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Reddito di cittadinanza: il caso dei desaparecidos digitali

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

a sei mesi circa dall’avvio del Reddito di Cittadinanza, ancora non si sono visti gli effetti sull’occupazione, perché non è partito il sistema di chiamata dei beneficiari finalizzato ad attivare con loro azioni di riqualificazione e ricerca di lavoro. Come dice, Titolare? C’era da aspettarselo? In effetti, l’impianto normativo è scritto in modo estremamente confusionario, seppur guidato da ottime intenzioni.

Si è rilevato nei giorni scorsi che circa il 40% dei beneficiari del RdC non sta rispondendo alle convocazioni dei centri per l’impiego, finalizzate a sottoscrivere i patti per il lavoro e formalizzare la ricerca attiva di lavoro.

Una percentuale di assenza alle chiamate molto elevata. Un caso? Non si direbbe. Il problema sta nella regolazione del sistema di assegnazione del reddito e, a cascata, delle convocazioni.

Partiamo da queste. L’articolo 4, comma 15-quinques del d.l. 4/2019 dispone che la convocazione dei beneficiari da parte dei centri per l’impiego e dei comuni, singoli o associati, può essere effettuata anche con mezzi informali, quali messaggistica telefonica o posta elettronica, secondo modalità definite con accordo in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Ottimo. Per la prima volta la normativa in tema di servizi per il lavoro ammette la possibilità di abbandonare carta e spese per raccomandate A/R e, quindi, velocizzare, rendere maggiormente economico e semplice il processo di chiamata, mediante mail o sms.

Tuttavia, Titolare, c’è un “però”. Il sistema di chiamata “informale” può funzionare solo a condizione che a monte, al momento cioè della pratica di richiesta ed attribuzione del RdC il richiedente conferisca in modo accertato e verificato un corretto ed esistente numero di telefono ed una corretta ed esistente casella di posta elettronica.

Prevengo la Sua domanda: il sistema non ha garantito la qualità dei dati relativi a telefoni e mail dei beneficiari. Pertanto, sono transitate ai centri per l’impiego le anagrafiche dei beneficiari del Reddito a loro non conosciuti (è da precisare che la maggioranza, circa il 70% dei beneficiari è invece già nelle banche dati dei disoccupati) senza numeri di telefono e senza mail oppure con numeri e caselle in realtà errati, se non fittizi.

Questo spiega in parte il gran numero di convocazioni andate a vuoto, fermo restando che un certo numero di queste assenze è invece causato da negligenza da parte dei beneficiari. La “scoperta” dell’inefficienza del sistema, facilmente prevedibile, avviene adesso che si constatano i problemi di comunicazione.

Eppure, sarebbe bastato quel passetto in più. Guadato, finalmente, il Rubicone che ha permesso di andare dalla convocazione cartacea a quella telematica, non si capisce perché non sia stato fatto in modo di condizionare l’approvazione del Reddito all’acquisizione, da parte dei beneficiari, di un domicilio digitale. Si sarebbe potuto (forse dovuto) sperimentare uno strumento, il domicilio digitale, espressamente previsto dal codice dell’amministrazione digitale, che lo definisce “un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, di seguito «Regolamento eIDAS», valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale”. In questo modo si sarebbero prevenuti tutti i possibili effetti distorsivi della mancanza di qualità dei dati su numeri di cellulare e mail ordinarie.

Quanto meno, si sarebbe potuto condizionare l’assegnazione del Reddito all’apertura di una casella di posta elettronica certificata.

Come certamente avrà notato, Titolare, l’intero impianto del RdC è stato raccontato come il trionfo dell’informatica: piattaforme dell’Anpal, dialoganti con l’Inps, nelle quali centri per l’impiego e comuni navigano per reperire i beneficiari e tracciare le attività di ricerca lavoro o assistenza; soprattutto, app per cellulari, capaci di intermediare automaticamente domanda e offerta di lavoro. La realtà è che non si è nemmeno riusciti a realizzare un sistema efficiente di contatto con i beneficiari, tale da assicurare che le convocazioni telematiche andassero a buon fine.

Adesso, si raccolgono i cocci del problema. Infatti, le regioni ritengono che non sia corretto attivare la “condizionalità”, se prima non si pone rimedio alla carenza e incompletezza dei dati relativi ai beneficiari nelle piattaforme informatiche.

Come dice, Titolare? Spieghiamo cos’è la “condizionalità”? Null’altro che l’insieme delle sanzioni conseguenti a comportamenti dei beneficiari considerati dal legislatore meritevoli di una sanzione, che può andare dalla decurtazione di alcune mensilità del Reddito, fino alla decadenza.

Ora, Titolare, proprio l’assenza alla prima convocazione finalizzata ad avviare il tutto, comporterebbe l’applicazione della decurtazione di una mensilità. Tenendo presente che è l’Inps a dover curare il procedimento connesso e ad adottare il provvedimento. I centri per l’impiego e, dunque, le regioni, dovrebbero solo limitarsi a segnalare l’evento (l’assenza alla convocazione) entro 10 giorni lavorativi, su uno specifico applicativo reso disponibile dall’Anpal.

 

Come detto, però, le regioni ritengono che attualmente segnalare le assenze alle convocazioni, stante la carenza della qualità dei dati relativi a numeri di telefono e caselle mail, non risponderebbe a principi di giusto procedimento. E si sta provando a concordare con Anpal e Ministero modalità operative finalizzate quanto meno a rinviare a data certa le segnalazioni.

A meno di non tornare all’idea di spedire milioni di raccomandate, con oneri procedurali e finanziari epocali, sarebbe forse opportuno che l’ente erogatore, cioè l’Inps, che dispone dell’intera banca dati dei beneficiari, li richiamasse tutti per validare le caselle di mail e i numeri di cellulari, o, meglio ancora, per ottenere l’apertura di una pec.

Nel frattempo, con questi rinvii e problemi, accanto a chi non riceve le comunicazioni in buona fede perché il sistema non ha registrato correttamente numeri di telefono e mail ovviamente sta chi in maniera consapevole non risponde agli sms e alle mail e potrà continuare a non adempiere neanche ai minimi obblighi connessi al reddito.

Inoltre, mentre si discetta sui problemi di comunicazione e si prospettano rinvii delle segnalazioni, resta in vigore l’articolo 7, comma 13, del d.l. 4/2019, che schiaccia i dipendenti dei centri per l’impiego sotto responsabilità disciplinari ed erariali, qualora non segnalino i fatti da cui dipendano decurtazioni o decadenza dal Reddito.


Mentre in queste settimane si discetta furiosamente su come spingere più o meno gentilmente gli italiani verso i pagamenti digitali, scopriamo che le procedure del reddito di cittadinanza non hanno previsto la validazione di un recapito “digitale”, sia esso mail o telefono. A volte mi chiedo se dietro questi buchi procedurali ci sia malafede o solo incoercibile stupidità, che in gergo politicamente corretto si chiama disfunzione organizzativa. Il risultato finale è che, mentre attendiamo che la prodigiosa app del Mississippi inizi a contrastare la disoccupazione anche in zone dove l’offerta di lavoro semplicemente è assente, ci sovviene che dall’inizio di questa vicenda qualcuno aveva previsto che il reddito di cittadinanza sarebbe stato, nei fatti, un sussidio incondizionato. Ma la sfera di cristallo non c’entra. (MS)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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