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Quando leggere è anche vivere: ’L’estate che perdemmo Dio’ di Rosella Postorino.

Le fughe sono anche perdite. Di solito è inevitabile.
E lo sono soprattutto per gli occhi di una bambina che non capisce, non sempre, cosa succede attorno a lei, cosa dicono ‘davvero’ i grandi che invece dosano toni, modi, significati. Eppure quegli stessi occhi non cedono all’inganno, ricordano e si sforzano di comprendere, uniscono tasselli lontani. Seppure dentro una realtà di divisioni, fughe appunto, e fatica che è anche perdita, abbandono di qualcosa che prima era poi nulla.

Una famiglia lascia un paese del Sud, verso un ‘Altitalia’ fredda, sconosciuta e vuota, ma in grado di garantire sopravvivenza. Padre, madre e due figlie lasciano la famiglia. La. Famiglia. In fretta e furia partono, abbandonano terra e grida, morti.
Finché un’altra morte, l’ennesima, e il passato che torna, si incastra col presente che è diverso per forza, lontano dagli affetti, i luoghi noti. E nel ritorno gli occhi di una bambina ricostruiscono. Recuperano memorie e percezioni, volti familiari e pianti nuovi. 

Rosella Postorino sceglie un angolo narrativo preciso, che sposta la visuale mostrando la storia attraverso incastri differenti. Caterina e quello che ricorda, metabolizza, affronta nei suoi dodici anni anagrafici. Il viaggio di Salvatore, il padre di Caterina, il ritorno alle origini tra parenti in lutto, rimorsi gravosi, dolori mai sopiti, dubbi graffianti.

Il senso di ciò che è giusto e ciò che non lo è qui si sfalda, ed è uno sbriciolamento lento ma inesorabile. L’immagine ormai consolidata della famiglia del Sud in fuga da una realtà evidentemente scomoda e illegale ma che mantiene legami forti e contrastanti con le proprie radici, la Famiglia e un passato fin troppo presente; questa immagine fa parte ormai di una precisa idea del meridione, dei meridionali e di quegli affari che sporcano l’Italia. Eppure. Straordinariamente questa storia vira, narra senza sovrastrutture. La voce bambina di Caterina aggancia il presente scosso dall’improvvisa partenza del padre, con un altro viaggio altrettanto improvviso e segnato dal presagio funesto della sciagura, in un passato ancora vivo, pulsante. Ed è necessariamente una voce che non può, non deve, attribuire colpe se non ponendo ogni cosa, ogni azione, persona e ricordo sullo stesso piano. Noi non siamo cattivi, vero? Arriverà a chiedere ma è una domanda a cui il lettore ha già risposto, inconsapevolmente forse, senza pronunciarla ad alta voce. Perché non si riesce a ignorare il dolore di questa famiglia, la ferocia di un buco tra la carne di un uomo e una donna, giovani sposi, giovani genitori, pieni di paura, divisioni che sono fratture in aumento, disposti a dividersi pur di salvare le figlie e allo stesso tempo pulcini impauriti in una terra straniera, quest’Altitalia che pare ostile per definizione, talmente diversa negli odori, sapori e nel silenzio che diventa crudeltà tra le mani dei bambini.
Siamo tutti fatti di ossa, carne e cicatrici. Questo sembra dire il romanzo. Possiamo aver commesso questo o quello, sbagliato o meno, abbandonato ma non dimenticato, scelto eppure lottato contro la scelta stessa, amato e odiato nello stesso momento, ricordato e tentato di dimenticare, reciso legami poi rimasti aggrappati al collo, accarezzato e impugnato armi. 

 

Salvatore non sa distribuire colpe, Salvatore delle colpe non se ne fa nulla. Quando ama non condanna, Salvatore crede nel rispetto, nel bene che a volte prende pieghe strane, nel bene che a volte devia dal percorso…
(pag.293)

Perdere Dio, d’estate, è dunque l’unica strada percorribile.
Per trovarlo ugualmente, un modo per continuare a vivere, seppure in perenne fuga, da eterno ospite spesso sgradito, ma ‘vivo’ e capace ancora di sorride a un arrivo con le mani che stringono ancora – sempre – l’ultima partenza e dietro, visibili e pressanti, quelle precedenti, le persone che.

Una struttura che assorbe, dove i tempi e le visuali si alternano con sapienza, catturano.



Poi i dettagli.
Credo che uno degli elementi notevoli e degni di nota, plauso di questo romanzo siano propri i dettagli. La capacità della Postorino di volgere l’attenzione a piccoli gesti, azioni banali e semplici, oggetti comuni quanto spesso invisibili. Eppure ogni tassello non è casuale, bensì funzionale, necessario a catturare l’anima di Caterina, la lotta di Salvatore e quella altrettanto dura, faticosa, della moglie Laura. Poi Margherita, la sorella minore, Ignazio, nonna Cata e nonno Cecè (protagonisti di delicate quanto toccanti scene familiari unte dal dolore), ‘Ntoni, Fatima e tutti gli altri rimasti in quel Sud pericoloso, faticoso eppure unico luogo dove poter stare.
Non si può essere naufraghi per sempre, pensa Laura a un certo punto, e come lei il marito Salvatore si sente un sopravvissuto che ama e odia la vita rimasta. Eppure in quelli che paiono dialoghi tra sordi, linguaggi incompatibili; lì tra silenzi e labbra che sanguinano; lì, c’è l’essenza di una storia che non chiede. Si spoglia.

Lui taceva. Serrava le labbra. Si strappava le pellicine coi denti. Sembrava cattivo in quel momento, a guardarlo. Ci sono uomini che quando soffrono non fanno tenerezza, fanno paura. Ci sono uomini che mascherano il dolore con la rabbia, la desolazione con l’indifferenza, e solo conoscendoli bene si può trovare la forza di andargli incontro, solo amandoli molto si può soffrire per loro.
(pag.218)

… il giovane uomo e la giovane donna camminavano con facce spaesate, e tuttavia non si fermavano, sapevano che un minimo scollamento avrebbe potuto far crollare tutto, produrre in uno a caso dei due un guizzo di follia, fargli mollare di colpo la mano della figlia, voltarsi e iniziare a correre, con un’agilità mai vista prima salire di nuovo sul treno, restare sospeso ancora un po’ sul limine, al confine tra la vita precedente con le sue certezze e i suoi sogni programmati, e quella futura, un lenzuolo bianco steso sopra ogni cosa.
(pag.50)

Rosella Postorino scrive osservando, vivendo, cogliendo moti, stati e livelli di quel dentro della natura umana che non sempre ci piace conoscere ma che c’è – preme – e fa parte di ognuno di noi.

L’estate che perdemmo Dio
di Rosella Postorino
Einaudi, stile libero big
Isbn: 978-88-06-19625-7
Aprile, 2009, pag..344, E.19

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