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Salvini e i predatori dell’unità perduta

L’evoluzione della Lega nella storia di un popolo smarrito che cerca di ritrovarsi senza speranza di riuscita.

La recente sovraesposizione mediatica del leader della Lega Salvini e i suoi tentativi, stentati ma alla lunga efficaci, di varcare la linea gotica per venire a portare sostegno e buone novelle in una Terronia d’improvviso riabilitata, sono segni di un passaggio preoccupante.

Matteo Salvini cavalca in effetti un malessere evidente (e decisamente trans-regionale) che affonda le sue radici in politiche eurocratiche i cui effetti sembrano tutti mirati alla mortificazione della nostra identità nazionale, al prosciugamento delle nostre risorse economiche, pubbliche e private, all’invasione delle nostre città da parte di orde di immigrati cui si spalancano le porte per diktat europei ai quali governi di fantocci non sanno opporre alcuna resistenza. Di fronte a questi mali, così tanto più grandi del “puzzo di meridionale” che faceva inneggiare alla secessione del nord il dimenticato Bossi e constatati i risultati sempre più deludenti della vecchia guardia leghista; ma soprattutto, avendo avuto prova tangibile che “ladrona” non era aggettivo attribuibile alla sola Roma, Salvini ha pensato bene di svoltare per provare a sopravvivere insieme al suo partito.

Capisco che provare a deviare d’improvviso il corso del magma del Vesuvio in modo da scansare i napoletani ha reso necessari sforzi immani da parte di chi aveva sempre desiderato che la lava sgorgasse davvero e procedesse dritta per Piazza Plebiscito e la Riviera di Chiaia senza tanti complimenti. Ma va dato atto alla gestione Salvini della capacità di produrli tali sforzi, al punto che molti meridionali, non tutti si intende, hanno apprezzato. Principalmente perché con una certa destrezza si sono visti sostituiti nel disprezzo degli italo-settentrionali da un nuovo nemico, stavolta comune, che è lo straniero: sia esso immigrato clandestino, regolare o Rom.

In poche parole l’assedio comune operato dai barconi della speranza che ha cinto il nostro paese e costellato il nostro mare di cadaveri ci ha uniti nell’odio: e questo è inquietante. Perché è frutto di antichi errori continuati ed aggravati; perché è la prova che, citando il redento Bertinotti, abbiamo sbagliato tutto!

Dopo esserci resi complici di una campagna denigratoria diretta dai partiti e scientificamente orchestrata per prendere a mazzate l’unità risorgimentale, i suoi simboli e le sue cerimonie, ora, consapevoli che questo ci ha solo divisi, indeboliti e incattiviti, cerchiamo di tornare ad unirci, ma lo facciamo sull’onda del risentimento e degli altri sentimenti negativi che sono gli unici con cui abbiamo fatto pratica... E tuttavia questo prova che in fondo a questa tanto vituperata unità noi ci terremmo anche e ne vorremmo recuperare il senso. Ma quando si è vissuti per 70 anni in uno sistema acefalo (dove il capo è parte in gioco), in balia di una politica falsa arraffona e tornacontista il cui impegno precipuo è stato quello di indurci all’odio fratricida strategico, capita di perdere l’orientamento e si prova a raggiungere lo scopo percorrendo sentieri scoscesi, invece di tornare sulla via maestra. Può così accadere che lungo questo scarpinare confuso si cominci a guardare con simpatia a quel Salvini che sembra uno dei pochi, forse il solo, a voler ergere la bandiera dell’orgoglio nazionale, a voler dimostrare a questa cattiva faccenda chiamata Europa che l’Italia può farne a meno dei suoi diktat e che gli italiani hanno diritto di essere sereni in casa propria, senza inquietanti presenze “dalla pelle scura” (prescindendo dai motivi che portano tanti di questi sventurati ad occupare i nostri spazi).

Il problema è che Matteo Salvini è un politico ed ha primariamente necessità di recuperare il consenso elettorale. Ciò implica la spregiudicatezza nel sollecitare sentimenti forti, evocando, seppur mai direttamente, certe seduzioni del ventennio fatte di autarchia e superiorità di razza, che se su molti esercitano lo stesso fascino di “quando c’era lui” per i tanti figli e nipoti di Berlinguer e compagni equivalgono a bestemmia! Da qui l’impossibilità di ricevere il consenso generalizzato e trasversale che in fondo lo stesso segretario leghista sognerebbe. E che nessun politico in Italia (con la sola giustificabile eccezione di Sandro Pertini) ha mai ottenuto e mai potrà ottenere: perché è lo stesso sistema partitico ad avere interesse a dividere per ritagliarsi il consenso di una precisa porzione dell’elettorato.

Appaiono dunque farseschi gli affanni del Renzi, che per allargare la sua base di consenso prova a mettersi di traverso fra Marx e Sant’Agostino al punto da non capirsi più da dove viene e dove vuole andare; così come appare inutile il certosino profondersi di noti giornalisti e leader d’opinione alla ricerca di un nuovo “Uomo della Provvidenza” capace di recuperare l’unità della nostra sventurata esistenza nazionale. Ma nessuno può garantire unità in questo paese, perché nessuno può raccontare una storia che vada oltre i confini della propria storia personale (e qui sta l’eccezione Pertini, appunto). E nelle storie personali degli italiani vissuti negli ultimi 70 anni c’è posto per tutto, tranne che per il bene collettivo e la Patria, fatta eccezione per i cori allo stadio.

Purtroppo solo a pochi piace ricordare che un tempo anche da noi il Capo dello Stato poteva raccontare la Storia dell’intera Nazione, rappresentandone al contempo l’evoluzione e la continuità a garanzia del costante conseguimento del bene comune. Ed era di tutti e per tutti, nessuno escluso. Poi, però, qualcuno ha deciso che l’Italia aveva bisogno di una bella repubblica partitocratica.

Ragion per cui non mi rimane che consigliare a chi in questo Paese cerca ancora simboli unitari, di rivolgersi a “Chi l’ha visto?”.

Ma non garantisco sul buon esito.

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