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Referendum? Arrendetevi, vincono loro

Il referendum sul taglio dei parlamentari cambierà la vita degli italiani? Per nulla, ma confermerà che il sintomo pentastellato della malattia italiana è in ottima salute

 

Come (forse) saprete, i prossimi 20 e 21 settembre si voterà per il referendum confermativo della legge costituzionale che ha disposto la riduzione del numero di membri di Camera e Senato. Mentre c’è già chi sta iperventilando per il giorno del giudizio divino dell’election day in cui si voterà anche in sette regioni, vorrei brevemente spiegarvi perché di questo referendum mi importa assai poco ma anche molto, e come le due dimensioni possano coesistere.

Il referendum confermativo non prevede quorum. In caso di prevalenza dei sì, la Camera passerà da 630 a 400 eletti, il Senato da 315 a 200 eletti. Dopo il taglio, il numero di cittadini rappresentati da un deputato aumenterà del 57%, quello dei senatori del 60%.

Pare che molti elettori siano rimasti fedeli, in termini di motivazione al sì, al messaggio originario del “risparmio” sui costi delle istituzioni. Risparmio che, è bene dirlo, definire ridicolo sarebbe un pallido eufemismo. Ma tant’è: e qui si ritrova la miscela tossica di uno dei maggiori punti di forza della predicazione pentastellata di questi anni: quella tra populismo ed analfabetismo funzionale e computazionale. Del resto, forse ricorderete anche che i grillini erano quelli che puntavano a tagliare le auto blu per risanare i conti pubblici. Tutto si tiene e persiste.

Assai singolare, peraltro, la più recente chiave di comunicazione pentastellata, che contraddice clamorosamente il messaggio ormai dilavato dell'”uno vale uno”:

In pratica, meno sono e più “valgono”, e chissà che questo non serva anche (forse) in termini di etica. Fantastico, no? Ricorda le periodiche lamentazioni delle ghilde di insegnanti che esigono la remunerazione media europea, “per avere più riconoscimento sociale”, e quindi recuperare il loro antico ruolo pedagogico. Salvo rigettare tutto quello che di meritocratico e selettivo viene attuato nelle “scuole degli altri”. Ma non divaghiamo.

Cambierà qualcosa, se vinceranno i sì, oltre alla riduzione del numero di rappresentanti del popolo? Credo nulla: i partiti continueranno le loro prassi di selezione negativa del personale politico, e vissero tutti felici e contenti. Immagino che i cambiamenti maggiori si avranno nel tentativo di dirottare i trombati elettorali verso ruoli di “burocrazia fiduciaria”, imprese pubbliche e municipalizzate: in questi ambiti dovrebbe aumentare fortemente la richiesta di fiduciari e amici di paesello, visto che siamo entrati nella fulgida era della ripresa dell’iniziativa pubblica contro il neoliberismo.

Se vinceranno i no, cosa attendersi? Nulla, molto semplice. Lo status quo, assai simile a quanto sopra. E quindi, di che parliamo? Per quanto mi riguarda, di una sola cosa: della notevole capacità del M5S a dettare l’agenda della politica mentre viaggiano verso il dissolvimento o la biodegradabilità, che dir si voglia.

Calcolo o accidente? Sulla prima ipotesi, non vorrei sopravvalutare i grillini ma neppure sottovalutare la loro capacità di annusare e plasmare l’orientamento di un’opinione pubblica che, maggioritariamente, ambisce non tanto a cambiare il sistema quanto ad esserne cooptata. Di conseguenza, al venir meno delle risorse fiscali per dare la mancia a tutti, gli elettori si sono incazzati ed hanno indossato il mantello dei Grandi Moralizzatori, al grido “muoia Sansone con tutti i raccomandati”. E lì il grillismo ha posto radici, che appaiono piuttosto salde, al di là del contenitore e del marchio utilizzato.

È giunto il momento di spiegarvi perché sono preoccupato, quindi. Sono preoccupato sentendo in questi giorni il mugolio zingarettiano “eh, ma per dare una indicazione di sì approviamo la nuova legge elettorale almeno in un ramo del parlamento, orsù”. In effetti, questo taglio dei parlamentari, come da accordo, andava accompagnato ad una legge elettorale di nuovo impianto, come ogni legislatura che si rispetti (si fa per dire), ed al ridisegno dei collegi elettorali.

È l’antica credenza italiana che le leggi elettorali possano sostituire la matrice culturale dell’elettorato. Ho letto e sentito per lustri elucubrazioni provinciali sul sistema spagnolo, tedesco, israeliano, portoghese, romulano. “Eh, ma se avessimo il doppio turno, il sindaco d’Italia, il first past the post anglosassone, il carpiato con scorporo dei resti umani ed il collegio unico planetario”, e giù di politologi con lavagna e ditino levato, manco fossero economisti o virologi (spoiler: lo sono).

Al che, di solito sbadiglio e passo oltre. Ma questa volta non riesco. Sapete perché? Perché è la seconda volta, in altrettanti governi, che il M5S può portare a casa uno scalpo inutile ma identitario, e che inesorabilmente condizionerà la “costituzione materiale” di questo paese, o meglio i suoi precetti sempre più populisticamente tossici.

Leggi anche: Il non-necrologio del M5S

Quanti tra voi ricordano che è ormai in vigore la “riforma” della prescrizione, quella che rischia di porre un bel pietrone tombale sulla chimerica ragionevole durata dei processi, nei gradi successivi al primo? Quanti tra voi ricorderanno il patto politico tra 5S e Lega, basato sull’entrata in vigore differita (1 gennaio 2020) della riforma della prescrizione, mentre si prometteva solennemente di avviare l’iter parlamentare della riforma del processo penale per ridurre i tempi della giustizia? La prima è arrivata in porto, la seconda mai partita. Vittoria pentastellata.

Ed ora, si replica: taglio dei parlamentari, stallo sulla nuova legge elettorale. Per non parlare della riforma del bicameralismo perfetto, mai neppure ipotizzata, in questi patti di potere. Vittoria pentastellata. Un giorno, tutti questi cumuli di macerie e letame saranno vostri. Lo schema è quello: il M5S mantiene un ovvio potere di coalizione, essendo ancora il primo partito per numero di eletti, e lo fa valere quando decide di allearsi con i disperati di turno.

Esiste, quindi, un rilevante potere di condizionamento dei pentastellati sull’agenda politica. Tale potere genera do ut des che finiscono monchi, nel senso che i desiderata grillini diventano legge, quelli della occasionale controparte politica vengono affossati da paralisi e veti incrociati. Lo so, a questo giro è stato Renzi, che non vuole più il proporzionale. Ma conta l’esito.

Ed al prossimo giro, cosa? Il famoso referendum propositivo senza quorum, per certificare la “democrazia diretta”?

Quindi, non mi straccerò le vesti per il referendum del mese prossimo ma sono preoccupato per questo zeitgeist italiano, basato sulle ardite costruzioni che partono dal tetto, a colpi di bava alla bocca ed in nome del popolo stressato. Vincono i pentastellati, che si confermano sintomo persistente ed in via di aggravamento della malattia italiana. Ignoranza, superficialità, pressappochismo.

 

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