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Petrolio: la guerra dei prezzi e i cartelli di sabbia

Ieri l’Arabia Saudita ha confermato che dal prossimo mese rifornirà il mercato con 12,3 milioni di barili di greggio al giorno, ufficializzando la guerra dei prezzi in reazione alla decisione di Mosca di non accordarsi su un taglio della produzione per sostenere le quotazioni.

 Questa iniziativa, che fa collassare il supercartello OPEC-Russia noto come OPEC+ ma anche la stessa OPEC, di fatto mette nel mirino i produttori americani di shale oil, è derivato in larga misura il crollo dei mercati finanziari globali nella giornata di ieri.

La Russia, che è comunque interessata a buttare fuori mercato quanti più produttori statunitensi possibile, anche per rispondere alle sanzioni americane che colpiscono indirettamente Rosneft, ha già dichiarato che dal mese prossimo attingerà alle proprie riserve valutarie, per compensare il buco di gettito che i bassi prezzi del greggio causeranno. Lo stesso farà Riad, che peraltro può anche contare su periodiche “retate anticorruzione” di membri della famiglia reale e uomini d’affari, con cui fare gettito. Il messaggio russo ai sauditi (e non solo) è netto: con prezzi tra 25 e 30 dollari al barile, ed un fondo sovrano di 150 miliardi di dollari, possiamo resistere tra sei e dieci anni.

La Russia vuole dare una lezione agli americani, l’Arabia Saudita vuole dare una lezione alla Russia. Il gioco a somma negativa è servito. Nel mezzo, il settore dello shale oil americano, che si è ubriacato di debito (rappresenta l’11% del mercato americano di debito High Yield) e intorno a 30 dollari al barile sarebbe del tutto sott’acqua. A quel punto, sarebbero ipotizzabili ristrutturazioni pesanti e colpi ai mercati finanziari americani. Perché se è vero che, da qui in avanti, ai produttori di shale serviranno aumenti di capitale e non nuovo debito, è altresì vero che se questi livelli di prezzo del greggio dovessero stabilizzarsi e restare, metterebbero fuori mercato ampie porzioni del settore.

Ma ci sono anche effetti di altro tipo. Ad esempio, il blocco del tentativo di modernizzazione economica saudita, il fatto che a questi livelli di prezzo la stessa Russia dovrebbe comunque proseguire nella politica di austerità avviata di fatto dalla annessione della Crimea, con conseguenze facilmente prevedibili sulla popolarità di Putin, impegnato in una “ristrutturazione” istituzionale che ancora non è chiaro se lo porterà a fare l’autocrate a vita, modello Xi Jinping, oppure a “limitarsi” a pilotare la transizione. Il rischio default in forte crescita per alcuni produttori africani. La Pemex messicana che già di suo non sta per nulla bene e costringe il suo governo ad assisterla pesantemente per evitare che collassi contagiando il paese.

Ma anche pesante frenata allo sviluppo delle rinnovabili, vista la ritrovata competitività di prezzo del greggio. Ricadute positive per i paesi grandi consumatori come India e Cina, ma se nel frattempo l’epidemia di coronavirus non sarà stata debellata, l’effetto benefico sarà comunque irrilevante. Ricordiamo che, alla base di tutto, c’è proprio il collasso di domanda conseguente alla pandemia, che è riuscita dove le schermaglie commerciali fra Trump e la Cina avevano fallito. Ovviamente, quando la domanda cede di schianto, i cartelli tendono a dissolversi.

Nel frattempo, Trump sta progressivamente scoprendo che il coronavirus potrebbe essere la sua Chernobyl, ma non rinuncia al suo tratto ed alla sua visione del mondo.

Scenario molto complesso ed impegnativo, con molte parti mobili. Nel mezzo la Ue o meglio l’Italia, impegnata a piegare il virus senza fare morire la propria economia e senza arrivare ad esiti traumatici nella gestione del proprio debito pubblico. Ma quello che penso si possa dire è che la situazione è molto difficile e servirà enorme cautela nelle previsioni, visto quanto accaduto durante l’ultimo crollo dei prezzi, nel 2014. Ricordate? Il coro degli “esperti” diceva che sarebbe stata una bonanza per i consumatori ma quello che ne derivò fu una gelata degli investimenti, che fece sentire i suoi effetti sulla crescita, soprattutto americana.

Come che sia, il mondo è e resta interdipendente, sotto innumerevoli aspetti, né è possibile fare altrimenti. Il fatto che questo concetto debba essere ribadito la dice lunga sulla condizione umana nell’anno del Signore 2020.

 

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