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Sessualità e religione: il cattolico tra fede, necessità biologiche e società.

Osservando quella che è la dimensione sessuale di un individuo, verifichiamo con facilità che la sua azione influenza varie aree dei suoi comportamenti e dei suoi atteggiamenti, così come da essi è influenzata e diretta.

Insieme ad altri fattori, la religione si pone come un punto di riferimento importante, a livello conscio o anche subliminale, nel proporre un codice morale di condotta e nel “consigliare” norme sessuali.

Il grado in cui ogni individuo incorpora la dottrina religiosa nella propria vita sessuale è una scelta personale ed individualizzata, che va però attentamente considerata come fattore capace di orientare fortemente le scelte della persona.
La sessualità, discussa nei testi religiosi e nei vari libri sacri, è stata nel corso degli anni per molte credenze e culture, associata ad una varietà enorme di significati, tra cui: una tentazione, un dono, il peccato, l’unione spirituale o un semplice mezzo di procreazione.

Ci sono religioni che vietano il sesso extraconiugale ma hanno una visione libera del piacere. I giapponesi shintoisti, ad esempio, nelle chiese espongono grandi dipinti di peni e vagine iperrealistici. Addirittura, una delle loro festività religiose principali è la KANAMARA MATZURI, letteralmente “festa del pene di ferro” in cui il pene è rivestito di significati propiziatori e portafortuna, esibito così in grandi statue e illustrazioni, oggettistica e cibarie varie.
Anche gli induisti, gli ebraici e i musulmani, nonostante risultino poco permissivi sui rapporti extraconiugali, continuano a considerare il Kamasutra come un’opera lecita.

L’ultimo studio riguardo al legame tra religione e sessualità (Hall et al., 2020) ha elaborato i dati di 6068 studenti universitari mostrando risultati che, sebbene in linea con risultati di studi precedenti e con ciò che ci aspettavamo dagli stessi, forniscono uno spunto per svariate riflessioni. In linea generale, la dichiarazione di un’appartenenza religiosa, e ancor di più di un’elevata frequenza ai riti stessi, risulta associato ad atteggiamenti e comportamenti più conservatori. Inoltre, gli studenti con punteggi alti in termini di religiosità risultano disapprovare maggiormente la pratica del divorzio (anche quando sostenuta da una mancanza di amore o da un tradimento), i rapporti sessuali prematrimoniali e la possibilità di essere gay.

I modelli di associazione e influenza sugli atteggiamenti sessuali sono risultati sostanzialmente simili per uomini e donne. Tuttavia, risulta comunque ancora una doppia morale per quanto riguarda i comportamenti sessuali prematrimoniali e le pratiche omosessuali.
I dati americani mostrano quindi un legame diretto e unidirezionale tra quella che è la religiosità (intesa come appartenenza ad una qualsiasi religione) e gli atteggiamenti di un individuo verso la sfera sessuale.
Risulta però necessaria un’ulteriore analisi per quanto riguarda il contesto italiano. Infatti, nonostante la nostra Costituzione stabilisca l’indipendenza rispetto alla Chiesa, la religione cristiana cattolica risulta quella di maggior diffusione: gli ultimi rilevamenti statistici a riguardo effettuati da IPSOS nel novembre 2017 mostrano come circa 45 milioni di persone si dichiari aderente al cattolicesimo (il 74,4% degli italiani).

Come affronta quindi oggi il fedele cattolico italiano quello che è lo sviluppo della sua sessualità? Il legame è davvero così diretto come mostrano gli studi americani?
Possiamo davvero pensare che i soli fattori etico-morali legati ad un’appartenenza religiosa riescano a slegare il soggetto da tutta l’importanza che la sfera sessuale di un individuo riveste nella società odierna e da quelle che sono normali necessità biologico/emotive? In che modo viene quindi vissuto questo dualismo e quanto le pressioni sociali di una cultura che, seppur anch’essa fortemente influenzata da concezioni moralizzanti, assume una sempre maggior spinta verso la liberalizzazione sessuale, vanno ad incidere su quella che è una scelta etico-morale?

Da un lato, il fedele si trova legato moralmente, ed appunto, fedelmente, a quello che è il Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo il quale la sessualità risulta una parte intrinseca alla vocazione al matrimonio (valido, per la religione, solo se “consumato) con unica finalità


procreativa e con la condanna di tutti quei comportamenti che hanno come scopo o come mezzo di impedire la stessa, come la masturbazione. l’uso della pornografia, la prostituzione, la contraccezione o i rapporti omosessuali.
Infatti, fin dalla prima scena biblica, l’esordio sessuale è stato descritto in termini di peccato, sottoponendo inevitabilmente quindi gli adepti ad una visione della stessa con conseguente sentimento di colpa e vergogna.

Nel vecchio testamento, inoltre, la sessualità attuata a fini non procreativi risulta punita terribilmente. Basti ricordare la vicenda di Onan, che, dopo aver sposato la moglie del defunto fratello, ricorse ad un metodo anticoncezionale (il coitus interruptus), attirando così a sé l’ira di Dio e facendo così derivare da questo episodio il termine onanismo, spesso usato impropriamente anche come sinonimo di masturbazione, ma che in realtà consiste, in teologia morale, nel peccato diretto ad impedire la generazione della prole mediante pratiche anticoncezionali.

Dall’altro, inevitabilmente, il soggetto si troverà inserito all’interno di una cultura che iper-investe l’atto sessuale non solo di tutti quei vissuti che dovrebbe implicare ma anche collegandola ai concetti di performance e prestazione. Da ciò ne deriva spesso da parte del fedele un’idealizzazione, un’ulteriore attribuzione di significato, di quella che è la sessualità, con ovvio e conseguente senso di colpa.
Se da un lato quindi certamente il fedele si trova a dimenarsi tra questi due poli, all’apparenza opposti, dall’altro è importante ricordare che proprio la Chiesa ci ricorda che “bisogna essere intransigenti sui principi e laschi nella pratica, per non rischiare intolleranti nella pratica e laschi nei principi”.

Infatti nella realtà vediamo che, nonostante il sesto comandamento reciti “non commettere atti impuri”, nella pratica, anche all’interno del vissuto soggettivo del cattolico sia possibile riscontrare una certa permissività. D’altronde, al fine di essere funzionale ai suoi fedeli, la Chiesa è necessariamente dovuta scendere a patti con la concretezza dell’esperienza, scontrandosi quindi con quelle che sono le caratteristiche della cultura e della società in cui essa è inserita.

A tutto questo però si aggiunge un altro concetto importante, che all’interno della religione cattolica (e di conseguenza anche nella nostra cultura odierna) riveste un pilastro fondamentale, ossia quello dell’astensione come virtù. L’olocausto inteso come “sacrificio”, “offerta di sé” nasce con il fine di avvicinare l’uomo a Dio, privilegiandolo di partecipare all’atto di Cristo e al contempo permettendogli l’elevazione spirituale che ricerca.

Risulta quindi ovvio come il fedele, integrando una visione di sessualità principalmente genitale e condivisa, ancora oggi preferibilmente funzionale a fini procreativi, ed una visione della stessa come oggetto di atto di penitenza ed astensione, trovi difficile guadagnarsi il suo spazio all’interno di una società che sempre di più pone invece una sessualità mercificata e istantanea.
I vissuti soggettivi rintracciati nei fedeli mostrano ovviamente queste criticità e complessità, mostrandoci come la sessualità permanga elemento indissolubile dalla dimensione spirituale e risulti fondamentale anche a quella che è la costruzione etica di ognuno di noi, condizionando e facendosi condizionare sia dalle influenze della propria maturazione, sia da miti e arcani messaggi, che spesso risultano pesare come macigni.

 

Tutor: Fabiana Saluti
Tirocinante: Stivè Margherita

Bibliografia
Hall, D. D. (Ed.). (2020). Lived religion in America: Toward a history of practice. Princeton University Press.

Foto di StockSnap da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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