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Rwanda. Un’inchiesta francese rivela il complotto dietro l’attentato di Kigali

6 aprile 1994. Due missili terra-aria abbattono in volo il Falcon 50 del presidente del Rwanda Juvénal Habyarimana. La sua morte fu il pretesto che scatenò il massacro di oltre 800mila Tutsi, accusati dalla Francia di voler organizzare un colpo di stato. Fu il genocidio di un intero popolo. Ora l’inchiesta di due giudici, Marc Trévidic e Nathalie Poux, svela i retroscena di quell’attentato e getta ombre inquietanti sul ruolo delle autorità francesi in merito all’indagine.

Il rapporto presentato martedì da Marc Trévidic capovolge quello che, da molti, era considerato ormai un caso chiuso. E soprattutto demolisce le accuse dell’ex giudice incaricato dell’indagine, Jean Louis Bruguière, sostenitore di quella che viene ormai semplicemente chiamata “tesi Masaka”; ovvero la responsabilità degli Tutsi, ed in particolare del FPR, nell’attentato che costò la vita al Presidente del Rwanda, Juvénal Habyarimana.

Secondo Bruguière (già responsabile delle inchieste sul terrorista venezuelano Carlos) i missili terra-aria furono sparati dalla collina di Masaka, da un commando del Fronte Patriottico del Rwanda, l’esercito Tutsi (ed ora partito di governo) guidato dall’attuale Presidente, Paul Kagamé. Il magistrato francese ha concluso la sua indagine nel 2006 emettendo 9 mandati di cattura nei confronti di altrettanti alti funzionari del FPR. Una decisione che ha scatenato la reazione indignata del governo Kagamé ed ha portato al silenzio diplomatico tra Parigi e Kigali per tre anni.

La versione dell’attentato di matrice Tutsi è stata sostenuta con forza dai cosiddetti “negazionisti”, la cui teoria riduce il genocidio compiuto dagli Hutu a danno degli Tutsi (ma anche di migliaia di Hutu moderati che si oppponevano al massacro dei loro connazionali) ad una semplice reazione e non, come sostengono molti, ad una epurazione etnica meticolosamente pianificata ed annunciata - anche via radio - già dal 1990.

Ma l’indagine di Trévidic racconta un’altra storia. Il rapporto balistico presentato il 10 gennaio dimostra “senza alcun dubbio” che i missili sparati in prossimità dell’aeroporto di Kigali provenivano dalle forze della stessa guardia presidenziale, installate nel campo militare di Kanombé. Sarebbero stati degli uomini dell’esercito, estremisti Hutu ostili alla politica di riconciliazione nazionale del Presidente Habyarimana, a decidere di far fuori il Capo di Stato per impedirgli di applicare gli accordi di pace che lo stesso Habyarimana aveva firmato l’agosto precedente con il FPR di Kagamé. 

Quel 6 aprile Habyarimana, di ritorno dalla Tanzania, viaggiava insieme al leader del Burundi, Cyprien Ntaryamira, anch’egli un Hutu di orientamento moderato. Il regime di Habyarimana, divenuto presidente dopo un colpo di Stato nel 1973, era ormai agli sgoccioli. Pressato dall’opinione pubblica internazionale ed assillato dallo spettro di una guerra civile, l’amico di François Mitterrand si era dichiarato favorevole ad una spartizione del potere che impedisse l’esplodere delle violenze tra Hutu e Tutsi.

Il suo capo di gabinetto si trovava all’aeroporto di Kigali con la lista del nuovo governo di transizione; mancava solo la firma del Presidente. Un tratto di penna che, forse, avrebbe evitato il massacro di quasi un milione di persone. E che il tiro di due SA-16 di fabbricazione sovietica ha invece giustificato, con il pretesto ignobile di una vendetta necessaria. 

 

 

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