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Salvini alla sbarra?

Come sempre in questi casi si sta producendo una confusione da stadio sul tema del deferimento di Salvini per la vicenda della “Diciotti” mescolando cose diverse fra loro: è un processo a Salvini o al governo? Un voto negativo per lui della giunta per le autorizzazioni a procedere equivale ad una condanna? Chi lo giudicherà? Cosa deve fare il M5s? C’è stato un reato no? Eccetera. Distinguiamo due cose: la procedura ed il merito.

La procedura: il Tribunale dei ministri (uno speciale ufficio giudiziario costituito presso ogni Corte d’appello e composto da sei magistrati) ha ritenuto che possano esserci estremi di reato (sequestro di persona) nel comportamento del Ministro in quella vicenda e, per questo, chiede al Parlamento l’autorizzazione a procedere per deferirlo al tribunale ordinario.

La giunta non deve esprimersi sul merito della vicenda, ma valutare se, a suo parere, il comportamento del ministro sia stato determinato da ragioni di pubblico interesse o meno.

Nel caso dovesse accogliere la richiesta dei magistrati, questo non significa che la questione sarebbe risolta e che avremmo stabilito che Salvini non ha agito per ragioni di pubblico interesse: egli potrà riproporre la questione in tutti tre i gradi di giudizio fornendo le prove e le argomentazioni a suo sostegno e i successivi collegi giudicanti potranno accogliere o respingere le sue tesi ed assolverlo o condannarlo.

Per cui un voto sfavorevole non significa automaticamente una condanna, ma il via libera ad un accertamento di come sono andati i fatti. Vice versa, un voto negativo verso la richiesta dei magistrati, di fatto, bloccherebbe il procedimento ed avrebbe effetti uguali a quelli di una assoluzione.

Ovviamente, Salvini verrà ascoltato e produrrà gli elementi a suo favore. Poi la giunta deciderà con atto motivato spiegando il perché ci sia stata o meno una decisione correttamente motivata.

Potrebbe esserci anche un caso dubbio ma, in questo caso (che non è di sentenza di condanna, ma di autorizzazione a procedere) non vale il principio “in dubio pro reo” e, se non altro, ragioni di decenza politica richiederebbero l’accoglimento delle richieste dei magistrati.

Peraltro la decisione della giunta dovrebbe poi essere ratificata dall’aula ed a voto segreto (come sempre, quando si tratta di decisioni su casi personali) ed, in ogni caso, a Salvini sarebbero doverosamente date tutte le garanzie che spettano a qualsiasi cittadini di fronte alla giustizia penale.

Il merito. Lasciamo da parte per un momento gli aspetti politici ed affrontiamo solo quelli giuridici. La normativa succeduta alla riforma dell’articolo 96 della Costituzione del 1989, prevede che il comportamento del ministro sia scriminato nel caso in cui abbia commesso un reato per tutelare un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per perseguire un preminente interesse pubblico.

E’ evidente che la norma abbia una serie di limiti impliciti: che ci sia una ben definita e provata ragione di interesse generale, in quanto non può essere sufficiente la parola del ministro di aver operato per una ragione del genere, se così fosse non avrebbe senso la norma costituzionale che prevede una procedura penale poi arrestabile sulla sola parola del futuro imputato. Quindi la ragione va esplicitata e provata.

Occorre che la ragione debba riguardare questioni di particolare gravità, che la misura adottata al di là dei limiti della legge debba essere necessaria, perché se fosse altra misura nei limiti della legge occorrerebbe applicare quella e non una au dehors de la loi. Che debba esserci una commisurazione fra il diritto leso e la necessità di operare.

E’ ed è evidente che la libertà personale è un diritto primario garantito dall’articolo 13 della Costituzione, per cui la minaccia all’interesse collettivo debba essere gravissima.

Il ministro può anche decidere di far aprire il fuoco su una imbarcazione pirata che, armi alla mano, cerchi di approdare conquistando il porto, ma non può ordinare un omicidio per fermare un ipotetico attentato.

Nel caso di specie, il Ministro deve operare nel rispetto non solo della normativa nazionale, ma anche dei trattati internazionali di diritto del mare, che prevedono l’obbligo di soccorrere eventuali naufraghi e sbarcarli nel posto sicuro più vicino.
Entro questi limiti, si può decidere che il Ministro abbia operato correttamente o meno.

Allora quale era la gravissima minaccia che i 177 naufraghi della “Diciotti” comportavano?Peraltro, va detto che Salvini non ha deciso la chiusura dei porti interessati che hanno continuato a funzionare normalmente, ma ha interdetto l’attracco a quella determinata nave.

Salvini non ha esplicitato a suo tempo quale ragione di pubblico interesse lo spingeva alla decisione, solo ora parla genericamente della presenza di terroristi a bordo.

In questo caso è necessario dire sulla base di quali elementi il ministro pensava che potessero esservi terroristi a bordo. Non basta dire che trattandosi di persone provenienti da paesi dove opera l’Isis o altra organizzazione terroristica, per questo stesso fatto si può presumere che vi fosse fra loro qualche terrorista. A quel punto, varrebbe come argomento indiziante occorrerebbe interdire anche lo sbarco aereo con visto turistico a chi proviene da quei paesi o magari sostenere che anche il colore della pelle potrebbe essere un indizio. Dunque, cosa sapeva il ministro?

Forse una segnalazione dei servizi? Ed in che termini era formulata? Era una generica segnalazione molto vaga o c’erano elementi precisi e magari utili ad individuare gli eventuali terroristi?

Ma, anche nel caso ci fossero elementi concreti per dire che c’erano terroristi, il suo dovere sarebbe stato quello di far sbarcare i profughi, metterli in ambiente sicuro e procedere all’identificazione degli eventuali terroristi. Mica è carino nei confronti degli altri paesi europei dire che noi questi non li vogliamo perché in mezzo ci sono terroristi, per cui se li becchino i francesi, gli olandesi o gli spagnoli.

Qualora davvero ci fossero elementi per sostenere la presenza di terroristi non identificati a bordo della nave, il comportamento del ministro potrebbe integrare un reato ancora più grave: quello di favoreggiamento nei confronti di un possibile terrorista al quale, comunque, si assicura lo sbarco in Europa dove, evidentemente, dovrebbe compiere attentati.

Inoltre, l’eventuale presenza in questo misterioso terrorista non sana affatto il sequestro di persona nei confronti degli altri passeggeri e dello stesso equipaggio della nave che si vedono consegnati a bordo senza una ragione che li riguardi. Insomma, mi pare che è peggio la pezza del buco. Ma stiamo a vedere cosa produrrà la difesa del Ministro.

E veniamo all’aspetto politico: inutile girare intorno alle parole. Il problema di Salvini e bloccare (lui pensa) l’immigrazione che vede come una minaccia agli interessi nazionali. Lasciamo perdere quanto questa visione sia sbagliata ma fermiamo l’attenzione su un asopetto: ovviamente Salvini ed il suo partito hanno tutto il diritto di avere una linea politica ostile all’immigrazione e questo è affare che riguarda il dibattito politico e non riguarda la magistratura. Ma non ha il diritto di ledere diritti umani fondamentali (magari anche di bambini) in funzione di questa politica. La politica non può distruggere il diritto. Di qui la decisione dei magistrati.

Ma, allora, il M5s che deve fare? Trattandosi di questioni personali, in teroria, occorrerebbe assumere le decisioni individualmente in piena libertà di coscienza, ma sappiamo perfettamente che qui si tratta di una decisione politica che passa su considerazioni di questo tipo.

Il M5s è di fronte a questo bivio: o votare per l’autorizzazione a procedere richiesta dalla magistratura, coerentemente con i suoi principi che rifiutano il principio per cui un parlamentare o un ministro non debbano essere giudicati come qualsiasi altro cittadino ma, con questo, rischiare la caduta del governo, se non ora, sicuramente dopo le europee, oppure vendersi l’anima e votare contro, sancendo definitivamente che il M5s è diventato un partito identico a tutti gli altri?

Nel primo caso il rischio è quello di perdere una fetta di elettori anti-immigrati che passerebbero alla Lega già a maggio. Nel secondo caso, il rischio è di pedere una fetta ancora più grossa di elettori imbestialiti da quello che suonerebbe come la definitiva omologazione del M5s ai partiti del sistema. Bere o affogare.

Non c’è altra scelta? Al loro posto farei un’altra cosa: considerato che la scelta di Salvini venne avallata da tutto il governo, farei costituire tutti i ministri M5s davanti allo stesso tribunale per lo stesso reato, votando poi l’autorizzazione a procedere per tutti. In questo modo sarebbe salva la pregiudiziale anti immunitaria ma togliendo a Salvini sia l’argomento di essere stato lasciato solo, sia la possibilità di trasformare il processo in un grande show elettorale. Chissà se ci penseranno.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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