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Planetesimo: quando un pianeta sopravvive alla sua stella

Il planetesimo formato da ferro e nichel ha un'orbita ravvicinata alla stella madre, una nana bianca che si trova a 410 anni luce dalla Terra.

di Veronica Nicosia

Rappresentazione artistica del frammento di pianeta (planetesimo) mentre orbita attorno alla stella SDSS J122859.93+104032.9 lasciandosi una scia di gas alle spalle. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

Ha resistito alla morte catastrofica della sua stella e continua la sua vita nel disco di detriti lasciato dalla violenta esplosione. Un frammento di pianeta scoperto dai ricercatori dell’Università di Warwick che orbita intorno a una nana bianca, a 410 anni luce dalla Terra. Un piccolo corpo roccioso composto per la maggior parte di ferro e nichel, dal diametro al massimo di 600 chilometri. Il planetesimo, così vengono chiamati questi corpi celesti, apre per gli astronomi nuovi scenari per due motivi. Il primo è per la nuova tecnica con cui è stato osservato, il metodo spettroscopico. Il secondo, è che offre agli scienziati uno sguardo al futuro del nostro sistema planetario, quando tra circa sei miliardi di anni il Sole morirà, trasformandosi a sua volta in una nana bianca dopo aver spazzato via i pianeti più interni: Mercurio, Venere e la Terra.

La scoperta si deve al team di scienziati guidato da Christopher Manser, dell’Università di Warwick, e il risultato è stato pubblicato sulla rivista Science. I ricercatori hanno osservato la stella SDSS J122859.93+104032.9 con il Gran Telescopio Canarias situato a La Palma, concentrandosi sul disco di detriti prodotto dalla distruzione dei corpi rocciosi che componevano il sistema planetario, prima della catastrofica morte stellare. Il disco si è rivelato ricco di elementi come ferro, magnesio, silicio e ossigeno, cioè i mattoni che compongono la maggior parte dei pianeti rocciosi, tra cui anche la Terra.

Planetesimi, i sopravvissuti

Qualcosa di diverso però nel disco ha attirato l’attenzione dei ricercatori. Si trattava di un anello di gas che veniva emesso da un corpo solido, simile a una cometa. L’anello poteva essere prodotto da un corpo celeste, oppure il frutto dell’evaporazione della polvere che collideva coi piccoli detriti del disco. Analizzando lo spettro emesso dal gas, i ricercatori hanno capito di trovarsi davanti a un planetesimo, un frammento di pianeta sopravvissuto alla distruzione del sistema planetario e così vicino alla sua stella da completare un’orbita in appena due ore.

Manser, autore dello studio e ricercatore del dipartimento di Fisica della University of Warwick, ha spiegato in un comunicato: “Ci troviamo davanti a una stella che in origine era grande circa 2 masse solari. La nana bianca rimasta invece ha una massa pari ad appena il 70% del Sole, così piccola da avere circa la dimensione della Terra e questo la rende estremamente densa. Ciò significa che la gravità esercitata dalla stella è molto forte, circa 100mila volte quella del nostro pianeta, e un normale asteroide a un passaggio troppo ravvicinato sarebbe disintegrato dalle forze gravitazionali in atto”.

Osservare questo planetismo per Manser e colleghi significa dare uno sguardo al futuro del nostro sistema solare e capire quali saranno gli oggetti celesti in grado di sopravvivere a un evento così catastrofico. L’autore dello studio ha spiegato: “Nel corso del loro ciclo vitale le stelle passano da uno stadio di giganti rosse, in cui “ripuliscono” la zona più interna del sistema planetario. Nel caso del sistema solare, ci aspettiamo che la nostra stella si espanderà fino all’orbita terrestre, spazzando via noi, Mercurio e Venere. Marte e gli altri pianeti invece hanno una chance di sopravvivenza”.

Non è la prima volta

Gli scienziati hanno poi sottolineato che questo non è il primo planetesimo scoperto, ma il secondo. Il precedente frammento di pianeta era stato osservato da un altro gruppo di ricercatori della missione Kepler con il metodo del transito, cioè individuando il corpo celeste dalla variazione di luce prodotta al suo passaggio davanti la stella. Un metodo utilizzato dal telescopio Kepler che si è rivelato efficace nella caccia agli esopianeti nei sistemi dove la stella madre è simile al nostro Sole.

Il metodo del transito, spiegano i ricercatori, ha però dei limiti quando si parla di sistemi dove la stella madre è una nana bianca. Richiede infatti molte ore di osservazione in attesa di un allineamento tale che il planetesimo transiti davanti alla. Il metodo spettroscopico utilizzato dai ricercatori dell’Università di Warwick, spiega Manser, permette invece di osservare i planetesimi anche molto vicini alla loro stella senza dover attendere che ci sia un allineamento specifico, ma solo cercando la coda di gas generata dal loro passaggio nel disco di detriti. Ora che il primo “superstite” è stato trovato, i ricercatori puntano a osservare altri sistemi stellari di nane bianche a caccia di informazioni su queste stelle, i loro dischi di detriti e per capire il futuro che ci attende.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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