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Qualche "frammento" di storia per conoscere il numero 2 dei casalesi, Mario Caterino

Nello stesso giorno in cui le forze speciali USA uccidevano Bin Laden in Pakistan, è passata in secondo piano la notizia della cattura di Mario Caterino, il più invisibile dei superboss della costellazione dei “casalesi”, dal 2005 latitante ed inserito nell'elenco dei 30 mafiosi più pericolosi. Di lui si sa poco o nulla.

Mario Caterino, il più “formiano” tra gli ultimi boss casalesi ancora in libertà, affiliato alla fazione di Francesco Schiavone, detto Sandokan, è stato catturato pochi giorni fa a Casal di Principe e c'è poco da stupirsi se nel suo ultimo covo in via Toscanini, nel dedalo delle vie principali del paesone dei mazzoni, a pochi metri dal comando della squadra mobile, condividesse la sua latitanza con le immagini sacre di Padre Pio. Questione di stile per uomini di fede, ed ognuno ha la sua immagine di dio, sempre che non venga dopo l'immagine del ponte in acciaio raffigurato nella rosea filigrana delle banconote da 500 euro.

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Licio Gelli

Poco avvezzo al computer ed ai cellulari, non lasciava mai nessuna traccia elettronica dietro di sé. Schivo al punto da sembrare un altro mistero all'italiana il fatto che non venisse mai nominato su giornali e tv, benchè considerato secondo solo a Zagaria per pericolosità nell'elenco dei top 30 latitanti del Ministero dell'Interno. Mario Caterino è stato l'uomo del clan che aveva avuto una funzione strategica nel business dei rifiuti, sin dall'inizio degli anni '90. Il pentito Dario De Simone, nel 1997 gli attribuì la funzione di procacciatore, insieme a Francesco Di Puorto, dei contatti con gli imprenditori nell'Italia settentrionale, in particolare in Toscana, per trattare lo smaltimento di rifiuti tossici industriali. La società che gestiva il trasferimento e gli interramenti illegali ed abusivi nel casertano e nel comune di Giugliano, era la Ecologia 89, dell'ingegner Gaetano Cerci, imparentato con Francesco Bidognetti, ed in contatto con Licio Gelli.

Componente del clan sin dai tempi di Antonio Bardellino, Mario Caterino aveva cominciato la carriera come autista di Sandokan e deve il suo soprannome, “a' botta”, per la sua capacità nel maneggiare gli esplosivi, con i quali il clan convinceva gli imprenditori a pagare le estorsioni. Dalle dichiarazioni dei vari pentiti si sa che successivamente è stato cassiere ed che a lui spettava stipendiare gli affiliati, almeno fino al 2003 (dichiarazioni di Luigi Diana).

Il suo arresto lascia ancora più solo il boss Michele Zagaria, ed apre ad uno scenario inedito sul futuro della “supercosa” casertana. Su Mario Caterino le notizie a disposizione dei magistrati compongono solo in parte il quadro delle attività di un criminale - condannato all'ergastolo per omicidio, estorsione aggravata ed associazione mafiosa - che è in realtà un elemento la cui vicenda lega due generazioni del clan dei casalesi, il cui ruolo si può dedurre anche solo da come è stato tratteggiato dai collaboratori di giustizia.

 

Le armi acquistate nel 1982 dai militari USA.

E' del marzo scorso invece l'importante operazione coordinata dai Carabinieri del nucleo operativo di Roma, che hanno portato all'arresto di Gennaro De Angelis (classe 1944), originario di Casal di Principe, uno dei principali uomini di fiducia di Antonio Bardellino, fin dagli anni '70 reggente della fazione pontina dei casalesi, il cui controllo si estendeva in tutto il basso Lazio; e di Ciro Maresca (classe 1939), di Castellammare Di Stabia, fratello di Pupetta Maresca, nel cui ristorante di Roma, "Il Destriero", gestito con Corrado De Luca, uomo di Antonio Iovine, sono stati documentati i rapporti d'affari tra i casalesi ed Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana.

Gennaro De AngelisDe Angelis, che viveva nella centralissima via Vitruvio di Formia, era specializzato nel mercato delle autovetture, nella distribuzione delle carni, nel settore dei mobili e nei caseifici, un impero valutato in 80 milioni di euro iniziato dalla fornitura di armi al clan. Il pentito Carmine Schiavone ha raccontato ai magistrati "nel 1982 - ero in libertà - ci rifornimmo di armi americane, in particolare pistole Colt e Smith & Wesson, nonchè qualche fucile a pompa di marca Winchester, presso appartenenti alle forze Nato Usa di stanza in Gaeta. Ricevemmo anche un Winchester Usa in dotazione a quelle forze armate. L'affare fu trattato dal nostro affiliato De Angelis Gennaro, all'epoca caporegime del basso Pontino. Le armi furono pagate un milione l'una. Io stesso tenni in custodia una cassetta contenente sei 357 e sei calibro 38. Alcune di queste armi calibro 38 erano cromate interamente e di colore bianco argento".

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Su questo inquietante episodio è appena il caso di notare che, nel pieno di una guerra di camorra tra i clan legati a Raffaele Cutolo ed ai calabresi Piromalli, la Nuova Camorra Organizzata, ed i clan della Nuova Famiglia legati ai corleonesi, tra questi i casalesi, gli uomini di Bardellino si rifornissero di armi a Gaeta, dove sono di stanza i militari del comando della VI flotta USA.

Gennaro De Angelis, fedelissimo di Bardellino, fece parte del gruppo che andò a piazzare una bomba sotto la casa di Raffaele Cutolo ad Ottaviano, nel 1981, in uno dei momenti apicali di un conflitto che causò oltre 3500 morti.

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L'episodio dell'acquisto delle armi dai militari USA meriterebbe un approfondimento storico, e si colloca nel periodo in cui i servizi segreti italiani furono coinvolti nell'affare Cirillo, attuando una trattativa con Cutolo per la liberazione di un modesto assessore regionale della DC ai lavori pubblici, rapito a Napoli dalle Brigate Rosse quando, nemmeno due anni e mezzo prima, lo Stato aveva lasciato uccidere Aldo Moro rifiutando ogni trattativa. Nella vicenda si verificò uno scontro tra SISDE e SISMI. Il servizio segreto “democratico” fu estromesso e passò la mano al servizio segreto militare, dopo che due funzionari ebbero accompagnato Giuliano Granata (sindaco di Giugliano) e Vincenzo Casillo (luogotenente di Cutolo), nel carcere di Ascoli Piceno per trattare la collaborazione del boss della NCO.

Una istruttoria del giudice Alemi di alcuni anni dopo confermò tutte le attività svolte dal SISMI e fece emergere la circostanza che il direttore della XI sezione del SISDE, Giorgio Criscuolo, si era recato più volte nel carcere di Ascoli per incontrare Cutolo. Le trattative, condotte anche da uomini politici democristiani, costarono la vita al vicequestore Antonio Ammaturo, il quale stava indagando su questo retroscena di cui era all'oscuro. Fu ucciso dalle BR dopo aver inviato un rapporto dettagliato al ministero dell'Interno, ed al fratello. I rapporti scritti da Ammaturo non furono mai rinvenuti.

Il generale Santovito del SISMI si assunse poi la paternità dell'operazione di contatto con Cutolo, giudicata anomala dal CESIS. In seguito, dopo la pubblicazione degli elenchi della P2, Santovito fu poi collocato a riposo.

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Gen. Musumeci

Dal SISMI fu in seguito allontanato anche il generale Pietro Musumeci, responsabile dell'ufficio “controllo e sicurezza”, (il generale aveva la tessera P2 n.1604). Musumeci prese poi l'incarico di capo ufficio sicurezza del Banco Ambrosiano Veneto di Roberto Calvi. Al neo direttore del SISMI che operò la “bonifica” di quegli anni, il generale Lugaresi, si deve anche il merito di aver bruciato il "consulente" del SISMI Francesco Pazienza, uomo legato al generale Santovito, elemento di collegamento tra Licio Gelli, il SISMI, la CIA e gli "ambienti arabi".

Il brasseur d'affaires Pazienza, che nel 1980 si era già distinto per aver prodotto una delle più celebri patacche dei nostri servizi segreti deviati, i presunti contatti tra il presidente Jimmy Carter ed il colonello Gheddafi i quali, divulgati sulla stampa, favorirono l'elezione di Ronald Reagan; nell'estate del 1981, era diventato uno stretto collaboratore di Roberto Calvi.

A completare il quadretto, è giusto ricordare che il vice di Cutolo, Vincenzo Casillo, per anni considerato il vero esecutore dell'assassinio di Calvi, fu poi ucciso da Umberto Ammaturo, socio d'affari di Antonio Bardellino nel traffico di cocaina dal Brasile e Santo Domingo, uomo di Carmine Alfieri, con una bomba azionata con un comando a distanza, mentre si trovava nella sua auto, nei pressi di Forte dei Braschi, sede del SISMI, nel 1983, sancendo la definitiva fine dello scontro tra Nuova Famiglia e NCO.

Dopo la scomparsa di Bardellino, Gennaro De Angelis finito nella lista degli uomini da eliminare dal nuovo vertici dei casalesi, si legò a Francesco Schiavone detto Sandokan, continuando a gestire il sud pontino. Ed è sempre Carmine Schiavone a raccontare che la pace fu siglando con un regalo, in cui Mario Caterino svolse il ruolo di mediatore,“una volta gli regalò (Nd.R a Francesco Schiavone) una Jaguar verde bottiglia. Ricordo questo episodio in quanto sapevo che Francesco Bidognetti aveva espressamente chiesto a De Angelis, che veniva a Casale con questa macchina, di regalarla a Sandokan, che era un appassionato di Jaguar.”

Fu Mario Caterino a portare l'auto fino a Casale, “tornando da Formia, entrando nell'abitazione di Schiavone, in via Bologna, rimase incastrato nel cancello elettrico che delimitava la proprietà, danneggiando l'auto".

Tratteggi e frammenti di una storia più complessa che conosceremo forse solo tra anni...

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