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Regime forfettario 2019: “indennizzare” le partite Iva di tutte le sofferenze fiscali del passato

Oggi sul Sole trovate un commento di Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario all’Università di Trieste, sul nuovo regime forfettario per gli autonomi, che nasce col dichiarato intento di “indennizzare” le partite Iva di tutte le sofferenze fiscali del passato. Sin qui, ed entro limiti di ragionevolezza, potremmo anche essere d’accordo. Se non fosse per il modo in cui il restyling è stato costruito.

Stevanato segnala che il nuovo regime modifica la logica originaria dei “minimi”, pensati per soggetti realmente tali, sul piano dell’attività e dell’organizzazione, e per ciò destinati a sfuggire agli studi di settore. Il forfettario, dall’anno fiscale 2020, con l’introduzione della tassazione al 20% per autonomi con reddito tra 65 e 100 mila euro, catturerà invece l’80% delle partite Iva, divenendone il nuovo regime ordinario.

Come sempre accade in casi del genere, si pone un problema di disegno dell’imposizione per minimizzare l’impatto sull’aliquota marginale dell’uscita dal regime agevolato. In questo caso, il legislatore se ne è serenamente fregato, ed ecco i risultati e le famose unintended consequences, ammesso e non concesso che tali siano:

 

Anzitutto, è evidente che la previsione di soglie di ricavi, superate le quali vi è il rientro nell’Irpef ordinaria (o, per i forfettari, dal 2020 l’assoggettamento dell’intero reddito, e non solo di quello aggiuntivo, alla più elevata aliquota del 20 per cento), determina un forte deterrente alla produzione, causato da un’aliquota marginale superiore al cento per cento, oppure un altrettanto forte incentivo all’occultamento dei ricavi sopra soglia (come rilevato anche dall’ufficio parlamentare di bilancio, secondo cui «in corrispondenza delle soglie emergono dei forti disincentivi all’incremento dei ricavi, che possono incentivare anche l’evasione»)

Che mi pare concetto piuttosto lineare e tale da non richiedere ulteriori spiegazioni. Il fatto di avere una aliquota marginale effettiva del 100% al superamento dei 65 mila euro fornisce la misura di un disegno dei meccanismi piuttosto cervellotico. Ma ci sono anche altre ricadute, non certo minori. Ad esempio,

In secondo luogo, i nuovi regimi agevolati genereranno parcellizzazione produttiva, dissuadendo dall’esercizio di attività economiche in forma associata, con conseguenze distorsive sulla concorrenza dovute non solo al favorevole differenziale di tassazione ma altresì alla mancata applicazione dell’Iva a valle, nei rapporti con consumatori finali o soggetti che non detraggono l’imposta, potendo la stessa essere utilizzata per incrementare i ricavi o praticare prezzi più concorrenziali.

Restare piccoli vuol dire anche, tendenzialmente, sottoinvestire. Vero che parliamo di prestazioni di servizi, ma anche in quest’ambito l’investimento in digitalizzazione è rilevante. Ecco quindi che

All’opposto, l’irrilevanza dei costi effettivi di acquisto (assorbiti dalla determinazione forfettaria del reddito) insieme all’indetraibilità dell’Iva a monte farà aumentare l’onere connesso all’acquisto di beni strumentali, ostacolando anche per questa via la formazione o il rinnovo delle dotazioni aziendali e in ultima analisi la produttività del lavoro.

È vero che è stato posto un paletto anti-elusioni stabilendo che, per beneficiare del nuovo regime forfettario, bisognerà non essere stati dipendenti di un committente nei due anni precedenti, ma questo non appare ostacolo insormontabile. Sarà sufficiente che un’azienda ne crei un’altra, magari non partecipata totalitariamente, e la destini a vendita di servizi che acquisterà da ex dipendenti divenuti partite Iva, e lo schermo è fatto.

Altra chicca del nuovo regime è la rimozione di un’altra norma antielusiva, posta dal governo Renzi, che impediva l’ingresso nel regime agevolato a chi avesse anche redditi di lavoro dipendente eccedenti i 30 mila euro. Aver eliminato questo vincolo servirà a beneficiare ad esempio quanti oggi prestano consulenze “d’alto bordo”, come grand commis di Stato in pensione. Con l’unica avvertenza di stare sotto i 65 mila, s’intende. Ma pensate che bel regalino, il 15% onnicomprensivo in luogo di una più che probabile Irpef al 43% più contributi. Avremo consulenze meno esose, non vedete il beneficio?

 

È la morte dell’Irpef, ormai sempre più circoscritta a lavoratori dipendenti e pensionati. E questa legge di bilancio non fa che aumentare l’erosione a danno di quello che dovrebbe essere il perno impositivo di un paese che ha in Costituzione la progressività fiscale.

 

Nella manovra ci sono 5 nuovi regimi sostitutivi:


- 15% su autonomi forfettari fino a 65k

- 20% su autonomi tra 65 e 100k

- 21% su affitti commerciali

- 15% su lezioni private e ripetizioni

- 7% su pensionati esteri
Dimentico qualcosa?
L’Irpef non è in crisi, è defunta

Quindi, ricapitoliamo: un regime fiscale che spinge al nanismo d’impresa, alla sottrazione di materia imponibile, ad una erosione di basi imponibili, ad arbitraggi di prestazione d’opera, a forti diseguaglianze orizzontali tra lavoratori autonomi e dipendenti, difficilmente giustificabili con la remunerazione del rischio d’impresa e di lavoro autonomo. Un risultato senz’altro eclatante ed una cambiale elettorale del centrodestra “onorata” dalla Lega. Berlusconi ha di che essere invidioso. Malgrado le ormai innumerevoli prove del contrario, per l’Italia piccolo resta bello. Ed evasore pure.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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