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Roberto Calvi: storia di un mistero italiano

Dopo trentanni si fatica a ricordare il padre di tanti misteri. Roberto Calvi è un nome che continua a far paura ?


L’Italia è il paese dei misteri irrisolti, delle stragi senza nome, delle date che ricorrono anno dopo anno. A volte in modo giustamente rumoroso, a volte stranamente senza alito di vento. Il tempo, dicono, mette centimetri di polvere sopra ciò che non si vuol ricordare, capire o conoscere. 
 
Tre giorni fa, ricorreva il trentennale della morte di Roberto Calvi. Una morte che rappresenta uno dei più intricati misteri italiani, dal dopoguerra in poi, una morte che non conosce ancora esecutori e mandanti. Eppure, nonostante i 30 anni, la brezza dei media è stata leggere, quasi impercettibile.
 
Sarà per le implicazioni del Vaticano in questo scottante argomento? Sarà che lo Stato di San Pietro vacilla sotto le sue stesse debolezze? Sarà che il passato da Calvi alla Orlandi è la polvere da buttare sotto il tappeto? Tante domande e risposte così semplici da risultare impossibili da comprendere. O, forse, è solo l’impressione di qualcuno che pensa male, che vede, come diceva il cardinale Bertone, delle pagine alla Dan Brown tra i corridoi dei palazzi vaticani. 
 
Roberto Calvi, come Sindona, come Licio Gelli, come Marcinkus. Nomi che rappresentano un passato che non muore, che vive a volte nei paragoni dei fatti di oggi, che ancora risente dell’influsso delle loro gesta. Gesta finite nella cronaca nera e nella storia della Prima Repubblica tra i fumogeni della polizia, nell’Italia delle barricate, e una linea di demarcazione tra bene e male che risulta sempre molto sbiadita, dove a condurre il gioco sembra più la mafia dello Stato. O forse, in alcuni momenti la differenza non esiste. 

 
Il 18 Giugno 1982, l’Italia gioca con il Perù, nei mondiali che, neanche un mese dopo, vinceremo a Madrid con la Germania. Segna Bruno Conti e i sudamericani pareggiano con un autogol di Collovati. A Londra, viene ritrovato il corpo di Roberto Calvi, il banchiere di Dio. Blackfriars Bridge, il ponte dei Frati Neri. Un simbolo tra Chiesa e massoneria. Uno scherzo del destino per chi aveva giocato con entrambi o forse no? 
 
15.000 dollari e un mucchio di sassi, ecco cosa contenevano le sue tasche nel suo ultimo viaggio. Quelle tasche che avevano alloggiato segreti e potere fino alla parabola discendente. 
 
Quando arriva al Banco Ambrosiano non ha ancora 30 anni. Rapidamente scala posizioni, fino ad arrivare a ricoprire ruoli di vertice agli inizi degli anni '70. Nel 1975 diventa presidente di quello che e' l'istituto della finanza "bianca" in stretta relazione con lo Ior, la "banca" vaticana, allora guidata dall'arcivescovo Paul Marcinkus. 
 
Lo stesso anno conosce Licio Gelli ed entra nella P2. Una mossa che si rivelerà esiziale: pochi anni dopo, sarà proprio l'emergere dello scandalo legato alla loggia massonica e a suoi addentellati con il mondo della politica e dell'economia a travolgere l'Ambrosiano, rimasto senza "protezione": un crack da circa mille miliardi di lire. 
 
Scricchiolii legati a irregolarità e problemi di bilancio cominciarono a manifestarsi già alla fine degli anni '70. Ma E' nel 1980 che l'istituto di credito deve affrontare una vera e propria crisi, tamponata con i finanziamenti arrivati da Bnl e Eni: per ottenerli, Calvi versò tangenti al Psi. L'anno dopo scoppia il caso P2 e il banchiere, il 21 maggio, finisce in manette. I suoi tentativi di trovare una sponda in Vaticano e allo Ior finiscono nel vuoto. 
 
E’ quando il tribunale concede la libertà provvisoria, in attesa di processo, che la storia si complica ulteriormente per il potente banchiere. La sua strada si incrocia con quella di Flavio Carboni e da quel momento si allineano più storie , tutte pericolose. Carboni è un finanziere con troppe amicizie pericolose, troppi affari poco chiari e troppi soldi “senza madre”. Da Pippo Calò alla banda della Magliana, un mondo oscuro completo e variegato. 
 
E’ proprio con il faccendiere sardo che Calvi studia e mette in pratica la sua fuga, l’ultima. Il 9 giugno 1982 Calvi lascia Milano e a Roma incontra Carboni. Poi si sposta a Venezia, a Trieste, passa in Jugoslavia e da qui in Austria, dove incontra nuovamente Carboni al confine con la Svizzera e parte per Londra. 
 
 
E' il 15 giugno 1982. Tre giorni dopo viene trovato impiccato sotto il Blackfriars Brigde. In un primo momento si prova a far passare la tesi del suicidio, sia a Londra, sia a Milano, nella prima indagine avviata. Ma ben presto si capisce che le cose non quadrano: spuntano nuovi elementi e il caso viene riaperto a Roma, questa volta per omicidio volontario e premeditato
 
Nel 1997 viene emessa un'ordinanza di custodia cautelare per Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati di essere i mandanti dell'omicidio. Il processo inizia il 5 ottobre 2005 e oltre a Calò e Carboni, vede imputati con l'accusa di omicidio Ernesto Diotallevi, l'ex contrabbandiere Silvano Vittor, che avrebbe aiutato Calvi a espatriare, e Manuela Kleinszig, ex compagna di Carboni. 
 
Chi uccise il banchiere di Dio nella terra d’Albione? Chi è il mandante di quella che è stata a tutti gli effetti una esecuzione? Anni fa la moglie di Roberto Calvi diede delle risposte a queste domande in una intervista a Enzo Biagi . 
 
La riportiamo di seguito:
 

 

Secondo l'accusa, rappresentata dai pm Luca Tescaroli, Maria Monteleone e Francesco Verusio, "per punirlo di essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle organizzazioni criminali" Cosa Nostra e Camorra, recitava il capo di imputazione. Ma il verdetto della sentenza, il 6 giugno 2007, decretò l'assoluzione di tutti gli imputati, stabilendo però che quello di Calvi fu un omicidio. 
 
 
Un'impostazione che, di fatto, si mantenne anche nella sentenza di appello, pronunciata il 7 maggio 2010. Il 22 dicembre successivo Tescaroli presentò ricorso in Cassazione. Il pm è sempre stato convinto del ruolo di Carboni nella vicenda: "La soppressione del banchiere avrebbe assicurato a Carboni l'impunità per i delitti di bancarotta del Banco Ambrosiano e di riciclaggio in cui è risultato coinvolto", scrive nel ricorso. 
 
Ma il 17 novembre 2011 la Suprema Corte ha detto 'no' a una riapertura del processo. Sostanzialmente perché, come emerge della motivazioni, nei confronti degli imputati emerge un quadro indiziario e difettano prove certe. Due le cose centrali che la verità giudiziaria non mette in discussione: che Calvi fu assassinato e che "Cosa Nostra impiegava in Banco Ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio".
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