Se da una parte il risultato finale è positivo perché ciò sta a significare che, come recitava lo striscione appeso ai cancelli della fabbrica, “la lotta paga”, dall'altra parte dobbiamo fare anche altre considerazioni.
 Per prima cosa vediamo come le varie amministrazioni comunali siano pronte a promettere maria montesque quando le lotte sono embrionali e dettate per la gran parte dalla disperazione individuale, mentre sono pronte a condannare e a reprimere quando queste sono organizzate e strutturate, in quanto maggiormente minacciose a livello di conflitto sociale. Con questo non vogliamo assolutamente sminuire il gesto di Adamo, ma risulta palese il fatto che al sindaco di turno interessi di più ammiccare alle telecamere che riprendono il gesto eclatante piuttosto che risolvere veramente i problemi legati al mondo del lavoro.

Stupisce anche la completa assenza di quella “sinistra” istituzionale che durante la campagna elettorale si erge a paladina del lavoro e si dichiara acerrima nemica della disoccupazione ma che poi risulta invisibile quando qualcuno il lavoro rischia di perderlo davvero. Forse “sporcarsi le mani” nelle lotte non giova al mantenimento della poltrona in Consiglio comunale o forse anche in questo caso si tratta più di parlare e apparire che di fare fatti concreti.


Quello che abbiamo colto di buono oggi è invece la determinazione dei lavoratori a non arrendersi ai soprusi dei propri padroni o dell'azienda (l'amministratore dello stabilimento in questione non paga la cassa integrazione ma gira in Ferrari) e a cercare forme di lotta che però, ripetiamo, non devono essere isolate ed individuali ma collettive.

Ad oggi nella città di Massa ci sono varie fabbriche che rischiano la chiusura o il fallimento ed è assurdo come le istituzioni, intervenendo tempestivamente con false promesse, riescano a impedire che varie esperienze di lotta comunichino tra di loro.

Ma il nostro compito è proprio questo, indirizzare le proteste individuali verso una lotta collettiva e organizzata, facendo in modo che i lavoratori superino la timidezza dei sindacati e antepongano la rabbia alla disperazione.

Perché solo con la coscienza di far parte della classe riusciremo, forse, a disarcionare l'imperatore.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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