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Ripresa economica | Dateci un acconto, dobbiamo pagare la rata dello stigma

Nel corso della conferenza stampa di presentazione del “progetto” di ripresa economica, il premier Giuseppe Conte ha detto alcune cose. Ad esempio, che da lunedì parte questo momento di concertazione consultazione tra governo, opposizione e forze sociali, che prenderà l’assai logoro e vagamente menagramo nome di “Stati generali“. Poi, ha detto che stiamo cercando soldi europei. E qui iniziano i cortocircuiti.

“Con la presidente von der Leyen stiamo cercando una strada per ottenere anticipi”, ha detto il premier. Di che tipo? Immagino delle sovvenzioni del Recovery Fund. Pare quindi che il paese che nell’ultima asta di Btp decennali ha fatto gonfiare il petto ai nostri patrioti per la richiesta monstre degli investitori, e dopo l’altro trionfo del collocamento del Btp Italia, con un tasso reale onnicomprensivo di poco inferiore a 1,5%, abbia un disperato bisogno di soldi, e li voglia ieri. Purché gratis.

Letteralmente ieri, visto il buco dei fondi per la cassa integrazione, che ha portato “voci” romane a ipotizzare erogazioni retroattive dei fondi europei. Si, ma quali fondi? Pare il SURE, acronimo che sta per Temporary Support to mitigate Risk in an Emergency, la cui funzione è quella di integrare la spesa nazionale per schemi di cassa integrazione (qui la scheda).

Sono 100 miliardi complessivi, all’Italia pare ne spettino 20 ma qualcuno a Roma ne vorrebbe qualcosina in più. Resta da capire quale è il pricing di tale strumento, cioè il costo per il paese che li richiede, ed i termini intesi non tanto come condizionalità, che sono note, quanto la durata.

Ipotizzabile che, come nel caso del MES, anche qui i tassi siano da negativi a nulli. Ma allora, perché l’Italia non li ha ancora chiesti? Io un’idea ce l’avrei: perché saremmo ancora i primi a farlo, e varrebbe la famosa questione dello stigma, cioè il rischio che tale richiesta mandi ai mercati il messaggio che stiamo per finire male. Davvero? Boh, così ripetono ossessivamente per il MES ma col SURE la logica è identica, credetemi.

E quindi, che vuole il governo italiano? Ve lo (ri)dico: vuole soldi gratis, cioè l’erogazione immediata della parte netta di nostra “spettanza” del Recovery Fund. E perché? Perché il governo italiano è terrorizzato all’idea di sommare debito a debito e vuole comprare tempo, sperando che passi ‘a nuttata.

Un peccato che i grants del Recovery Fund siano basati su piani nazionali di riforme, entro le linee guida fissate dalla Commissione, ed erogati a stato di avanzamento dei lavori. Quindi l’idea di farsi dare “un anticipo” di questa tipologia di fondi, pur se umanamente comprensibile (diciamo così), appare equivalente a disegnarsi un mirino sulla fronte, ad uso dei mercati, e scriverci sopra “Aiutateci”.

Ma allora che resta, diranno i miei piccoli e grandi lettori? Beh, per esclusione resterebbe il famigerato MES “light”, di cui ieri abbiamo appreso i costi (sulla base dei tassi medi di mercato per i paesi dell’Eurozona nell’ultimo trimestre), e che determinerebbe, sulla scadenza a sette anni, addirittura un sussidio a vantaggio degli italiani, che con greci e ciprioti restano i paesi maggiormente beneficiati in termini di costo.

Ma qui sorgono due ordini di problemi. Il primo -dicono- è che non sappiamo quali sono le “reali” condizionalità di questa versione del MES. Posso dirlo con gli anglosassoni? BULLSHIT. Basta chiedere, leggere quello che sarà scritto nero su bianco e piantarla con questa ridicola manfrina. O sì o no.

Ma c’è anche un secondo ordine di problemi, che poi è quello sin qui visto, in questa disamina delle fonti di finanziamento: lo stigma. Esattamente come per i fondi SURE, anche nell’ipotesi di assenza effettiva di condizionalità diverse dalla destinazione d’uso dei fondi. Per il MES la sanità, per il SURE la cassa integrazione.

Mi spiego meglio: potrà mai, l’orgoglioso paese che ad ogni asta dei Btp inanella “record” su “record”, come amano scrivere i nostri giornali, fare mostra di aver finito i soldi e chiedere il sostegno europeo? Non sarebbe, quello, uno stigma ancor più grande, anche se si ottenessero i fondi “a gratis” del Recovery Fund?

Questo è il punto. Ovviamente, c’è anche altro. Ad esempio, il fatto che l’Italia deve immaginare quando chiudere questi ammortizzatori straordinari, e con che gradualità, basandosi su quello che accade con la progressiva riapertura.

Come direbbero i soliti anglosassoni, take the plunge: tuffatevi, nel senso di decidere una exit strategy ed un relativo cronoprogramma. Oppure (verità inconfessata ma non troppo) il terrore è quello di perdere consenso di fronte all’inevitabile aumento di disoccupazione che arriverà?

Ma soprattutto, se il vero dramma italiano, o più propriamente la tragedia, è quello di aver molte imprese extra marginali destinate a soccombere, ed altre non marginali ma operanti in settori fortemente penalizzati dalla pandemia, che facciamo? Teniamo tutti in vita a oltranza, magari chiedendo reiterati “anticipi” alla Ue? È vero che siamo il paese di Alitalia, cioè dei prestiti-ponte verso il nulla e a fondo perduto, ma ho dubbi che questo “stile di vita italiano” sia esportabile in Europa, diciamo.

Ecco quello che intendo quando esprimo forte preoccupazione per la “ripresa”. Che qualcuno pensi di poter tornare agli anni Settanta, con cassa integrazione sine die, per anni.

Quindi, attenzione, presidente Conte: ho già scritto che a me lei non suscita scandalo, nel suo barcamenarsi tra forze politiche impotenti che non comprendono la catastrofe che aleggia su un paese che non intende sentirsi dire la verità. Ma evitiamo questi teatrini che ci pongono come i mendicanti d’Europa gonfi di orgoglio. Perché è un gran brutto vedere, mi creda. Abbia un soprassalto di dignità, si ricordi della sua famosa frase “altrimenti facciamo da soli“.

E lei, che è devoto di San Pio da Pietrelcina, l’uomo delle stigmate, dovrebbe evitare di passare alla storia patria come l’uomo dello stigma.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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