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Quale differenza ricorre tra pensare e cogitare?

In un tempo come quello attuale, il fatto di poter cogitare diventa un aspetto qualificante nello stile di vita di ciascuna persona. Dal momento che, rinunciare a questa determinante funzione, voglia dire ricusare la fondamentale prerogativa dell’essere umano. Anche a livello scientifico, si rende sempre più evidente la potenzialità energetica insita nella capacità di conoscere e quindi di trasformare i concetti e gli eventi, e con essi la materia e il mondo.

Ma, quale differenza ricorre tra pensare e cogitare? Il cartesiano “Cogito, ergo sum”, cosa voleva significare? Val la pena precisare che certe confusioni si ingenerino quando non si consideri l’etimologia della terminologia adottata. Al pari di cogitare, anche pensare è un verbo. La sua origine viene dal latino “Pensum”, ricondotto all’operazione del “peso della lana”. Quindi, al concentrarsi su qualcosa di specifico, essendo questo il compito “meditativo” affidato alle ancelle nelle filiere della lana. Se ne desume pertanto che l’assunto cartesiano dovrebbe compendiarsi nel “Peso la lana, dunque sono”. Ma, si potrebbe limitare a questo la conquista intellettiva del padre del “ragionamento”? Certamente, no. Con quella affermazione, Cartesio alludeva ad altro: intendeva dire che soltanto “partorendo idee”, e non concentrandosi semplicemente su qualcosa, si possa esistere.

Risulta così evidente come il cogitare rechi insita una notevole potenza. Perciò esso sembra essere appannaggio di pochi. Naturalmente, questa funzione non richiede a chiunque la possibilità di esser scienziato. Non per questo, però, bisogna relegarsi al ruolo di meri fruitori del prodotto della altrui cogitazione. Altrimenti si diventa consumatori: consumatori certamente di beni materiali, ma soprattutto di idee sempre più omogenee, in serie. Proprio come gli abiti che, di stagione in stagione, la moda impone.

Perdere o rinunciare alla possibilità di cogitare, quindi di conoscere e di valutare criticamente e con ponderazione, equivale a perdere o a rinunciare alla propria libertà. Occorre indubbiamente coraggio per poter cogitare. Per questo è necessaria la fatica di applicarsi, di seguire un metodo, di porsi di fronte a interrogativi apparentemente senza risposta.

La maniera corrente di elaborazione delle idee, non sa dare risposte a molti quesiti fondamentali per l’esistenza. Naturalmente, non si sa fornire una esaustiva risposta a quesiti come: che senso abbia vivere o come affrontare lo scorrere di una giornata o dove conduca la nostra esistenza. Per queste domande non esistono risposte preconfezionate. La risposta a ciascuna di esse può essere soltanto soggettiva. Perché si tratta di una risposta maturata dentro ciascuno di noi, nel continuo confronto fra le ragioni soggettive del cogitare e quelle provenienti dalle letture e dallo studio. Così posto, però, l’impegno del cogitare può sembrare astratto.

 Per poter adeguatamente cogitare, è bene perciò coltivare dentro noi stessi domande che ci appassionino o dedicarci a interessi capaci di coinvolgerci direttamente. Ma bisogna anche leggere. Bisogna leggere tanto. Talvolta forse non riusciremo a leggere che poche pagine al giorno. Ma saremo comunque aiutati a riflettere, e quindi a “partorire” idee, su quel che ci succeda intorno, attraverso il ricorso al nostro spirito critico. Non dimenticando la necessità di conservare il gusto per le cose piacevoli al fine di allontanarci dalla pessima abitudine di ritenere che tutto possa essere solo e soltanto “consumato”.

La facoltà di cogitare non è pertanto un impegno per pochi, poiché in essa ciascuno può trovare quel che meglio si addica alla specifica circostanza, ricordando sempre che il cogitare richieda comunque disciplina e decisione, soprattutto quando si sia tentati dalla superficialità.

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