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Soldi alla gente invece che al calcio: W gli Indignados brasiliani

L'Italia ha perso. Atmosfera blindata, esercito per garantire una partita di pallone, scene purtroppo già viste, un po' dappertutto, anche altrove. Il Brasile, una delle potenze mondiali emergenti degli ultimi decenni, è in fermento da diverso tempo. Ormai le cose sono degenerate in tumulto aperto in diverse città, specie le più popolose.

E' un ulteriore piccolo rialzo del prezzo (l'ennesimo) del biglietto dei mezzi pubblici la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dei 165 milioni di abitanti, di cui oltre il 55% di origine europea, per una superficie di 8,5 milioni di kmq, ben il 79% abita i grandi centri urbani, e ben 18 milioni (il 12% della popolazione totale) le favelas che intorno a questi si estendono. Sono le stesse che si ritrovano a circondare le città degli altri Paesi dell'America Latina, sono come quelle dell'Argentina, dove proprio in esse esercitava sino a pochissimo tempo fa il suo ministero il Card. Bergoglio, attuale Pontefice.

Realtà suburbane dove acqua, fognature e corrente elettrica sono il lusso eccezionale di pochissimi. Sanità ed istruzione, dove esistono, sono lasciate alle istituzioni caritative della Chiesa o di laici. Grande benessere ed estrema indigenza vengono così a ritrovarsi pressocché nella stessa area geografica facendo ancor più risaltare l'abissalità degli squilibri economico sociali del Paese.

Maxi investimenti economici per nuovi super stadi e strutture sportive sono più che un pugno nell'occhio nei confronti di chi, costretto in una baracca, manca di tutto, ormai anche del biglietto, divenuto troppo caro, per andare a lavorare in centro. La divinità pagana di tutto il mondo contemporaneo, e gli investimenti in suo sostegno, sono così divenuti oggetto su cui il malcontento ha trovato sfogo. Il pallone è stato difeso, e non poteva essere altrimenti dal presidente della FIFA, e con la forza (invio dell'esercito appunto) dal Presidente del Brasile.

Il suo eroe più grande, Pelé, è stato titubante, prima con la FIFA, poi con la gente, gli altri eroi invece con la gente da subito. L'azione degli Indignados però continua (per fortuna) e questa, come altre volte, è più che condivisibile, così come è più che necessario che investimenti milionari siano diretti al sanamento di situazioni di estrema indigenza quali quelle delle favelas del tutto incompatibili con la realtà di una nuova potenza economica quale il Brasile oramai è.

Non è possibile che la sperequazione continui ad essere tale da mantenere il 12% della popolazione in alloggi di fortuna, se così si può definirli, senz'acqua, fognature, elettricità, senza sanità né istruzione. Né è possibile che istituzioni ludiche che di ludico hanno ormai perso tutto a vantaggio di una speculazione che riguarda i profitti di una minoranza sempre più esigua e ricca. Sarebbe finalmente ora che la presa di coscienza degli Indignados brasiliani varcasse con forza i confini brasiliani e si estendesse proprio per quanto concerne il calcio a tutti gli altri Paesi e non solo latinoamericani. Recenti vicissitudini mostrano come sarebbe salutare anche in Europa ed in Italia il dirottamento di fondi ludici verso il sostegno del disagio sociale.

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.164) 24 giugno 2013 16:04

    ... il dirottamento di fondi ludici, la ludopatia...

    incominciamo ad usare le parole giuste e a non farci fregare da quelle sbagliate:
    il  "ludo" dovrebbe essere quella cosa meravigliosa che è il gioco. Ma i calciatori professionisti non "giocano": lavorano, quelli che li guardano non sono "sportivi" ma sono tifosi, come quei fondi che non sono ludici ma fondi tifosi, quelli che si fanno fregare i soldi dalla macchinette e dalle sale giochi non soffrono di ludopatia ma soffrono di azzardopatia e arricchiscono chi specula sul loro malessere sulla loro dabbenaggine.

    Chiamare ludici quei lavori sporchi, quegli sfruttamenti e quei malesseri, significa sostenerli.

    GeriSteve

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