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"Siamo in guerra". Avanti, c’è posto.

“Siamo in guerra”. Bravi. Ma fatela voi. Temo che l’accelerazione della conoscenza abbia fatto passi troppo lunghi affinché qualcuno possa concepire, anche lontanamente, il rischio di perdere il proprio agio, le proprie comodità, una vita anche “minima” per poter indossare gli stivali e sparare qualche colpo a casaccio in parti del mondo lontane. I “valori dell’Occidente” sono in pericolo? Ma quali? Prima di combattere un ipotetico nemico devo anzitutto conoscere me stesso.

Hanno esultato per 25 anni, quando finalmente un mondo ha vinto sull’altro. Viva la libertà. Viva il libero mercato. Sono crollate le ideologie. Che bello. Forse invece è stato proprio quello l’inizio della fine. La verità è che le ideologie non sono affatto crollate. Ho l’impressione, se non la certezza, che è stata un’ideologia ad aver vinto sulle altre, spazzando via la creazione di un vero pensiero libero, creativo e alternativo. La guerra c’è sempre stata. In contesti lontani dal divano di casa, dalla partita di pallone, dal mercatino di Natale. Ed è la guerra per l’appropriazione delle risorse naturali su cui si regge questo mondo. Quell’occidente i cui cosiddetti “valori” oggi vengono messi in discussione, se non in pericolo.

La finta rappresentazione/illusione comincia da bambini. A scuola ci veniva mostrata l’Africa come un indistinto continente nero. Africa nera, deserto del Sahara, e poi quel Sudafrica dove stranamente qualcuno era bianco e per alcuni anni ha soggiogato l’altra parte, quella nera, sotto il proprio dominio. I tempi della scuola non sono adatti alla complessità del mondo. Si sa. E per questo non ti dicevano quello che qualche articolo di giornale in questi giorni sta tentando di mettere alla luce. La guerra in Congo per il “coltan, che, citando un articolo di Repubblica è: “Una sabbia nera, leggermente radioattiva, formata dai minerali colombite e tantalite, da cui si estrae il tantalio, metallo raro che viene usato, sotto forma di polvere metallica, nell’industria della telefonia mobile, nella componentistica dei computer e in quella degli aerei, poiché aumenta la potenza degli apparecchi riducendone il consumo di energia. È lo sviluppo della news economy, quindi, delle telecomunicazioni, dell’elettronica di punta e della telefonia mobile, a rendere così indispensabile questa materia, di cui l’80% delle risorse mondiali viene estratta in Congo”. 

Insomma persino il telefonino che usiamo tutti i giorni potrebbe essere il frutto di una guerra. Per non parlare delle condizioni dei lavoratori cinesi della Apple, di cui un articolo di soli 3 anni fa, ha messo in luce lo stato di schiavitù che ha portato a diversi suicidi

E per non fare sempre la figura degli “esterofili” come si potrebbe non citare il dramma della “terra dei fuochi”. Interi territori sottoposti a scarto di produzioni industriali e che hanno costretto le vite di chi ci abitava e ci abita, ad essere vite di scarto. Per non parlare delle vite di scarto di chi vede crescere tumori al posto di piante, alberi o ortaggi, nel quartiere Tamburi di Taranto. E loro non sono in guerra? Cosa cambia? Il nome? Il cognome? Il fatto che un signore al telegiornale ti deve dire “guarda da oggi sei in guerra, ma ieri no?”.

E come li giustifichiamo i morti di camorra, di mafia e di ndrangheta? La loro è una guerra che continua da decenni. Eppure sono tutte guerre che si combattono dentro (o per conto come nel caso del Congo o dei lavoratori cinesi Apple) del mondo cosiddetto “civile” occidentale, libero e libertario. 

Per questo quando sento parole come “i nostri valori sono in gioco”, da parte dei nostri governanti temo che la stragrande maggioranza della popolazione si senta presa per i fondelli. I valori di cui ideologicamente sono sostenitori sono in caduta libera. Ci fanno credere a crescite miracolose dell’economia, quando parliamo di zero, virgola zero qualcosa. Ci fanno credere ad una ripresa sensazionale dell’occupazione quando si è solo cambiata una legge che consente di licenziare in maniera più “dinamica”. Ci si sente al sicuro quando si è disoccupati? Ci si sente al sicuro quando non si può progettare il proprio futuro? Ci si sente al sicuro quando le cose che mangi sono il frutto di una terra malata e avvelenata? Ormai è il re è nudo. E’ finito il tempo della concessione di “libertà” e sicurezza in cambio del fatto che ti dono otto ore al giorno della mia vita per sentirmi partecipe di un ingranaggio più grande di me e che non capisco.

La cosa buffa è che sono stati loro, i giocolieri della finanza e dell’economia libera, a svelare gli inganni e i trucchi del sistema. Probabilmente un Occidente forte, benestante, e pasciuto (come lo era sicuramente di più nel 2001), avrebbe acriticamente accettato l’ennesima buffonata della guerra di “valori”. La povertà, la precarietà, l’instabilità, ha aperto gli occhi a molti. Alla luce dei fatti di Parigi il fatto che la maggioranza dei sondaggi italiani abbia testato la contrarietà ad un’azione militare è un bene. Ma ciò non vuol dire necessariamente che si è più informati. Forse si è più ipocriti, semplicemente. Magari tutti dentro sono guerrafondai, pochi sono disposti realmente a morire. E così mentre dall’altra parte hai il “fuoco” vivo dei martiri, di qua hai il sonno del disincanto e della sfiducia. Una “mollezza” che di sicuro non rinfocolerà Giuliano Ferrara o qualcuno della Lega che cita Oriana Fallaci senza aver mai letto un suo libro.

Quando la tua ideologia è di per sè “escludente”, ossia produce beni materiali che per la maggior parte di noi non sono nemmeno consumabili. Quando cioè “periferizzi” e marginalizzi la vita che non si adegua al tuo modello insensato e ipocrita di sviluppo, non puoi più chiedere in cambio la vita in nome di qualcosa in cui nemmeno tu credi. E allora che fare? Puoi andare in Siria brandendo la croce e la Bibbia? Ma chi ci crede? La via maestra potrebbe essere quella di ammettere la propria sconfitta all’interno dell’Occidente e di dire la verità. Ossia il modello “produzione-consumo” è una pura illusione. Lottate per qualcosa di diverso dalla conquista dello stipendio a fine mese per comprare lo smartphone per la cui produzione ci si scanna in Congo. Chissà, forse cominciando ora, fra qualche decennio si potrebbe trovare qualche nostro soldato disposto a combattere “in nome dell’Occidente”. Per ora in pochi ci credono.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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