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Serve un polo di Sinistra

Pochi giorni fa Antonio Di Pietro ha lanciato una proposta di coalizione alle prossime elezioni fra tutte le forze alternative al governo Monti. A breve giro di tempo è arrivata la bocciatura di Grillo che in poche righe striminzite, in coda a un post, ha respinto l’invito del leader dell’Idv. «Il Movimento 5 Stelle non si alleerà con nessun partito». Un no è arrivato anche dai vertici di Sel, per bocca di Gennaro Migliore, che ha etichettato l’idea di un fronte dei “non allineati” come roba da politica vecchia. «La nostra politica non può ridursi a schieramenti, dove non contano mai i contenuti». Sono segnali di un quadro politico in fibrillazione. Nessun partito, oggi, a destra come a sinistra, può dirsi immune da questi fenomeni di riassestamento.

Governo Monti: laboratorio di un nuovo assetto di potere

Nessuno può prevedere come si presenterà il sistema politico italiano alle prossime elezioni. Comunque vada, qualunque saranno le forze e le alleanze elettorali, è fin d’ora certo che dopo il governo Monti nulla sarà come prima. Tramontate le geografie della lunga era berlusconiana, l’esecutivo dei bocconiani ha avuto la funzione di laboratorio di un nuovo assetto di potere nelle classi dirigenti. Le formule del centrodestra e del centrosinistra che avevano caratterizzato la Seconda repubblica oggi sarebbero completamente inadeguate a definire la maggioranza che sostiene il governo Monti. Quello che all’indomani del passaggio di consegne di Berlusconi venne presentato agli italiani come una sorta di “stato d’eccezione”, si è rivelato un governo che, col passare del tempo, ha normalizzato, naturalizzato, rese ovvie le politiche dell’austerity. La crisi finanziaria dello spread ha dato modo a Mario Monti di accreditarsi nell’opinione pubblica come il leader di un esecutivo che avrebbe salvato l’Italia dal rischio di insolvenza e, quindi, di uscita dall’euro. In nome della retorica dell’emergenza sono state azzerate in un colpo solo le geografie del berlusconismo, consentendo la nascita di un nuovo blocco bipartisan di forze politiche, accomunate dal consenso sulle misure di austerity caldeggiate da Bce e vertici dell’Ue.


I fattori di incertezza del sistema politico italiano da qui alle elezioni

Questo nuovo assetto di potere produrrà effetti duraturi nel quadro politico? La maggioranza bipartisan che ha dato vita al governo Monti si ripresenterà, in qualche misura, anche alle prossime elezioni? Non si possono fare previsioni. Per due motivi.

Il primo è che non si sa ancora con quale sistema elettorale si andrà a votare. Al momento si discute di diverse proposte avanzate perlopiù dai partiti della maggioranza. Ma si tratta, in parte, di abboccamenti e diversivi. Saranno proprio i tecnicismi – doppio turno, soglia di sbarramento, premio di maggioranza – a determinare quante e quali forze politiche siederanno nel prossimo parlamento. E siccome l’iniziativa è soprattutto nelle mani dei partiti dell’attuale maggioranza, sarà di fatto il trio ABC (Alfano-Bersani-Casini) a mettere un’ipoteca su chi farà parte dell’arco politico nella prossima legislatura e chi no.

È sufficiente alzare di qualche punto la soglia di sbarramento per impedire l’accesso in parlamento di una o più forze politiche. Il rischio è che la nuova legge – ammesso che vedrà la luce e non si debba invece andare alle urne col Porcellum – finisca più per corrispondere agli interessi dei partiti della maggioranza che non al fine di una rappresentanza democratica e proporzionale delle forze politiche presenti nella società italiana. La composizione del prossimo parlamento, quali forze ne entreranno a far parte e quali alleanze i partiti stringeranno tra loro, dipenderà molto da quel che il trio Abc scriverà nel testo della legge elettorale.

Il secondo motivo di incertezza del quadro politico è più complesso. In ogni competizione elettorale gli schieramenti e le alleanze che i partiti stringono tra loro, dipendono dai contenuti che si impongono nel dibattito pubblico. Fino alle elezioni del 2008 uno dei principali antagonismi che divideva lo spazio politico era quello tra berlusconismo e antiberlusconismo. Attorno a quella discriminante si organizzavano le forze politiche, i rispettivi campi della destra e della sinistra, gli schieramenti e la propaganda elettorale. Il governo Monti ha costruito il consenso alle proprie politiche liberiste – perlomeno agli inizi – sul tema della permanenza nell’eurozona contrapposto al rischio di uscita dall’Euro.

Alle prossime elezioni non è detto che il tema del dentro o fuori la moneta europea sarà ancora la linea di divisione principale della competizione politica. Con molta probabilità non ci saranno il centrodestra e il centrosinistra che abbiamo conosciuto in passato, a contendersi i voti. Può darsi che lo scontro principale avvenga tra l’arco di forze che ha sostenuto le politiche di Monti e quelle che, in varia misura e a diverso titolo, si sono opposte a esse. Ma, di nuovo, non è detto che sia questo lo scenario. Soprattutto, non è affatto scontato che la crisi economica – e la possibilità di scegliere tra differenti strategie nell’affrontarla – diventi il tema principale su cui i partiti e gli italiani si misureranno e si divideranno. Può anche essere che nel dibattito politico altre saranno le questioni dirimenti sulle quali si giocherà la campagna elettorale.

Il populismo di Grillo

Può accadere, per esempio, che il tema dominante diventi la crisi (delle forme) della politica. Il malcontento che cova in strati diversi della società italiana, potrebbe prendere la via di un’unica protesta generalizzata nei confronti dei partiti, percepiti come responsabili non solo di corruzione e malaffare, ma anche della valanga di tasse e tagli che sommergono lavoratori, ceti popolari, piccola borghesia e ceti medi imprenditoriali.

Se così fosse, l’antagonismo tra sistema di potere e forze antisistema diventerebbe la questione centrale delle prossime elezioni o, altrimenti detto, la principale linea di divisione dell’offerta politica. Da una situazione del genere uscirebbe favorito il Movimento 5 Stelle, il quale ha finora costruito la propria rendita di consenso – almeno stando ai sondaggi – sulla critica alla politica. Non è che non esista un deficit etico nella gestione della cosa pubblica. La crisi della democrazia rappresentativa, i limiti del meccanismo della delega, la frattura tra governanti e governati sono tutt’altro che problemi fittizi.

È un errore clamoroso accusare il movimento di Grillo di antipolitica quando pone all’ordine del giorno la questione morale o l’assenza di processi di partecipazione nelle decisioni dirimenti per la collettività. Ma quando la risposta si limita essenzialmente al rifiuto del partito come forma organizzata della politica, il rischio è di infilarsi in un vicolo cieco. Si dimentica troppo in fretta la storia italiana. I partiti tradizionali di massa sono stati, dopo il fascismo, la forza motrice della democrazia, i protagonisti della Resistenza, gli artefici della Costituzione. Ma anche a prescindere da questo dato specifico della nostra storia, non si vede quali possano essere oggi le alternative nell’organizzazione della vita pubblica.

A Parma, la città più importante in mano al M5S, il neosindaco Pizzarotti ha impiegato ben 46 giorni per formare una giunta. È la dimostrazione che non basta liquidare i partiti per risolvere il problema della selezione del personale chiamato ad amministrare il potere per conto dei cittadini. Un conto è la critica sacrosanta delle commistioni tra partiti, apparati di potere, interessi clientelari, lobby locali; altro però è rifiutare qualsiasi idea di corpo intermedio della democrazia che si collochi tra i cittadini e il governo della cosa pubblica, in nome di non si sa quale alternativa.

Il problema di come scegliere i governanti e di come formare la classe dirigente rimane immutato. A Parma l’idea del M5S era di ricorrere alla Rete come a una sorta di assemblea permanente nella quale gli elettori, in piena trasparenza, avrebbero potuto scegliere tra personalità della società civile (urbanisti, economisti, docenti, ecc.) dotati delle competenze necessarie per fare gli assessori – un po’ come avviene in un casting quando si selezionano gli attori o i concorrenti di un programma televisivo.

Che nei partiti ci sia molto da migliorare nel modo in cui si scelgono i gruppi dirigenti è fuori discussione. Ma chi assicura che nella società civile le cose vanno meglio? Perché a governare dovrebbero essere soltanto i “tecnici”, gli “specialisti”, le personalità in qualche modo accreditate nelle istituzioni della società civile? Forse che nelle università o nelle imprese – per citare solo un paio di casi – non ci sono clientele di interessi e meccanismi di selezione fondati sulla raccomandazione? Un conto è rifiutare la consuetudine della delega incondizionata da parte dei cittadini nelle mani di chi esercita in loro nome il potere, ma altro conto è spacciare per democrazia diretta qualcosa che assomiglia molto al populismo e alla fede negli uomini della provvidenza del nostro tempo: i tecnici della società civile.

Un campo della sinistra alternativa

Che fare allora perché la crisi e l’esistenza di politiche economiche alternative a quelle dominanti possa diventare, alle prossime elezioni, il tema principale nell’agenda pubblica? Dipende dal grado di egemonia che la Fds saprà esercitare nel dibattito. Per quel che riguarda Rifondazione comunista il compito prioritario è rendere il più possibile pubbliche le proprie proposte politiche. L’obiettivo, stabilito nel documento approvato dall’ultima Direzione nazionale, è la costruzione di uno schieramento politico, che possa competere alle elezioni, tra tutte le forze che si oppongono da sinistra al governo Monti – da Sel ad Alba e a tutto il mondo dell’associazionismo, passando per l’Idv di Di Pietro.

L’interrogativo su cui riflettere è: esiste un campo così vasto di forze disponibili a centrare l’identità della loro proposta politica sul tema delle politiche economiche anziché su altri temi che, al momento, sembrano più redditizi dal punto di vista del marketing elettorale, come, ad esempio, la critica alla casta partitica? In Sel la questione della crisi economica è riconosciuta come fondamentale nel proprio programma (ed esiste anche una discussione interna sulla necessità di costruire in Italia una sinistra federativa sul modello di Syriza), ma, al momento, l’atteggiamento prevalente è costruire un asse con il Pd con tutte le conseguenze che ciò comporta.

L’Idv – con la cui abbiamo costruito le importanti esperienze di Palermo e di Napoli (anche se sarebbe un errore generalizzare vista la centralità che hanno giocato i due sindaci, De Magistris e Orlando, in quanto tali), si trova su una posizione di rottura con il Pd e sta cercando di ricavarsi uno spazio su cui da tempo opera il M5S. Di Pietro – si diceva all’inizio – ha lanciato pochi giorni fa l’idea di uno schieramento di tutte le forze che si oppongono alle ricette liberiste del governo Monti. Eppure le politiche economiche non sono mai state al centro delle proposte dell’Idv che, almeno sotto questo preciso profilo, è sempre stato un fenomeno politico di incerta collocazione ideologica. I punti di forza del partito di Di Pietro sono tradizionalmente la legalità, la giustizia, la lotta alla corruzione e alla criminalità, con alcune punte di esasperazione nei confronti della casta (pochi giorni fa ha fatto discutere un video sul sito dell’Idv nel quale si raffiguravano Bersani, Alfano e Casini nelle sembianze di “zombie”, formula cara a Grillo).

Se negli ultimi anni l’Idv si è spostato a “sinistra” è stato più per investire su un vuoto del sistema politico italiano – in seguito all’uscita dal Parlamento di Rifondazione e alla deriva centrista del Pd – che non per una proposta univoca di politica economica. Di Pietro ha conquistato una parte dell’elettorato tradizionale di sinistra coniugando il tema della legalità con quello della giustizia sociale – ma anche grazie a un’abile campagna acquisti portata avanti dopo il 2008 tra gli intellettuali di sinistra, dal filosofo Gianni Vattimo allo storico Nicola Tranfaglia.

Rimane tuttavia una sostanziale incongruenza tra la collocazione “a sinistra” dell’Idv nello spazio politico e la sua (quasi inesistente) visione di politica economica. Non a caso, fuori dal contesto specifico italiano la contraddizione si fa più lampante. La collocazione ideologica nel parlamento europeo è di tutt’altro genere rispetto a quella nazionale. A Strasburgo l’Idv aderisce al gruppo dell’Alde, l’alleanza liberaldemocratica di cui fanno parte, tra gli altri, il partito liberale tedesco e quello britannico. In Italia il partito di Di Pietro si schiera contro le politiche di austerity di Monti e appoggia le proposte della FIOM, mentre in Europa siede tra i sostenitori delle politiche economiche dell’Ue.

Non è l’unica anomalia di un partito che aspira a divenire tale a tutti gli effetti, ma rimane ancora in gran parte ancorato all’immagine carismatica del suo leader. L’Idv è riuscito sinora a sfruttare a proprio vantaggio la critica alla casta, allo strapotere dei partiti e alla corruzione, nonostante abbia manifestato al suo interno tratti tipici del trasformismo e del notabilato politico. Le vicende di De Gregorio, Razzi e Scilipoti – tutti parlamentari eletti nelle file dell’Idv che in un secondo momento hanno cambiato casacca – sono l’ennesima dimostrazione che l’avversione per i partiti quasi mai arriva a costruire alternative credibili.

La nostra proposta

In questo contesto di grande incertezza dobbiamo sviluppare la nostra iniziativa. La proposta politica contenuta nel documento della Direzione Nazionale è giusta: lavorare per costruire un polo della sinistra – cioè le forze che oggi a sinistra sono all’opposizione del Governo Monti – partendo da Sel, Idv e Fds con l’obiettivo di farla diventare la coalizione elettorale che si presenti alle prossime elezioni. Il programma è quello tracciato nella assemblea della Fiom e che avrà un ulteriore momento di discussione in un incontro nazionale promosso da Alba che si terrà a Torino in settembre e al quale sarà importante partecipare.

L’obiettivo – costruire un polo della sinistra – non è per nulla facile. Come ho scritto sopra per realizzarsi è necessario che Sel corregga la subalternità nei confronti del Pd che oggi caratterizza il suo agire e che l’Idv abbandoni il progetto sbagliato e irrealistico di costruire una coalizione con Grillo.
Non è quindi un obiettivo facile, ma è quello che serve e noi dobbiamo fare tutto il possibile per realizzarlo.

Da questo punto di vista più che gli appelli e gli incontri è decisivo mettere in campo l’iniziativa politica e la mobilitazione. Se la vediamo da questa angolazione possiamo constatare che ci sono le condizioni per provarci. In primo luogo sarebbe un segnale che va in questa direzione se alle prossime elezioni siciliane (fine ottobre) ci si presentasse come polo di sinistra. La cosa non è affatto remota: ci sono buone possibilità perché attorno alla candidatura di Claudio Fava si aggreghino Sel, Fds, Idv e Verdi. Già questo sarebbe un importante tassello.

L’altro è quello si costruire la mobilitazione nel Paese contro le politiche economiche di Monti. Impresa più difficile, ma non impossibile. Ci sono in campo alcune proposte sulle quali possiamo far partire subito una campagna unitaria: reddito minimo, ripristino art 18 e abolizione art 8. Parallelamente a questo si può iniziare a preparare una grande manifestazione nazionale (potrebbe essere promossa da un gruppo di personalità che per autorevolezza e rappresentanza possano farlo senza che nessuno si senta escluso o prevaricato).

È difficile? Si! Ma non ci sono molte alternative se non quelle della subalternità o della marginalità. Lavoriamoci.

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