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Proteste dei lavoratori di Pompei e di Alitalia. Come i minatori inglesi?

di Nello BALZANO

Leggere i quotidiani i giorni scorsi e vedere che sulle prime pagine campeggiava, più o meno in evidenza, la notizia dello sdegno del Presidente del Consiglio italiano in merito alle proteste dei lavoratori degli scavi di Pompei e dell’Alitalia, mi ha portato subito a quel triste periodo: lo sciopero dei minatori inglesi, quello che nonostante la dura lotta di quasi un anno, consacrò la politica neoliberista della Thatcher.

So che da molti anni ormai (dal 1990 per la precisione con l’approvazione della legge 146 relativa al diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali) è in atto una sotterranea battaglia contro i diritti dei lavoratori, questa cosa che dovrebbe sdegnare tutte le persone che vivono di lavoro, sta diventando il leit motiv per la loro condanna.

Viene mischiato tutto, chi rispetta e chi non rispetta le regole, con un unico obiettivo: disarmare il potere contrattuale dei sindacati, con l’approvazione generale.

Tutto ciò che ha reso possibile la crescita economica e sociale diventa nemico, malattia del sistema, allora il nemico non è più chi non rispetta le persone, chi le sfrutta con il ricatto del lavoro,chi si arricchisce indebitamente con i proventi da lavoro non redistribuito e investito nel gorgo della Finanza speculatrice, ma i lavoratori che per l’opinione pubblica sono ingrati nei loro confronti, per il “privilegio e la fortuna” di lavorare.

Questi sono i temi fondamentali del Governo che va sbandierando di essere di sinistra.

Leggere che altri autorevoli esponenti della “sinistra” (sempre più tra virgolette), rimangono negativamente colpiti per le parole della segretaria generale della CGIL, nel merito dei referendum, e continuano a tacciarla semplicemente come nemica, senza affrontare nel merito, anche con dovute critiche, è il segnale che la via intrapresa è sbagliata.
Non ci siamo proprio, e nonostante tutte le battaglie, nonostante le tante tesi portate dai sindacati, si continua a girare la testa verso altri obiettivi, che nulla hanno a che vedere con il mondo del lavoro.

Da anni non si fa sindacato con pari dignità, rispetto ai datori di lavoro. La regola non è più mediare e trattare, usando anche gli strumenti costituzionalmente garantiti di lotta, ma tutto si riduce a semplici scambi: posti di lavoro in cambio di meno diritti e meno soldi. E il popolo, sulla scorta dell’enfasi dei mass media, plaude.

Euro, banche, mercati, oligarchie mai scelti dai cittadini dettano la linea, guai a contraddire, guai a ribellarsi.

La Grecia con tutti i suoi problemi e criticità, diventata esempio negativo perché si oppone a questa visione, per aver dato forse troppo al suo popolo, dimenticando tutte le tragedie del passato che ha vissuto.
Da noi, tutto ciò che con il sangue e la lotta di chi ci ha preceduto è stato conquistato, viene considerato come privilegio non dovuto e causa di tutti i problemi.
I problemi, la crisi, sono stati creati dal salvataggio delle banche entrate nel modello della finanza “gratta e vinci”. Ma nessuno lo dice al Telegiornale.

La speranza di poter cambiare questo stato delle cose rimane, la forza che dovremo mettere per convincere chi pensa che il nemico sia il suo simile, dovrà essere molta da mettere in campo: non possiamo più ficcare la testa sotto la sabbia, dobbiamo uscire fuori con tutta la nostra energia, con tutta la nostra caparbietà, dobbiamo riscoprire il valore della solidarietà tra persone, perché non è la competizione verso il basso che risolve. Anzi, peggiora ogni giorno la situazione.

 

Siamo nati per vivere, non per sopravvivere, per questo dobbiamo combattere.

 

Foto: PROTauno Tõhk / 陶诺

Questo articolo è stato pubblicato qui

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