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Se lo sponsor è invadente

Da diversi anni a questa parte l'avvento degli sponsor ha cambiato il mondo dello sport, sì, ma in negativo. Non sarebbe anacronistico un passo indietro che possa farci riassaporare lo spirito genuino del gioco. 

Negli ultimi decenni il pianeta dello Sport professionistico, sulla scia di quanto avveniva da molti anni in ambito dilettantistico, è stato largamente interessato dal fenomeno della sponsorizzazione. Se in principio esso “toccava” solo marginalmente gli eventi agonistici, limitandosi, ad esempio, a comparire su dei cartelloni pubblicitari sistemati a bordo campo, garantendo agli organizzatori degli introiti di una certa importanza, col tempo l'esagerazione avrebbe preso il sopravvento.

In pratica sarebbero mutati gli obiettivi delle società, che prima si avvalevano degli sponsor per garantirsi un aiuto finanziario a volte imprescindibile, specie per quelle di provincia, poi hanno iniziato ad approfittare di questa opportunità per far lievitare i guadagni in maniera esponenziale, e non più per assicurarsi una chiusura in attivo dei bilanci, inaugurando così un circolo vizioso. Ed è così che le scritte promozionali sarebbero diventate sempre meno discrete e più invadenti, quasi sfacciate, sino a spingersi, a partire dagli Anni Ottanta, a profanare le “sacre” divise da gioco egli atleti.

Dapprima gli spazi venduti alle aziende furono di pochi centimetri quadrati, poi, nel volgere di non molti anni sarebbero aumentati in modo insopportabile, sino ad arrivare alla sponsorizzazione sfrenata, selvaggia e senza remore dei giorni odierni, coi giocatori che loro malgrado somigliano a dei veicoli promozionali, indossando casacche in cui quasi si fatica a scorgerne i colori sociali. Marchi pubblicitari sempre più irriverenti che ormai si sono spinti a sporcare persino le maglie delle Nazionali, dalla Pallavolo al Basket, passando per il Rugby, nel totale spregio della tradizione sana e genuina di un tempo, in cui il denaro non la faceva certo da padrone come avviene nel terzo millennio, che si appresta a linciare ogni valore. Col pericolo che prima o poi venga interessato anche il nostro sport patrio, cioè il caro vecchio calcio, che per ora si sta limitando, si fa per dire, ad imbrattare con rèclame assortite le divise dei club.

Certo, gli sponsor se utilizzati in maniera oculata non potrebbero che fare del bene a società e federazioni, ma, visto l'uso smodato e senza regole che se ne sta facendo, a questo punto c'è da rimpiangere l'epoca in cui essi non esistevano. Io credo che ci sia un limite a tutto, e quello della decenza è stato ampiamente superato, oserei dire oltraggiato, sacrificato in nome di quel dio denaro cui tutti si stanno convertendo, con buona pace di tifosi ed appassionati.

Okay, forse ci sto andando giù pesante, usando toni che si adatterebbero meglio a tematiche più serie, ma credetemi, è da queste cose apparentemente poco rilevanti che la società inizia a cedere il passo ai compromessi più abietti. È da mentalità del genere che un giorno verranno partorite decisioni riprovevoli. Il vile denaro, diabolico com'è, senza farsi notare più di tanto, comincia da certe piccolezze a corrompere l'animo della collettività, sino a farle smarrire la rotta della rettitudine. D'altronde, non si è già detto che lo sport sia lo specchio della società? Mi pare che su questo siamo un po' tutti concordi. Ed a proposito del denaro che può spingerci a commettere gli atti più sordidi, è sempre d'attualità la massima di Benjamin Franklin, che un giorno sentenziò: "Si può ritenere che chi confida nel potere del denaro sia disposto a tutto per... il denaro".

Insomma, la merceficazione dello sport è solo il punto di partenza per la merceficazione della vita. E pensare che sino a trent'anni orsono lo sport funzionava a meraviglia anche senza la sponsorizzazione selvaggia, e nessuno avvertiva il bisogno morboso di reperire finanziamenti dalle aziende mediante lo sfregio delle divise sociali. Voce dal fondo: una volta il Mondo dello sport era diverso, tutto costava meno, a partire dai calciatori, che non guadagnavano le cifre astronomiche di oggi. Beh, intanto ciò non si verifica solamente nel Calcio. Eppoi non mi pare che gli introiti pubblicitari derivanti dalle scritte sulle magliette da gioco abbiano sortito chissà quale beneficio, anzi da quando esiste questa usanza discutibile si sono moltiplicati i casi di team falliti o comunque arrivati sull'orlo del baratro (vi dicono qualcosa i casi della Fiorentina del 2002 o del Parma di qualche anno addietro, per tacere di tante altre squadre di un certo blasone).

Evidentemente la sponsorizzazione esasperata non rappresenta la cura di certi mali, che andrebbero invece affrontati alla radice, e non dopo che sono diventati alberi malefici. E poi, se lo sport ha bisogno di moneta sonante dalle aziende, allora si dovrebbero avvalere di certi aiuti anche le televisioni, a partire dalla Rai. Voi ce lo vedete Carlo Conti presentare il Festival di Sanremo vestendo un abito Armani recante la scritta a caratteri cubitali Acqua Levissima? Eppure i relativi incassi che ne deriverebbero potrebbero fare comodo alla TV di Stato, che riuscirebbe facilmente a soddisfare i generosi cachet di certi personaggi. E come reagireste se sulla fronte ampia e spaziosa di Antonella Clerici campeggiasse la scritta Tagliatelle Barilla? Sarebbe di cattivo gusto? Può darsi, ma vuoi mettere la soddisfazione di auto-pagarsi lo stipendio?

E se ne hanno bisogno loro, che sono dei privilegiati, a maggior ragione tali escamotage potrebbero tornare utili (e garantire degli utili...) a gente meno fortunata, tipo certi pensionati che faticano ad arrivare a fine mese. Eppure io non ho mai visto un anziano recarsi alle Poste a ritirare la pensione esibendo sul fondoschiena un cartello con la réclame di una casa automobilistica...

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