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Reddito di cittadinanza: i sommersi e i congrui

Una delle maggiori disfunzionalità della grande operazione di voto di scambio nota come reddito di cittadinanza è relativa alla cosiddetta congruità dei lavori offerti ai destinatari del sussidio, ovviamente prescindendo dall’esistenza di tali lavori. Il fatto che nel decretone sia stata inserita anche una soglia retributiva minima determinerà rilevanti casini.

Ne parla oggi sul Sole un articolo di Michela Finizio e Valentina Melis. Come noto, durante il passaggio in Senato del decretone, è stato inserito un tetto minimo di stipendio, pari ad una maggiorazione del 10% sul sussidio massimo erogabile ad un single, che è di 780 euro. Quindi tale retribuzione minima, se confermata in sede di conversione in legge, sarebbe di 858 euro.

Ma questa soglia monetaria si aggiunge, nel reddito di cittadinanza, ai criteri di congruità:

Ma quando un’offerta di lavoro è «congrua»? I requisiti sono tre e devono essere presentì tutti insieme (come prevede il Dm 10 aprile 2018 del ministero del Lavoro): tempo indeterminato (o a termine o di somministrazione di almeno tre mesi); a tempo pieno o con un orario non inferiore all’80% dell’ultimo contratto di lavoro; retribuzione non inferiore ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Anche un non addetto ai lavori coglierebbe immediatamente che questi paletti escludono molte offerte di lavoro, soprattutto -ma non solo- se di primo impiego, oltre a mettere fuori gioco praticamente ogni forma di part-time.

Di assoluto rilievo è poi il fatto che, mentre le ipotesi di congruità valgono anche per i percettori di Naspi, cioè del sussidio di disoccupazione, questi ultimi possono rifiutare una sola offerta congrua ma non hanno il lusso del paletto retributivo minimo.

Il risultato è che i disoccupati percettori di Naspi saranno costretti ad accettare offerte “congrue” ma con retribuzione anche inferiore a quelle che proteggono il comfort dei percettori di reddito di cittadinanza. Se non vi sentite ribollire il sangue, di fronte ad una simile rivoltante discriminazione, forse è perché siete abituati ad una vita di espedienti.

Ecco quindi che, con un tratto di penna, si crea penuria di profili professionali, almeno se li si dovesse assumere “in chiaro”:

Sul mercato, come emerge dalle elaborazioni del Sole 24 Ore, ci sono diverse offerte occupazionali sotto queste cifre e che, con il reddito di cittadinanza, potrebbero diventare “rifiutabili” e perdere appeal. È il caso di molti stagionali: in agricoltura, per 180 giornate annue al minimo contrattuale si arriva a una paga di 505,05 euro al mese. Anche molte offerte a orario ridotto sono inferiori agli 858 euro: un part-time al 50% coni il contratto alimentari-industria, di 5° livello, percepisce 807,41 euro per 20 ore settimanali; un commesso di negozio (sempre in part-time al 50%, 4° livello) arriva a 808,34 euro. Infine, ci sono gli apprendistati, dove il tempo indeterminato non basta a rendere congrue alcune proposte di lavoro: si pensi a un parrucchiere, al suo primo anno, che ha una retribuzione pari a circa 828 euro al mese per 40 ore settimanali.

Un demenziale incentivo al lavoro nero ed all’abbattimento del tasso di partecipazione alla forza lavoro, ed una gigantesca spinta all’immersione di part-time (volontari), stagionali ed apprendisti. Con buona pace di qualche scienziato keynesiano che pensa che il reddito di cittadinanza spingerà il Pil potenziale e ci permetterà di fare più deficit, in una moto perpetuo che andrebbe bene per i pacchi da parcheggio dell’Autogrill.

Come risolvere, allora? Intanto, questa è l’ennesima pleonastica conferma che l’importo base del reddito di cittadinanza è sbagliato in radice. Si è cercato il valore della povertà relativa e non di quella assoluta, e ciò interferisce pesantemente col mercato del lavoro. Prima manifestazione di analfabetismo, per non dire altro. Del resto, che attendersi da chi tratta congiuntamente politiche sociali di lotta alla povertà e politiche attive del lavoro?

Una gigantesca operazione per spingere imponenti masse di persone verso il nero. Tornerà utile a molti imprenditori, soprattutto quelli operanti in contesti marginali, di basso valore aggiunto e labour intensive. Causerà una pesante erosione fiscale e contributiva, che sarà pagata da chi lavora in regola, soprattutto i “ricchi” da 30 mila euro lordi annui in su.

Come ridurre il danno, quindi? Riparametrando la congruità retributiva al salario orario minimo dei contratti collettivi, ove esistenti, rischia di non risolvere, visto l’importo assurdamente elevato del reddito di cittadinanza, che rappresenta un altissimo ostacolo all’offerta di lavoro, soprattutto di quello non qualificato, e che pare costruito per impedire con ogni mezzo che qualche percettore si trovi nella spiacevole situazione di dover lavorare. Il processo di ammaloramento del paese prosegue a tappe serrate.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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