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Siamo tutti greci

di Francesco Gesualdi

Dopo avere creduto, per ben cinque anni, che l’austerità è la strada per uscire dal debito, il popolo greco ha capito che è solo un modo per rapinarlo ed imporgli le catene del neoliberismo. Per questo ha detto basta affidando il governo ad Alexis Tsipras.

La battaglia che il popolo greco si appresta a combattere sarà molta dura. E non tanto per le cifre in gioco, quanto per le sfide politiche che le loro rivendicazioni racchiudono. La Grecia non vuole uscire dall’euro, tanto meno dall’Europa. Vuole restarci, ma la pretende diversa. Non più sottomessa agli interessi di banche, brokers e cartelli industriali, in un parola dell’1% della società, ma organizzata per fare trionfare i diritti dell’altro 99%: bambini, genitori, lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti. Un’Europa non più dominata dalla logica del “vinca il più forte” di matrice mercantilista, ma dal principio “che tutti possano vivere” di ispirazione solidaristica. Il trionfo dei diritti e dei beni comuni contro l’individualismo mercantilista: questa è la vera sfida posta da Tsipras.

L’Europa, è inutile negarcelo, nasce per rispondere alle esigenze di crescita delle imprese del dopoguerra. Troppo grandi per rimanere compresse nei confini nazionali, troppo piccole per affrontare il mare aperto della globalizzazione, la soluzione individuata fu un mercato comune di tipo continentale. E dopo avere abbattuto le dogane, avere uniformato le regole di produzione e commercio, avere eliminato ogni ostacolo alla libera circolazione di capitali, è stata adottata la moneta unica come ulteriore passaggio verso l’integrazione totale. La loro integrazione, però, non la nostra. L’integrazione di un’Europa concepita come una grande arena nella quale le imprese possano fronteggiarsi fra loro per portarsi via quote di mercato come fossero giocatori di rugby. Ed ecco l’adozione dell’euro senza l’introduzione di nessuna misura che cercasse di compensare le differenze di forza fra i giocatori. A suo tempo abbiamo taciuto, forse pensando che noi potessimo avere la meglio sugli altri, ma oggi che ci stiamo rendendo conto di essere dalla parte dei perdenti solleviamo le nostre grida contro l’euro.

Ma il problema non è la moneta. Il problema è la visione politica. Potremo anche avere la nostra moneta nazionale, ma se continuiamo a concepire la società in termini di profitto, mercato, concorrenza, avremo solo esacerbato gli individualismi nazionali e i conflitti di sopraffazione. Invece dobbiamo fare l’operazione inversa: dobbiamo sconfiggere la logica di sopraffazione pretendendo che cambi la gestione dell’euro, la gestione del debito, la gestione della Banca Europea.

Se Merkel e Schauble dicono no alle richieste di Tsipras non è perché siano intimoriti per le perdite economiche che la Germania può subire. Dicono no perché si rendono conto che quelle richieste mettono in discussione i fondamenti concettuali su cui è costruito il sistema che hanno servito per tutta la vita e che, per una ragione o l’altra, si sentono investiti di continuare a servire e difendere. Non è la perdita di dieci o cinquanta miliardi che li preoccupa, ma la paura di perdere la gente. Se passano le richieste di Tsipras, la gente può convincersi che altri modi di gestire i rapporti economici sono possibili, più convenienti e sicuri. La paura che la gente si svegli e cambi direzione di marcia: questa è la vera prospettiva che più li terrorizza.

Le forze di mercato metteranno in atto tutti i mezzi a loro disposizione per fare naufragare il progetto di Syriza. Ordineranno alla Banca centrale europea di non comprare i titoli greci e di negare ogni aiuto alle banche greche messe in difficoltà dalla fuga di capitali. Si inventeranno altre sanzioni per colpirla anche sul piano commerciale. Ma ricordiamoci che se perde la Grecia perdiamo tutti noi. Non solo perché anche noi saremo condannati all’austerità perpetua, al neoliberismo crescente e a una gestione dell’euro che ci porterà ad una perdita costante di diritti e salari. Ma anche perché ci condanneremo a ritardare di qualche secolo l’avvento della civiltà. E allora evitiamo di starcene alla finestra per vedere cosa succede. Scendiamo a fianco del popolo greco per imprimere un diverso corso alla storia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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