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Rehana, la bufala de "L’angelo di Kobane" contro l’Isis

Se la realtà della guerra non basta.

Forse l'avete vista su Facebook, su Twitter o su uno degli altri social network che popolano il mondo della nostra esistenza virtuale. Un mondo che ha bisogno di eroi, ancor più di quello reale. Si chiama Rehana, è curda, è giovane e bella. Indossa una mimetica e un gilet militare, di quelli pieni di tasche. La mano destra tiene la punta di un fucile kalashnikov, poggiato a terra. La mano sinistra è alzata, due dita che disegnano una V di vittoria. Sorride, sotto i capelli scarmigliati. L'espressione è, insieme, dolce e decisa e la sua figura appare docile e inarrestabile. Rehana è sopratutto irresistibile e incarna alla perfezione l'idealtipo della guerriera curda, una figura costantemente rappresentata, raccontata e idealizzata dalla narrativa dei media occidentali e dalle triangolazioni esponenziali dei social media. La battaglia contro lo Stato Islamico e la resistenza di Kobane, così come i Peshmerga iracheni, sono elementi di una complessità semplificata, dove la realtà è ridotta ai suoi punti simbolici, ai suoi poli magnetici.

Si dice che Rehana abbia già ucciso 100 uomini, 100 feroci miliziani dello Stato Islamico, 100 simboli del fascismo misogeno dell'islamismo radicale. Le sue gesta hanno attraversato gli infiniti crocevia della rete, arrivando ovunque e rendendo il suo volto riconoscibile a tutti. Rehana è diventata la somma e la sintesi di tutte le donne curde che scendono in battaglia contro lo Stato Islamico.

Rehana però non è quel che si racconta, non è la guerriera mitica che ha stimolato le fantasie occidentali dopo l'apparizione della sua prima foto, il 22 agosto scorso. Lo dice Carl Drott, il giornalista svedese che l'ha incontrata sul campo, con un post su Twitter dello scorso 16 ottobre ripreso anche da Le Monde.

Drott non conosce il vero nome della giovane ma ritiene “altamente improbabile” che abbia potuto compiere le gesta che le vengono attribuite. Dopo aver lasciato Aleppo per unirsi alle forse curde di Kobane, in seguito all'assassinio del padre da parte dell'IS, la donna è stata inquadrata in una unità di polizia impiegata in città e non sulla linea del fronte. La celebre foto che la ritrae mentre allarga le dita in segno di vittoria è stata scattata proprio dal giornalista durante la cerimonia per la costituzione del gruppo. Non sarebbe dunque un membro dell'YPJ, “l'esercito” curdo-siriano che fronteggia le milizie jihadiste, ma svolgerebbe compiti di polizia all'interno del territorio cittadino. E se anche il più esperto dei cecchini curdi, continua Drott, difficilmente è riuscito ad uccidere 100 nemici, dall'inizio della guerra, è del tutto improbabile, se non impossibile, che possa averlo fatto un membro di un'unità non-militare, minimamente addestrato, nel corso di poche settimane.

Il 10 ottobre scorso la storia di Rehana si colorò di tinte drammatiche. Un internauta aveva collegato il suo nome all'immagina di una donna decapitata dal un membro dell'IS. Si era dunque diffusa la voce che Rehana, l'”Angelo di Kobane”, fosse stata fatta prigioniera e poi trucidata. Rehana divenne un martire ed in breve tempo, sui social media, il numero delle uccisioni attribuite alla giovane guerriera salì fino a raggiungere quota cento. Si era trattato di un efficacie operazione della propaganda curda? Non proprio. Era stato sopratutto il tweet di un panettiere indiano, condiviso 5500 volte nell'arco di breve tempo, a diffondere nel web questa cifra simbolica.

Anche la Bbc si è interessata alla storia della fantomatica guerriera, chiedendosi che fine abbia fatto la giovane donna che, senza alcuna responsabilità, si è ritrovata ad incarnare un simbolo internazionale. Non si sa che sia viva o morta, e lei stessa non ha mai contattato la stampa per raccontare la sua verità. Carl Drott è l'unico ad averla conosciuta e ad aver scambiato qualche parola con lei. In ragione del tipo di compiti che era chiamata a svolgere, il giornalista comunque dubita fortemente che possa essere morta in battaglia ed esclude che possa essere la stessa donna che compare nella foto della decapitazione. “Se solo date un'occhiata ravvicinata alla foto – ha scritto su Facebook – vedrete che i tratti del suo viso sono completamente diversi. Non ha neanche i capelli della stessa lunghezza o dello stesso colore”.

Nello stesso post, insieme all'immagine di “Rehana”, Drott riporta le poche informazioni in suo possesso sull'identità della ragazza, offrendo anche una riflessione utile a comprendere l'origine della leggenda:

“La giovane donna nella foto – non conosco il suo nome – mi ha detto di essere stata una studentessa di legge ad Aleppo. Ha deciso di offrirsi volontaria per la difesa di Kobane contro lo Stato Islamico, a rischio della propria vita. Un impegno che qualcuno non ritiene sufficiente, qualcuno che pensa che serva inventare dettagli ancora più fantastici, e questo di fatto toglie valore alle moltissime storie completamente vere e ancora più fantastiche che vengono da Kobane. Purtroppo non ci può sempre essere una figura iconica per ogni grande storia, e viceversa.”

Fuggire da una vita distrutta per offrire il proprio contributo alla causa di un popolo non è dunque sufficiente. Rischiare la propria incolumità, in una città sotto assedio, non basta. Al pubblico e alla rete servono racconti capaci di soddisfare la bulimia del proprio immaginario, nutrito dalla finzione e cresciuto nello stupore delle guerre televisive.

Dateci una donna che uccida a mani nude questi fottuti estremisti, dateci la testa delle nostre eroine, che delle inutili storie di una guerra qualsiasi non sappiamo già più che farcene.

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