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Prima Berlusconi, ora Bossi

Dopo Silvio Berlusconi crolla un altro mito del sistema politico: Umberto Bossi.

Se l’Italia fosse un paese normale i cambi di classe dirigente avverrebbero ad ogni tornata elettorale. Dato che nel nostro paese però la maggior parte dei capi e dei capetti locali e nazionali ha una visione distorta del potere, tocca alla magistratura fare e disfare i partiti, i governi e le coalizioni, aprire e chiudere le stagioni politiche. Per questo nonostante i garantisti puri che siedono in tutti gli schieramenti, bisogna ringraziare le toghe (rosse, bianche, nere o di qualsiasi colore esse siano) che ciclicamente cercano di fare piazza pulita del marcio che si annida nella nostra vita pubblica.

In Italia tra i notabili che si sono succeduti ai vertici del paese, il concetto di “fare il proprio tempo” non è mai esistito. Per questo anche gli ultimi due leader che guidavano l’Italia fino a pochi mesi fa, hanno guadagnato l’uscio impietosamente, si sono fatti travolgere dagli eventi, senza che se ne accorgessero.

Silvio Berlusconi, ex leader del Pdl dopo aver devastato l’Italia moralmente e materialmente, ancora oggi sotto processo a Milano per sfruttamento della prostituzione, rimane agli occhi del mondo (e della maggior parte degli italiani) una macchietta patetica e nefasta.

Umberto Bossi, fulminato dallo scandalo Belsito, si è dimesso ieri da segretario federale della Lega e si dovrà difendere da accuse infamanti come quella di aver ricevuto per sè e per la propria famiglia (a propria insaputa, afferma) ingenti somme di denaro appartenti al proprio movimento, e quindi al contribuente italiano.  

È bastato che tre procure della Repubblica mettessero il naso tra i conti della Lega nord per far emergere ancora una volta tutto il marcio che domina il sistema di finanziamento pubblico destinato ai partiti (oggi definito rimborso elettorale), cassato con un referendum popolare nel lontanto 1992. Lo scandalo Lusi era solo l’antipasto. Oggi tocca alla Lega, chissà cosa potrebbe succedere a breve se si deciderà di controllare i bilanci del PDL e del PD.

Sicuramente all’Italia non mancherà Umberto Bossi. Una figura opaca e negativa che ha fatto le proprie fortune eccitando gli animi degli istinti peggiori, scagliandosi sempre contro quella Roma ladrona da cui da 20 anni fa parte e di cui rappresenta i vizi peggiori. Certamente del Senatur non rimpiangeremo: i suoi rantoli incomprensibili, le sue dita medie alzate, le sue canottiere, la sua rozzezza, i suoi insulti alla stampa, ai meridionali, alle istituzioni, alla Costituzione.

Forse presto il federalismo in salsa padana, la devolution, le riforme marchiate da Roberto Calderoli o dai saggi di Lorenzago diventeranno brutti ricordi da archeologia costituzionale.

Con Bossi finisce un’era che durava da troppo tempo. Un’era di arruffapopolo, d’ignoranza, di rozzezza, segnata dallo smarrimento del concetto di bene comune. L’Italia di oggi non può più tollerare le Nicole Minetti e le trote elette nei consigli regionali, le case comprate e ristrutturate a propria insaputa, i ministeri spostati a Monza solo per meri tornaconti elettorali. Con Berlusconi sterilizzato e con il Senatur destinato a dirigere al massimo la bocciofila di Gemonio, l’Italia può diventare un paese forse non migliore ma certamente più serio. Gli italiani, e forse adesso anche i padani, se ne stanno rendendo conto, a proprie spese.

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