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Referendum Atac, il sistema Paese e la bancarotta del socialismo surreale

Mi sarei volentieri risparmiato di commentare l’esito del referendum consultivo sulla messa a gara del trasporto pubblico locale in area urbana a Roma. Si tratta di uno di quei temi ormai stucchevoli, per logoramento, e dove si realizzano polarizzazioni immediate, con conseguente frastuono. Però alcune riflessioni ve le infliggo comunque.

Intanto, non era una “privatizzazione”, come invece è stato ossessivamente ripetuto dai “socialisti” (tra virgolette) che appestano questo paese. Era una messa a gara, sulla base di un contratto di servizio. Che è cosa assai differente, almeno in astratto. Vero è che questo paese ha una ricchissima storia di “liberismo con le tasse altrui”, e quindi il sospetto di collusioni pubblico-privato era ed è più che lecito.

Resta che Atac, oggi in un improbabile concordato, è un caso preclaro di putrefazione del cosiddetto intervento pubblico, lungo i lustri ed i decenni. Pensare di tirare una riga e ripartire, è frutto di una fantasia malata di malafede allo stadio terminale. Il socialismo surreale di cui si alimentano le cronache economiche e politiche del paese più socialmente disfunzionale d’Occidente è ormai talmente radicato che solo un miracolo civile potrebbe salvare l’Italia dal suo destino, che è quello di un declino inarrestabile, in cui la ricchezza accumulata in generazioni verrà compensata col debito, pubblico e privato.

Piuttosto ridicola la reazione del M5S all’esito del referendum. Intanto, la questione del quorum. Cambiando le regole in corsa ed a misura dei propri interessi, ora improvvisamente ne serve uno, con buona pace della “dottrina” del Movimento, che punta ad inserire in Costituzione il referendum propositivo ed abolire ogni quorum. Perché, come dice il ministro delle Riforme, Riccardo Fraccaro, il quorum “premia chi non partecipa” ed alla fine “disincentiva la partecipazione”. Ma inutile chiedere coerenza ad un ammasso informe di opportunismi e carrierismi, che ha radunato sotto il proprio logo lo stato dell’arte di una incoercibile ignoranza che è l’inequivocabile precipitato della bancarotta del sistema educativo del paese.

Ora abbiamo i festeggiamenti per questa sorta di “vittoria” politica, che consegna a Roma ed ai romani uno status quo fatto di degrado estremo. Possiamo dire che pure la messa a gara avrebbe prodotto lo stesso esito? Se la risposta è affermativa, possiamo solo giungere alla conclusione che non è l’assetto proprietario che conta bensì quello civile e sociale di una comunità. Io a questa conclusione credo da molto tempo, tra parentesi. La disfunzionalità civile e sociale di una comunità (locale o nazionale) produce esiti simili anche mutando la natura proprietaria dell’erogazione dei servizi pubblici.

È questo ciò che definisco “socialismo surreale” del paese. Se il tessuto civile della comunità ha come credenza di base che lo Stato, nelle sue articolazioni territoriali, è una “controparte” da fottere, non si va da nessuna parte: né verso la riduzione delle funzioni gestionali svolte direttamente dal pubblico, né verso l’introduzione di forme di concorrenza finalizzata ad aumentare il benessere della collettività, sotto la supervisione pubblica, che detta le regole del gioco.

Non saprei come definirlo ma dovrebbe essere un termine come civismo. Controllo sociale della spesa pubblica e della pressione fiscale, ed interiorizzazione del concetto di Stato come parte di sé anziché come controparte con cui ingaggiare giochi a somma zero. Ed è questo l’unico, vero fallimento di questa comunità nazionale. Tornando a Roma, pare che la “riscossa” dell’assolta Virginia Raggi (bene che lo sia stata perché una condanna sulla base delle motivazioni della procura le avrebbe donato una santità che non ha) passi attraverso un approccio rivoluzionario ed inedito: più soldi dai contribuenti italiani.

Perché, ehi, noi siamo Roma Capitale, vi è chiaro? Che poi è ormai lo schema consolidato di questo paese: chiedere sempre più risorse fiscali, e cercare di sottrarsele tra parti del sistema. Su tutto, vittimismo e ricerca del Nemico esterno che impedisce di raggiungere il risultato. Altro tratto distintivo del socialismo surreale italiano: deficit e debito come unico carburante, mezzo e fine. Uno stato di dipendenza ormai difficilmente curabile. Secondo voi, come potrà finire?

(Foto: Mariordo (Mario Roberto Durán Ortiz)/Wikipedia)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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