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Rom, terroristi e malattie

Come le nostre paure diventano strumenti in mano a chi ci governa

Passata, in parte, la bufera europea sugli sgomberi dei campi rom e sulle espulsioni, una nuova tempesta mediatica si è scatenata, questa settimana, sul governo francese. L'informazione, dell'inizio della settimana, è che il rischio di azioni terroristiche sulla Francia, e in particolare su Parigi, è accresciuto e che uno o più attentati sarebbero stati sventati dalla polizia. Lunedì 20 settembre il ministro degli Interni Hortefeux annunciava che la minaccia di attentati kamikaze, in particolare sui trasporti pubblici, era "reale", e venivano forniti alcuni dettagli precisi, come il fatto che si cercasse una donna proveniente da un paese del Maghreb. La minaccia, però, è stata presa sul serio fino a un certo punto dai francesi.

L'opposizione ha accusato il governo di allarmismo, ma l'atteggiamento di Sarkozy e dei suoi è stato denunciato anche da destra; da Dominique de Villepin - che visti i suoi contenziosi con il presidente gioca un po' il ruolo del "Fini" francese - e addirittura dal presidente della commissione esteri dell'Assemblea nazionale, che fa parte del partito di Sarkozy, secondo cui il governo avrebbe fatto meglio a mostrare un po' di "moderazione". Minaccia reale, quindi, o paranoia ministeriale? O addirittura notizie gonfiate e diffuse ad arte per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica da altre questioni, ben più imbarazzanti per il governo (guarda caso, giovedì 23 settembre si è svolto il secondo sciopero generale nel giro di due settimane contro la riforma delle pensioni)? Alcuni osservatori arrivano fino a sostenere che lo sventolamento del pericolo rom prima, e del pericolo attentati poi, fanno parte della stessa strategia governativa per far paura ai cittadini, per poi proporsi come i loro difensori e approfittarne per far passare anche misure che, altrimenti, sarebbero impopolari. Con la prudenza che, naturalmente, è d'obbligo su temi delicati come il terrorismo, proviamo ad analizzare la situazione.

Ieri mattina, interrogato da France Inter, il filosofo Mickaël Foessel ha fatto un parallelo interessante tra la minaccia rom, le minacce terroristiche e, addirittura, gli allarmi che erano stati lanciati, forse qualcuno lo ricorda ancora, per l'influenza suina e, ancora prima, per la febbre aviaria. C'è un fil rouge inquietante, in effetti, che lega queste (vere o presunte) minacce. Prima di tutto sono, come osserva Foessel, "transnazionali". Non c'è più, come per quasi tutto il '900, e di fatto fino alla caduta del muro di Berlino, un pericolo che viene da fuori, un potenziale invasore, ma un pericolo che si insinua dentro alla società. Il nemico non è più un'entità, sì minacciosa, ma esterna, ben definita e riconoscibile. Oggi, potenzialmente, qualsiasi sconosciuto che incrociamo per strada può essere un potenziale kamikaze che ha deciso di farsi saltare in aria o, in alternativa, un inconsapevole portatore di virus mortiferi e devastatori.

 

Simbolicamente, è evidente, si tratta di un cambiamento importante. Non che, naturalmente, tutti questi pericoli siano del tutto infondati. In ognuno di essi c'è un fondo di verità, ma anche senza essere convinti sostenitori delle varie teorie del complotto in circolazione, si può almeno riconoscere che alcuni di loro sono stati, in certi momenti, enfatizzati e strumentalizzati dai governi. Una prima caratteristica di questi pericoli è che sono permanenti. Un attentato può realizzarsi in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, e lo stesso vale per un'epidemia. Ciò giustifica, per le autorità, uno stato di vigilanza altrettanto permanente (il cui rovescio della medaglia è però la banalizzazione della minaccia).

 

Un'altra caratteristica, forse quella, a mio avviso, più interessante è che si tratta, appunto, di minacce striscianti, intangibili, non verificabili da parte dell'opinione pubblica. Pensiamoci un momento: l'operato di un governo si misura su quello che fa e, in genere, il momento dei consuntivi è un momento che i governanti temono, visto che governare un paese comporta scelte che sono spesso impopolari. Ma come si fa a misurare l'efficacia di un governo in materia di epidemie, criminalità e terrorismo? Il principio è lo stesso, se mi si passa il paragone, delle medicine omeopatiche. Uno degli argomenti principe dei sostenitori dell'omeopatia è che si tratta soprattutto di strumenti di prevenzione. E infatti, ho preso medicine omeopatiche in varie occasioni e il più delle volte non mi sono poi ammalato. Ma chi mi dice che, se non le avessi prese, invece, mi sarei ammalato? Niente, solo la mia fiducia in quelle pilloline e in chi me le ha consigliate. Lo stesso succede, fatte le debite proporzioni, con le minacce terroristiche. Dopo l'11 settembre non ci sono stati, negli Usa, attentati significativi. E' grazie all'attività di prevenzione delle autorità o perché i potenziali attentatori avevano, in quel momento altre priorità e altri obiettivi? Nessuno di noi lo sa, ma Bush e i suoi sostenitori vi diranno che è unicamente grazie alla vigilanza delle autorità

 

Siccome siamo nell'ambito del teorico, e dell'opinione contro opinione, ecco allora che per i governi diventa essenziale mostrare che la minaccia in questione è, non solo reale, ma immediata e grave. Solo se i governati percepiscono una minaccia, vera o presunta, come reale, potranno essere convinti che i governanti hanno "fatto" qualcosa. Come nel caso dei rom, non c'è bisogno che questa minaccia sia vissuta concretamente dai cittadini (chi di noi ha mai visto un terrorista?). Dal momento che la gran parte delle informazioni a cui siamo sottoposti non le apprendiamo per esperienza diretta ma per via indiretta, è sufficiente che una storia ci venga raccontata bene, perché la percepiamo come reale. Raccontare 'storie' è quindi una caratteristica essenziale di ogni buon governante moderno. Senza contare che le storie che ci piace di più sentirci raccontare sono quelle che conosciamo già, o che confermano le nostre convinzioni. Altrimenti non si spiegherebbe perché gli antiberlusconiani comperano tutti La Repubblica e i berlusconiani Il Giornale. Nella vicenda dei dossier sulla casa del cognato di Fini a Montecarlo, nessuno di noi avrà mai la possibilità di verificare, ma sono sicuro che tutti ci siamo già fatti un'opinione: se siamo di quelli che non amano Berlusconi, saremo probabilmente già convinti che il documento del ministro caraibico è un falso che lui stesso ha ispirato; se invece facciamo parte dei suoi sostenitori, metteremmo la mano sul fuoco che il documento è autentico e consideriamo Fini un pericoloso millantatore. Un governante che è bravo a raccontare storie, perciò, non deve neanche fare la fatica di inventarsele, è sufficiente che sappia raccontarci bene le nostre paure.

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