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Scrivere di musica. I requisiti che occorrono per farlo bene? Quelli della competenza e dell’autonomia, e una grande passione…

La musica non tradisce mai. Guai, però, a tradire la musica, e uno dei modi per tradire la musica è scriverne in maniera del tutto improvvisata, senza valutare con attenzione ciò che si ascolta e senza tenere conto dei riflessi negativi di ciò che si scrive sull’attività presente e sul futuro artistico del singolo musicista o del gruppo che si è ascoltato o che si sta ascoltando, soprattutto quando esso sia ancora agli esordi.

La critica musicale è attività di fondamentale rilievo anche nell’ambito della musica rock e pop e soprattutto in tempi come i nostri in cui le notizie rimbalzano a velocità mai conosciute prima da un quotidiano all’altro, da un periodico di settore all’altro, da un sito internet specialistico all’altro, da un social all’altro. Essa fa parte integrante e sostanziale di una più generica attività informativa di carattere giornalistico e ha lo scopo di interpretare e di fornire valutazioni più o meno complesse che hanno caratteri di specificità quasi sempre corredate da considerazioni di carattere estetico su un’opera musicale (un disco appena uscito) oppure su un evento musicale (un concerto).

Di notevole rilievo, nell’ambito della critica d’arte e quindi anche nell’ambito della critica musicale rock o di altro genere, il peso che assume l’interpretazione di un’opera, cioè la lettura approfondita dei suoi contenuti nel senso più ampio. Essa, all’interno di una recensione, si aggiunge e conferisce spessore all’attività cronistica pura e semplice (quest’ultima fornisce mere informazioni che possono per esempio riguardare la data di uscita di un nuovo disco, il suo titolo, i nomi di coloro che fanno parte dell’organico dei musicisti che lo hanno realizzato, e così via) e potrà riguardare una molteplicità di elementi (modalità espressive adottate dall’autore ed eventuale analisi dei testi delle varie canzoni, punti di riferimento che riguardano la/le tendenza/e da esso seguita/e, inquadramento all’interno di un determinato contesto artistico, stilistico e temporale cui appartiene l’opera, confronto dell’opera stessa con altre opere dello stesso autore o di altre che ad essa si avvicinano per stile o per la specifica tipologia del pubblico di ascoltatori che coinvolgono). Generalmente, nell’ambito della cultura occidentale, un’opera d’arte viene considerata tale dalla critica quando è dotata dei requisiti della unicità, originalità e autorialità. Tenendo conto del fatto che la nostra cultura predilige quasi sempre, in campo artistico, l’innovazione avanguardistica, la ‘rottura’ e l‘esplorazione, definiamo ‘unico’ un’artista quando dispone di capacità creative che gli consentono di creare opere che si pongono in discontinuità rispetto alle cose già conosciute (in ambito rock e pop, sia detto a titolo meramente esemplificativo, sono unici Frank Zappa, i Pink Floyd, i Genesis, ma anche, su altri versanti musicali, i Beatles, i Cream, i Velvet Underground, i Clash…). Spesso la ricerca di nuovi linguaggi, di espressività insondate e di estrinsecazioni artistico musicali inedite da luogo ad atteggiamenti creativi personalissimi da parte di alcuni artisti che possono essere definiti estremi e ironico-provocatori (anche qui, le rockstar che possono essere citate sono una miriade: Elvis Presley, Mick Jagger, Jim Morrison, David Bowie, Johnny Rotten and so on, fino ad arrivare a certi istrionici frontmen che hanno raggiunto la notorietà in giorni a noi più vicini). Sull’autorialità: è sempre sentita, da parte del critico, la necessità di individuare e di ricondurre una certa opera a un ben determinato autore, mentre conoscere la vicenda umana e di vita di un certo artista certamente, per altri versi, consente di cogliere meglio il significato dell’opera dello stesso (esemplificando: conoscere le vicissitudini esistenziali di Nick Drake o quelle di Syd Barrett consente al critico chiamato ad esprimere il proprio giudizio una analisi più compiuta di dischi come “Pink Moon” - di Drake - o “The Madcap Laughs” - di Barrett). Cinquemila, diecimila, quindicimila? Sicuramente tanti, tantissimi devono essere i dischi che il critico deve avere ascoltato. E' un fatto irrinunciabile: chi si occupa di musica a certi livelli deve, per essere credibile, avere una indiscutibile competenza dello specifico settore culturale di cui stiamo parlando; con riferimento specifico alla musica rock e pop deve anche conoscere nel più profondo generi, sottogeneri e le più varie suddivisioni all'interno delle quali solitamente vengono classificati artisti e relative opere. Il critico deve uniformare il proprio comportamento e la propria particolare preparazione al principio fondamentale, cui peraltro devono aderire tutti i professionisti dell'informazione, dell’autonomia. Con riferimento a questo aspetto specifico dell'attività del critico musicale può essere utile richiamare la vicenda esemplare (non solo professionale ma anche umana ed esistenziale) di Lester Bangs, uno tra i migliori "scrittori di musica" che il mondo del rock abbia mai conosciuto. Ebbene Lester Bangs fu brutalmente licenziato dalla rivista americana Rolling Stone per aver espresso opinioni negative sul gruppo americano dei Canned Heat. Bangs, in realtà, era solito esprimere il proprio disappunto nei confronti di tutta l’industria discografica americana e nei confronti delle riviste rock che si ponevano in condizioni di asservimento rispetto al sistema delle maggiori etichette musicali (le cc.dd. majors) che avevano sotto contratto i cantanti e i gruppi più noti dello star system musicale mondiale. Un caso limite, forse, quello di Lester Bangs, ma da tenere sempre ben presente e da cui farsi ispirare. Irrinunciabile, peraltro, tra i requisiti che devono essere posseduti da chi scrive di musica, il requisito del possesso di una passione sviscerata per la musica. Esso costituisce l’anima e il motore di una professione sicuramente avvincente e gratificante. Siamo a una breve considerazione conclusiva: non a tutti piace il termine “critica”.

Riccardo Bertoncelli, il decano dei critici rock italiani, per esempio, ritiene che “critica” sia una brutta parola e che al riguardo preferisce parlare di storia, definire se stesso uno storico. “Critica mi sembra un termine inventato per gli sfottò”, sostiene Bertoncelli, “è una parola da un lato altisonante, dall’altro facile al dileggio.[…] In realtà non mi sono mai posto il problema di cosa sia la critica musicale e non: ho sempre cercato, da ragazzo, di raccontare, ingenuamente, le mie passioni…”

E’ una dichiarazione, quella del critico novarese, condivisibile in buona misura soprattutto perché mette nel giusto rilievo il ruolo rivestito dalla passione nell’ambito della sua interessantissima professione. La passione, in effetti, anche nello scrivere di musica, è ciò da cui tutto ha inizio…

 

 

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