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Petrolio a Genova, gli uccelli soccorsi dopo lo sversamento

Se l'interno del becco è pulito, è possibile che l'uccello non abbia ingerito petrolio e sia "solo" imbrattato. La prima cosa da fare è scaldarlo per evitare che vada in ipotermia.

di Eleonora Degano

AMBIENTE – Dopo più di una settimana dall’incidente, l’emergenza su Genova sembra essere rientrata. Nel torrente Polcevera e nel rio Fegino sono finite oltre 500 tonnellate dipetrolio greggio e una parte ha raggiunto il mare: le prime operazioni di bonifica si sono concluse ma lo stesso Ministro dell’ambiente, Gian Luca Galletti, ha sottolineato che non c’è da festeggiare: “Chi viene in queste zone”, ha commentato, “si rende conto che c’è stato un fatto ambientale di rilievo e io non lo sottovaluto. Il lavoro più difficile, la bonifica, è quello che abbiamo davanti”.

Ci vorrà tempo per valutare i danni ambientali e le conseguenze dello sversamento sugli ecosistemi locali sono solo all’inizio. Al momento i corsi d’acqua sono dei veri deserti, “ovviamente non c’è traccia di fauna e il terreno rimarrà inquinato per chissà quanti anni. I piccoli anfibi sono stati colpiti subito dall’ondata: il Fegino è un torrente con elevata densità di rane, di varie specie. Considerando che è primavera, e ci sono i girini, lo sversamenteo ha annientato almeno due generazioni”.

A raccontarlo è Daniela Filippi, rappresentante LAV di Genova che insieme ai volontari locali è intervenuta la sera stessa dell’incidente per soccorrere gli uccelli ricoperti dal petrolio, recuperati dai pompieri e dalle guardie zoofile grazie alle segnalazioni degli abitanti del luogo. “Domenica intorno a mezzanotte ancora non si vedeva nulla”, spiega Filippi, “c’era un’enorme confusione e gli animali erano o già morti o lontani dalla zona in cui si era raccolta la folla. Hanno iniziato ad arrivare il giorno dopo e tra lunedì e martedì abbiamo recuperato una quarantina di uccelli. Specialmente germani reali e anatre, ma anche un airone”. In caso di ritrovamento di un uccello imbrattato, la LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) consiglia di usare dei guanti in modo da non entrare in contatto con le sostanze (tossiche anche per noi) e di adagiarlo in una scatola di cartone forata per trasportarlo al più presto in un centro attrezzato.

Seguendo proprio le linee guida della LIPU i volontari hanno subito iniziato una complicata sequenza di lavaggi per ripulire gli animali; il protocollo è molto rigido ma fondamentale per contrastare tutti i cambiamenti fisici e biochimici che rischiano di portare gli uccelli alla morte una volta imbrattati dal petrolio o intossicati. “Nel primo caso a essere intrise di petrolio sono solamente le piume e le penne, mentre l’intossicazione può avvenire in diversi modi”, spiega Filippi. “Per osmosi attraverso la pelle, quando gli uccelli respirano le esalazioni o ancora dopo aver ingerito il petrolio o mangiato un altro animale che lo ha fatto”.

La prima cosa da fare per stabilire di fronte a quale delle due situazioni ci si trova è controllare l’interno del becco: se è pulito è possibile che l’uccello non abbia ingerito petrolio, né durante lo sversamento né in seguito, per errore, cercando di pulirsi le penne. “Paradossalmente i più fortunati sono quelli a cui il becco si è incollato, rendendo impossibile l’ingestione del petrolio”, commenta Filippi, ma anche in questo caso l’uccello, seppure più reattivo, è in pericolo: non riesce a galleggiare né spesso a procurarsi del cibo, inoltre va in ipotermia. Prima di procedere ai lavaggi, infatti, gli uccelli devono essere stabilizzati e portati a una temperatura di almeno 40°C mentre li si sottopone a terapia reidratante e li si nutre. “Gli uccelli di cui ci siamo occupati erano in ipotermia e ovviamente in shock dopo l’esperienza”, racconta Filippi. “Abbiamo alzato la temperatura e, una volta, stabilizzati, iniziato a lavarli usando shampoo e olio vegetale leggero, come quello di vaselina ma anche di mais e girasole”. Per le orecchie si possono usare i bastoncini cotton-fioc.

In un presidio di prima accoglienza è necessario disporre di scatole di cartone per l’alloggiamento degli uccelli e di giornali da mettere sul fondo delle scatole

Il lavaggio – quando possibile – va effettuato in una sorta di catena di montaggio, allestendo varie bacinelle piene d’acqua calda e detersivo (anche quello per i piatti, data l’azione sgrassante) e l’uccello coperto di petrolio viene fatto passare di vaschetta in vaschetta fino a quando l’acqua è pulita. A quel punto va sciacquato con un getto caldo contro il senso del piumaggio e poi asciugato, a debita distanza, in modo che le membrane delle zampe, molto delicate, non si secchino o vadano in necrosi.

Tredici degli uccelli recuperati da LAV sono stati liberati il giorno stesso perché solo leggermente sporchi, a livello delle zampe e di poche piume. “Li abbiamo puliti e liberati dopo circa quattro ore”, spiega Filippi. Tre sono arrivati già morti mentre “uno solo, che era arrivato in condizioni molto gravi e ha resistito per un po’, è morto in seguito. Aveva tutto il becco pieno di petrolio”. Più di una ventina di uccelli, principalmente germani reali, a oggi sono sotto osservazione in attesa di essere nuovamente liberati, trascorsi i giusti tempi per l’impermeabilizzazione del piumaggio.

“Gli uccelli vanno introdotti gradualmente in piscine o grandi vasche”, spiega Filippi, prima per un’ora al giorno, poi per due, tre, aumentando fino a quando vi rimangono tutto il giorno. “Lo si immerge e si controlla com’è quando torna fuori. L’impermeabilizzazione è legata alle secrezioni di una ghiandola [l’uropigio], ed evita che l’uccello si impregni d’acqua”. Quando lalinea di galleggiamento raggiunge il livello giusto, e non varia dopo una giornata in immersione, l’uccello è pronto per tornare in libertà. In un ambiente libero da inquinamento e adatto alla sua specie.

@Eleonoraseeing

Crediti foto: LAV Genova

Questo articolo è stato pubblicato qui

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