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Riforme: si riducono gli spazi di democrazia

La foto di gruppo del sistema politico italiano nel suo complesso, alla vigilia dello scioglimento dei consigli provinciali, primo atto della riforma Del Rio che prevede il superamento delle province, era la seguente: 630 Deputati e 315 Senatori; 1.117 Consiglieri regionali; 8.094 Sindaci; 3.246 Consiglieri provinciali.

Questi ultimi decadranno da subito, seppure le province proseguiranno la propria attività, in uno stato vegetativo, addirittura comatoso, come enti di secondo livello, guidati da amministratori scelti tra i sindaci dei territori di competenza e non eletti dal popolo sovrano. Salvo rinuncia, i presidenti uscenti delle province rimarranno in carica, insieme alle giunte, sino al 31 dicembre prossimo, ma senza percepire un euro di indennità; gratis et amore dei. Il risparmio previsto dal Governo per questa operazione di lifting politico-amministrativo è di 168 milioni di euro in un anno, anche se gli studiosi sostengono che non andrà oltre i 38 milioni.

Napoleone a parte, che concepì l’istituzione delle province, quelle odierne, operanti in Italia sino all’altro giorno, devono la nascita al decreto Rattazzi, risalente al 1859. Le prime elezioni provinciali si svolsero il 15 gennaio 1860, ossia un secolo e mezzo addietro. Il Regno d’Italia fu istituito il 1861 e c’erano già 59 province; il primo Re d’Italia fu Vittorio Emanuele II di Savoia. Passati 154 anni da quell’ assetto istituzionale, in Italia non abbiamo un re (magari due che ne interpretano ruolo e compiti…forse si.) , ma di sicuro, nella qualità di capo del governo abbiamo, come in Cina, il segretario del Partito eletto dall’assemblea nazionale dello stesso partito. Perché ad eleggere Matteo Renzi alla carica di segretario del PD, il giorno dell’Immacolata del 2013, furono circa un milione e settecentomila votanti per le primarie, ovvero il 3,4 per cento dell’intero corpo elettorale italiano.

Nella qualità di segretario del PD, Matteo Renzi assurse alla carica di premier il 22 febbraio di quest’ anno. La storia del 41 per cento ottenuto dal partito di Renzi alle europee del maggio scorso, che corrisponderebbe a un suffragio personale del segretario-premier, oppure a una legittimazione politica mediante voto indiretto a uno che non è stato eletto, ha fatto sì che il Capo del governo non abbia da temere opposizioni e ostacoli sul suo cammino e quindi, c’è da scommetterlo, metterà mano con successo anche alla riforma del titolo V della Costituzione, e le province a quel punto spariranno del tutto. Sparirà poi il Senato della Repubblica, in ambito nazionale e ci sarà un abbassamentoo, per quanto attiene il livello di democrazia. Perché, tra le pagine del “vangelo delle riforme secondo Matteo”, si legge di un imminente attacco frontale alle pubbliche amministrazioni superstiti. Uffici periferici dello Stato, enti territoriali, presidi pubblici su base provinciale, rischiano un corposo ridimensionamento e con esso un “addio alle armi” per moltissimi lavoratori del pubblico impiego.

La digitalizzazione farà il resto; la telematica sostituirà la pratica e praticamente non ci sarà più bisogno di forza lavoro. Il trionfo del bancomat sul cassiere, quello della pompa automatica sul benzinaio. Tutto questo andrebbe bene qualora i risparmi derivanti dal dimagrimento generale dell’apparato pubblico si traducessero in incremento salariale, riduzione delle tasse e creazione di nuovi posti di lavoro. Ma le cose vanno diversamente, a dimagrire sono solo gli spazi democratici del Paese, perché debito pubblico, disoccupazione, impoverimento sono divenuti come maiali all’ingrasso. Altissimo si mantiene il livello di tassazione esistente in Italia, ragion per cui invocare investimenti stranieri è come fare la danza della pioggia nel deserto. Chi è disposto a lasciare quattrini in Italia, è solo per comprare come da un rigattiere; chi altro vuole investire, chiede un olocausto di posti di lavoro; chi invece non viene né per una cosa e tanto meno per l’altra, è perché ha parlato con gli italiani che fuggono all’estero con le loro aziende.

Si dovevano affrontare i problemi irrisolti dal 2008 a oggi, ma l’unico problema che sembra essere rimasto sul tappeto è quello delle riforme costituzionali. La correlazione tra stravolgimento del dettato costituzionale e ripresa economica dell’Italia, è tutta da dimostrare; di immediati ci sono solo gli effetti nefasti sul funzionamento della democrazia parlamentare ed elettiva. E quindi: via le fabbriche; proibita la pesca, disincentivata l’agricoltura, collassato per inedia il settore del commercio, smantellate le vie di comunicazione, perché ce lo chiede l’europa. Non rimarrà niente. Il suo sistema economico , adesso come non mai, è al capo linea. Quando il disordine sotto il cielo è grande – Mao Tze Tung soleva dire che - la situazione è eccellente. L’avrà pensata così pure Matteo Renzi, giusto per affinità elettiva con l’illustre politico cinese?

 

Photo: Palazzo Chigi, Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.63) 28 giugno 2014 11:41

    Grazie signora Antonella.

    Agli italiani interessa farsi comandare, punto e basta, senza neppure provare a valutare le azioni e le intenzioni del comandante di turno. Siamo agli sgoccioli, ha ragione lei.

    Saluti,

    Gottardo

  • Di (---.---.---.72) 29 giugno 2014 19:47

    Intermittenza >

    Il Senato delle Autonomie, come propugnato da Renzi, assolverà alle sue funzioni in maniera assembleare. In questa ottica nessuno sembra prestare attenzione alla anomala “caducità” di un organismo di “non eletti”.

    Nei fatti.

    Il mandato Senatoriale coinciderà con quello delle distinte Amministrazioni territoriali da cui dipende la nomina. In più la normativa vigente (Art.126 della Costituzione, D.Lgs. 267/2000, ..) detta casi di sopravvenuto “scioglimento” d’autorità e/o Commissariamento degli stessi Enti.

    Tutte fattispecie che richiedono periodi piuttosto lunghi per la sostituzione dei soggetti coinvolti. Tutte concause che rischiano di rendere marcatamente “variabile” la composizione dell’Aula ed “intermittente” l’attività assembleare.

    Ancora. Ne seguiranno ripercussioni ostative negli iter procedurali “condivisi” con l’altra Camera.

    Sintesi. L’auspicata abolizione del bicameralismo perfetto ha la sua prima ragion d’essere nella cercata contrazione dei tempi di approvazione. Questo Senato di “non eletti” non rappresenta di certo la giusta risposta.

    Anche nel paese del Barbiere e il Lupo si caldeggiano soluzioni davvero singolari …

    • Di (---.---.---.93) 30 giugno 2014 11:57

      Ciò che mi tormenta tra tante incongruità e paradossi, è rendersi conto di quanto sia importante l’azione di emeriti costituzionalisti per trattare e studiare soluzioni adeguate ,che riguardano l’impalcatura della vita democratica di questo Paese. Se ho colto bene il suo pensiero, la materia di riforma del senato richiederà tempo ,almeno un anno, per quanto riguarda l’iter da seguire. A meno che, non si sia deciso di eliminare gli organi elettivi e creare un nuovo plenipotenziario che abbia nelle sue mani facoltà di decidere da solo.

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