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Presadiretta – il prezzo ingiusto

Il vero oro nero è il succo dell'arancia? Durante il lockdown un litro d'arancia valeva quasi due dollari, quello del petrolio pochi centesimi: la pandemia ha fatto schizzare verso l'alto il prezzo della frutta e della verdura, soprattutto nei supermercati che hanno incrementato le vendite del 9%, con un picco del 22% sui prodotti freschi.

Gli scaffali erano vuoti per l'accaparramento dei consumatori e anche per la fatica nel recuperare quei prodotti freschi, racconta un manager della grande distribuzione: ma questo non spiega l'aumento del costi di agrumi, kiwi, albicocche, lattuga e cavolfiore.

I prezzi sono aumentati ad un valore superiore dell'inflazione, ha determinato l'Istat: non solo la frutta ma anche latte e salumi, un aumento non in linea col costo dei beni.

Dove è finito questo aumento?

Il settore agroalimentare ha continuato a lavorare nonostante il Covid, il mercato non si è mai fermato, lo dicono le persone che ci lavorano nei mercati alimentari, lo dicono i grossisti che in questi mesi non hanno visto aumentare i prezzi corrisposti ai loro prodotti.

Qualcuno ha approfittato dell'emergenza per specularci sopra? Altroconsumo ha fatto le sue indagini, hanno trovato speculazioni su tanti prodotti, dalle mascherine ai prodotti per l'igiene.

E poi anche sui prodotti ortofrutticoli: i supermercati han fatto meno promozioni perché sapevano che le persone non potevano spostarsi, non dovevano attirare nuovi clienti.

E questi prezzi aumentati non sono poi diminuiti finiti l'emergenza.

Il direttore dell'Antitrust ha spiegato che stanno facendo delle loro indagini, per capire se qualcuno ne ha approfittato della situazione.

Non è un servizio contro la Grande Distribuzione che pure nel lockdown ha aiutato le famiglie bisognose: quello di Presadiretta è un racconto sul prezzo ingiusto che paghiamo ai prodotti dell'agricoltura.

Nel 2019 l'agroalimentare è stato uno dei settori che hanno trainato la nostra economia con una crescita record del 6,9% per un fatturato di 538 miliardi di euro, pari al PIL di Norvegia e Danimarca assieme.

Perché allora da anni l'agricoltura lancia un grido d'allarme disperato?

Iacona era stato in Sicilia nel 2005 e nel 2011, dagli agricoltori che si lamentavano del prezzo troppo basso dei pomodori, che li costringeva ad indebitarsi per continuare la produzione.

In Veneto nel 2016, stessa musica da parte dei produttori delle mele: produttori che a malapena coprivano i costi della produzione.

In Sardegna sono ancora fresche le immagini dei pastori che gettavano il latte per strada, troppo basso il prezzo che veniva loro riconosciuto dai consorzi.

Poco dopo è toccato agli agricoltori della Basilicata che hanno buttato via tutti i loro prodotti: “quando arriva il commerciante che mi paga 9 centesimi al kg il pomodoro, mettendomi il coltello alla gola, può non sapere la distribuzione o il commerciante e la grande distribuzione che sta facendo una estorsione nei miei confronti?” sono le parole di Gianni Fabris di Altraagricoltura.

Si torna sempre alla grande distribuzione e ai produttori che, per le calamità naturali (ormai sempre più frequenti) come quelle accadute in Basilicata, non hanno i soldi per ricostruire le serre per le fragole: eppure sul banco del supermercato si vendono le fragole a 12 euro al kg, ma al contadino arrivano solo 2 euro o anche 1,5 euro.

Quello che non era mai successo è che la battaglia degli agricoltori è diventata anche quella dei braccianti che lavorano nei loro campi: quest'estate a Foggia sono scesi in piazza contro il caporalato ma anche contro il sistema della GDO.

Portavoce il sindacalista Aboubakar Soumahoro“se la grande distribuzione ha un fatturato di 83 miliardi annui e un raccoglitore di asparagi percepisce al giorno, per 12 ore di lavoro, appena 35 euro, quando da contratto sono 50 euro circa, vuol dire che qualcuno ci guadagna. E noi coi contadini con cui lavoriamo, ci rendiamo conto che a loro volta che qualcuno li sta comandando. Non è una mano invisibile, c'è una concentrazione di potere. Per quanto riguarda la GDO, sono loro che stanno sottoponendo contadini e braccianti a dei meccanismi di immiserimento. I caporali si inseriscono dentro questo mondo di foresta, ma il caporale è un albero dentro la foresta.”

La foresta è fatta di aste, di broker e di grossisti, la lunga strada fatta dalle merci dai campi alle nostre tavole.

Presadiretta è andata a vede qual è la situazione dei produttori di ciliegie a Bisceglie: all'asta delle ciliegie c'è una fila per vendere i propri frutti ai mediatori, che ci mettono sopra il loro ricarico. Poi ci sono i grossisti che vendono i prodotti ai supermercati, e sono loro, in cima alla catena, che fanno il prezzo verso chi sta sotto.

Giuliano Puglia Fruit è uno di questi grossisti: lavano, selezionano e controllano il frutto, in modo da dare alla GDO ciliegie perfette, e così ogni anno si buttano quintali di frutta con qualche difetto.

Al kg le ciliegie costano 10 euro, quasi dieci volte in più di quello che viene dato al produttore: allora chi ci guadagna in questa filiera? Il grossista, il mediatore?

Su 100 euro, solo pochi euro finiscono al produttore, perché questi sono pochi e perché subiscono il peso della Grande Distribuzione, che fa ricadere verso il basso anche gli sconti e le iniziative di 3 x 2.

Sono volantini preparati mesi prima dell'inizio dello sconto ma poi succede che i prodotti (per questioni climatiche) non ci sono in quel periodo e quindi il prezzo indicato sul volantino è al di sotto del prezzo di produzione- lo racconta un grossista del settore ortofrutticolo Marco Stravato.

Quest'estate si è scatenata la guerra delle angurie, che venivano vendute a 1 centesimo al kg, ma ad un agricoltore produrre un kg di anguria di qualità costa 4 centesimi solo la cesta, poi ci sono altri costi per le piantine, la crescita, il concime .. eppure nel volantino è scritto che “alla filiera alimentare è stato corrisposto il giusto prezzo”.

Quando voi comprate le melanzane ad un euro, significa che a noi ce le pagano a 20,30 centesimi – racconta un agricoltore: le offerte dei supermercati sono fatte sulle spalle di chi produce e non dalla distribuzione, che non ci rimette mai e impone la sua posizione di forza, cacciando fuori (anche con espedienti poco puliti) gli agricoltori che chiedono prezzi più alti.

La giornalista si è messa in contatto con un produttore che ha lavorato con importanti catene alimentari: le loro strategie di vendita lo hanno portato a dover vendere l'impresa: “le scontistiche aumentavano sempre e addirittura si facevano retroattive, ci sono catene che ti impiccano..”.

Giulia Bosetti è entrata in possesso di alcuni contratti che la GDO fa firmare ai produttori: in essi è scritto nero su bianco lo sconto che dovranno accettare per poter vendere ai supermercati, ricade su di loro perfino lo sconto per la carta fedeltà.

I produttori pagano anche sulle campagne di marketing fatte dai supermercati: su alcuni di questi c'è stata un'indagine dell'antitrust, che ha fatto scoprire come il 24% del loro fatturato sia perso proprio per queste forme di scontistica imposto.

Il potere della GDO dipende dal fatto che coprono il 79% del mercato: lo racconta il giornalista Fabio Ciconte, che in un libro ha spiegato le storture della grande distribuzione.

Il prezzo di frutta e verdura deriva da un gioco d'azzardo con le aste al ribasso: è lo stesso principio delle gare d'appalto dove è consentito il massimo ribasso.

Solo che con la grande distribuzione si chiama asta al doppio ribasso:

Ci sono due battute d'asta, nella prima sono invitati i singoli fornitori per fare una prima offerta su un quantitativo molto importante di prodotti. Dopo qualche settimana gli stessi produttori vengono invitati a fare una seconda offerta il cui prezzo di partenza è il presso più basso della prima asta. A partire dal quel momento il singolo fornitore si trova davanti uno schermo del computer in cui ha alcuni minuti per ribassare la propria offerta, mentre un altro concorrente, di cui è garantito l'anonimato, fa un'offerta ancora più al ribasso. Continua questo gioco perverso in cui i produttori abbassano e abbassano pur di accaparrarsi quell'offerta, ma questo determina che tu hai svenduto il tuo prodotto pur di stare sul mercato”.

Francesco Franzese è amministratore de La Fiammante, azienda di trasformazione dei pomodori: lui le aste al ribasso le conosce da vicino, a Presadiretta ha raccontato la vicenda dell'asta che ha vinto, davanti ad un timer che scattava ogni volta che faceva la sua offerta, al buio, ogni volta ad un prezzo più basso. Prezzo che poi diventa il riferimento del mercato, mettendo in crisi gli agricoltori, distorcendo il mercato.

Sono pratiche illegali, ha stabilito l'Unione Europea tramite una direttiva che il nostro paese deve ancora recepire: sono le pratiche sleali fatte dalla Gdo sulle merci invendute, sulla scontistica al ribasso fatta in modo selvaggio.

Ne parla l'eurodeputato De Castro, che ha spiegato come sia importante fare in fretta a recepire questa direttiva: queste pratiche mettono a rischio il mondo degli agricoltori ma hanno conseguenze per i consumatori.

Il potere della distribuzione è enorme però: tutte assieme le catene dei supermercati fatturano 83 miliardi, una cifra pari ad una manovra.

Presadiretta ha cercato di contattare Conad, Esselunga, Selex, Eurospin, ma queste non hanno accettato l'intervista.

Coop ha invece risposto alla giornalista, raccontando del suo impegno contro il caporalato e nel rispettare il prezzo minimo dei prodotti, e le promozioni e la scontistica vengono concordate col produttore, promozioni che vengono sospese in caso di eventi negativi.

Ma nel 2015 però Coop è stata condannata per aver chiesto uno sconto ad un fornitore, condizioni capestro ha stabilito Antitrust.

Dobbiamo recepire la direttiva europea, per far intervenire anche la magistratura, altrimenti rimarrà solo l'authority, che può dare solo multe molto lievi.

In studio era presente il ministro Bellanova: a lei Iacona ha chiesto del nuovo DPCM e della posizione delle regioni.

Nel DL si prevede l'uso della mascherina, si parla dell'accesso ai luoghi pubblici, una limitazione per le feste, nulla per le lezioni a distanza, perché la formazione va fatta a scuola, “è il futuro delle nuove generazioni” ha spiegato la ministra.

Non c'è solo la questione delle aste al doppio al ribasso, che la GDO assicura di non praticare più: Eurospin si è inventata una nuova forma per pagare il minor prezzo possibile il prodotto della terra.

Per raccontare questa storia, Presadiretta è andata a Salerno, nella piana del Sele dove sotto le serre si coltivano le insalate messe in busta.

Il produttore Rago deve vendere per forza, trattandosi di merci deperibili: Eurospin ha lanciato 25 aste online per aggiudicarsi la merce al minor prezzo, offerte al buio, davanti ad un computer, come un asta al doppio ribasso fatta 25 volte: alla fine ogni busta è stata pagata 30 centesimi a busta, un prezzo basso, non sostenibile per chi coltiva la terra.

I produttori avevano paura nel raccontare e denunciare questi comportamenti – spiega Fabio Ciconte: un timore che nasce dal potere della distribuzione, dal timore di non poter vendere più i loro prodotti.

Nessun fornitore di Eurospin ha accettato di parlare, eccetto uno che, al telefono, racconta di aver partecipato all'asta senza sapere il prezzo offerto dai concorrenti.

IL rapporto di Oxfam mette all'ultimo posto Eurospin: questo gruppo sta avendo una forte crescita, ma quanto è consapevole delle conseguenze delle sue politiche nei confronti dei produttori?

Che fa la politica allora, come pensa di gestire queste distorsioni nel mercato, contro le aste al ribasso?

Il PD ha presentato una legge al riguardo ma è ferma in Parlamento da un anno: la direttiva europea andrà in aula il 14 ottobre – spiega la ministra, che aggiunge che per lei le aste sono una indecenza.

“Non si tratta di limitare la libera concorrenza ma non di far portare avanti iniquità nella filiera, le aste dal doppio ribasso sono caporalato in giacca a cravatta, sono comportamenti illegali.”

L'agricoltura deve produrre cibo di qualità e accessibile a tutti, senza strozzare quelli che stanno nei campi, che si prendono anche cura del nostro territorio.

Da ministra ha chiamato attorno al tavolo tutti gli attori della filiera dove non ci sono solo storture: la ministra ha chiesto a tutti, produttori, grossisti, distributori, di lavorare assieme per far si che gli italiani non cambiassero abitudini alimentari.

Si dovrà investire sui contratti di filiera coi fondi europei, per aiutare le piccole imprese, combattendo la frammentazione, per dar loro più forza.

Gli ultimi della terra.

La terra viene lavorata, la frutta viene raccolta da lavoratori irregolari, sfruttati: sono lavoratori che non hanno diritti e che questa estate hanno scioperato per sfidare ricatti e soprusi.

Il leader è il sindacalista Aboubakar Soumahoro che si è incatenato fuori la villa romana dove il governo si era riunito per gli stati generali.

Al governo, a Conte, ha portato la situazione delle tante baraccopoli che troviamo in Italia, come quella vicino a Foggia, dove ogni anno scoppiano incendi.

Manfredonia c'è il ghetto più grande d'Europa, dove i furgoni arrivano e raccolgono i lavoratori a nero, per cinque euro al giorno.

Persone irregolari che sono costrette ad accettare salari da fame: niente documenti, niente contratti, niente diritti.

E per vivere baracche senza gas e acqua, col rischio di incendi e dello scoppio di epidemie: in quelle condizioni non esiste distanziamento sociale.

A chi chiede guanti e mascherine, il caporale risponde “perché?”. Chi si lamenta viene licenziato.

Eppure queste persone raccolgono la frutta che noi mangiamo: se chi raccoglie frutta e verdura non è in condizioni di sicurezza, come possiamo essere sicuri noi, che mangiamo quella frutta?

Eppure attorno a quelle baracche ci sono solo i volontari che distribuiscono mascherine e guanti.

Sono 400mila i lavoratori sfruttati dalla piaga del caporalato, in Italia: un sistema retto dalle mafie che si muovono agilmente nei buchi dei controlli dello stato.

L'inchiesta della procura di Foggia si chiama White Labour: ha portato all'arresto dei capirali, immigrati anche loro, e dei proprietari dei terreni dove le persone lavoravano dal mattino al tramonto per pochi euro.

Senza sistemi di protezione individuali, senza bagni, in aziende agricole anche grandi: il maggiore dei carabinieri di Foggia ha sottolineato l'assoluta mancanza di umanità di queste persone.

Che si sono costruite un loro ghetto dove tenere questi lavoratori, che vivevano sotto ricatto.

Container senza acqua, luce, fili volanti collegati ai tralicci dell'Enel, bagni senza scarichi fognari: un sistema di illegalità diffuso in un territorio dove è forte il senso di impunità di queste aziende. La schiavitù in Italia esiste ancora.

Le inchieste nascono dalle denunce anche dei sindacati: la filiera schiaccia chi sta sotto, gli ultimi, è un sistema ingiusto che va smantellato.

Ma non è solo un problema di caporalato, anche queste situazioni derivano dallo strapotere della grande distribuzione che livella verso il basso il prezzo dei prodotti della terra.

Si deve ripartire dai controlli nelle aziende, dal salario percepito, dalla fine delle aste al ribasso.

 

Ma perfino lo stesso governo ha fatto fatica a metterci la faccia sulla lotta della ministra, per la sanatoria dei braccianti agricoli.

Esiste però anche un altro modo di lavorare: No Cap è un progetto di Yvan Saguet, per una filiera pulita, con i produttori dell'associazione Terra!.

Etichette e confezioni biodegradabili, lavoratori assunti e in regola, controllo della qualità dei prodotti: queste sono le condizioni dell'azienda Primo Sole, che fa parte di questa filiera, dove si lavora senza caporali e sfruttamento.

Ai braccianti è assicurato il trasporto verso i campi, una casa, un salario dignitoso, uno spazio per pregare.

Questo significa il marchio No Cap: in sud Italia vengono venduti nei supermercati Megamarket, che credono in questa scelta.

Perché sono importanti le scelte di noi consumatori e anche quelle della GDO, che deve accettare di fare meno margine, per far si che ci guadagnino tutti.

Sono sufficienti 20 - 25 centesimi in più, nel prodotto finale.

 

Dal sud, l'inchiesta si spostata all'entroterra toscano, la zona del vino e delle piante, due settori in ginocchio per il coronavirus, perché con la pandemia si sono bloccate anche cerimonie eventi e feste.

Giulia Bosetti ha incontrato produttori che hanno dovuto buttar via piante, dopo marzo: il settore florovivaistico vale 2 miliardi di euro, composto da piccole aziende oggi in crisi.

 

Il lockdown ha bloccato non solo i floricultori, ma anche tutta la filiera che gestisce eventi e feste: un indotto che muove fatturati da miliardi, perché in Italia e in Toscano arrivavano da tutto il mondo per sposarsi.

Significa locali per eventi, persone che li organizzano, che preparano i fiori e gli addobbi, il cibo: ci sono matrimoni che costano anche 400 mila euro, tutto cancellato ora dal Covid.

Nelle tenute dove si celebrano i matrimoni del lusso ci sono i vigneti per questi eventi esclusivi: come quelli per il Brunello di Montalcino, che ha chiesto alla regione un aiuto per passare questo momento.

E' vero che il vino può anche invecchiare, ma i produttori che non vendono le loro bottiglie, devono stoccarle in cantina e questo ha un costo.

Si rischia che un pezzo della Toscana, nel settore del vino, finisca in vendita: a rischiare di più sono proprio quei produttori di vini che non finiscono nei supermercati, perché di alto pregio.

“Quello che ci preoccupa è l'incertezza, il futuro..” racconta tra le lacrime, la proprietaria di una di queste cantine, Letizia Cesani.

Foto di ElasticComputeFarm da Pixabay 

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