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Segreto investigativo: tra limite alla manifestazione del pensiero e buon andamento dei processi

La libertà di manifestazione del pensiero incontra due tipologie di limiti: un unico limite cd. “esplicito” previsto dal 6° e ultimo comma dell’articolo 21 della Costituzione, ovvero il “buon costume”, e una serie di limiti “impliciti”, derivanti dall’esigenza di tutelare altre libertà costituzionali (onore, reputazione, riservatezza).

Quelli impliciti, a loro volta, si dividono in: limiti impliciti di natura privatistica e limiti impliciti di natura pubblicistica.

Se nel primo gruppo rientra solo il segreto professionale, che tutela singoli individui, il secondo gruppo è costituito da tre limiti: il segreto di Stato, il segreto d’ufficio e il segreto investigativo.

Questi tre limiti sono rivolti alla tutela (con forme e profili peculiari) di interessi dell’apparato pubblico. Hanno l’esigenza di contemperare la libertà di manifestazione del pensiero e la difesa di determinati ambiti, rispettivamente: sicurezza dello Stato, buon funzionamento della Pubblica Amministrazione, buon andamento dei processi.

In particolare, il segreto investigativo riguarda il buon andamento dei processi penali. Anzi, per correttezza, bisogna dire procedimenti penali. Questo perché il processo è la parte conclusiva di un procedimento penale e di esso costituisce una variabile meramente eventuale (potrebbe non arrivarci mai).

In sostanza, il segreto investigativo risponde a due domande: quando si può pubblicare ciò che accade in un procedimento penale e cosa si può pubblicare di un procedimento penale in corso.

Per quanto riguardo il primo elemento ci viene in soccorso l’art. 329 del codice di procedura penale che al 1°comma, ci fornisce il limite temporale entro il quale vige il segreto investigativo: “Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.

Da qui possiamo affermare che, nel nostro ordinamento, vige il principio della segretezza nella fase delle indagini preliminari[1], mentre vale il principio generale della pubblicità e della conoscibilità degli atti nella fase dibattimentale.

Cosa si può pubblicare di un procedimento penale in corso, invece, ce lo spiega nel dettaglio l’art. 114 del codice di procedura penale, facendo anche una distinzione tra “segretazione assoluta” che riguarda sia l’atto che il suo contenuto e “segretazione parziale” riguardante solo l’atto in sé ma non il suo contenuto.

Quindi, al 1°comma, si afferma che “È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto”.[SEGRETAZIONE ASSOLUTA]

Al 2°comma, invece, viene detto che “È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare”. [E’ possibile pubblicarne però il contenuto, attraverso ricostruzioni fedeli con attori e/o plastici, facendo comunque attenzione a non mistificare la realtà, contestualizzando, per esempio nel caso delle intercettazioni ma non solo, i contenuti e con la giusta inflessione della voce]

Ovviamente, “È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”(comma 7).

Ed è per questo motivo, che il giornalista si trova di fronte ad un compito molto arduo, quello di provare a raccontare la verità dei fatti rispettando la legge e la dignità delle persone in questo delicato equilibrio, a maggior ragione quando si trova a dover affrontare casi di cronaca giudiziaria e quindi trattare di argomenti come processi, condanne, iscrizioni nel registro degli indagati, interrogatori, ecc... .

In questo caso, egli deve prendere tutto con la dovuta cautela.

Il suo è un ruolo fondamentale per la vita delle persone e può arrivare a deciderne il destino e, pertanto, non deve sfociare in altre attività (come ad esempio il cd. dossieraggio[2]).

 

 

 

[1] Con “un limite di natura meramente soggettiva,nell’ipotesi in cui il pubblico ministero debba compiere, a carico dell’indagato,un atto irripetibile”e, pertanto, “è tenuto a notiziare la persona sottoposta alle indagini della sua qualità di indagato ed a pubblicizzare le attività d’indagine fino ad allora compiute”.(Cit. da “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione”, di Salvatore Sica, Vincenzo Zeno-Zencovich, Terza Edizione, Cedam Casa editrice Dott. Antonio Milani, 2012, pag. 375).

[2] “Attività di raccolta di informazioni riservate e scottanti su personaggi in vista, da usare in genere a fini di ricatto(o di screditamento, nda)”da “grandidizionari.it”(Hoepli Editore). Conosciuto in Italia anche con il nome di “macchina del fango” o “metodo Boffo”, dalla vicenda che ha coinvolto l’ex direttore dell’Avvenire.

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