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 Home page > Attualità > Economia > Perugia, Italia: l’impotente liturgia delle procedure anticorruzione

Perugia, Italia: l’impotente liturgia delle procedure anticorruzione

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

per comprendere esattamente la portata della vicenda dell’azienda ospedaliera di Perugia forse occorre coniare uno di quegli slogan che restano poi nella memoria, tipo “furbetti del cartellino”. Un artificio dialettico utile per la riprovazione collettiva di un comportamento inaccettabile, qual è quello della truffa sulla presenza in servizio. I “furbetti del cartellino” ledono in modo gravissimo il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione.

Ma lesione ancora più grave deriva da gestioni volte ad alterare meritocrazia, concorrenza, trasparenza, imparzialità, capacità di valutare: tutti principi dettati e tutelati non solo dalla Costituzione (articoli 3, 51 e 97) ma anche dal Trattato Ue, oltre che da logica e buon senso.

I fatti di Perugia rientrano pienamente in questo sistema, portato avanti da veri e propri “furbetti del favorino”, disposti in ogni momento a sacrificare l’interesse pubblico e il rispetto di principi fondanti di uno Stato democratico al proprio interesse egoistico e personale.

La gravità estrema della vicenda non è solo in sé, ma esponenzialmente più ampia perché vicende simili sono estesissime e diffusissime, molto ma molto di più della truffa dei cartellini.

Perugia non è un’eccezione; è il paradigma di un’infezione che affligge da anni la gestione amministrativa e che si è ingigantita nell’ultimo quarto di secolo, proprio quando il Legislatore ha deciso sostanzialmente di eliminare ogni tipologia di efficace controllo finalizzato a prevenire concorsi, appalti, concessioni, contributi, permessi truccati, in favore del raccomandato di turno.

Risale a soli 7 anni fa la vicenda in parte analoga a quella dell’Asl di Benevento, nota per la giaculatoria dell’ex direttore generale rivolto all’ex ministro Nunzia De Girolamo:

Nunzia io non resterei un secondo di più qui alla Asl, se non per te e con te, perché la nomina l’ho chiesta a te, tu me l’hai data ed è giusto che ci sia un riscontro.

È l’affermazione del clientelismo e dell’intento di troppa dirigenza pubblica di voler perseguire non l’interesse pubblico, ma quello privato e personale proprio e della parte politica di riferimento, così da sacrificare ogni valore dell’efficienza e dell’efficacia sull’altare del favore a chi appartenga a questa o quella conventicola politica.

L’inchiesta dei giudici sui fatti di Perugia non fa altro che confermare i contenuti di quella sorta di formula sacrale di vassallaggio dell’ex dg dell’Asl di Benevento. I giudici affermano che «emerge un quadro avvilente di totale condizionamento della sanità pubblica agli interessi privatistici e alle logiche clientelari politiche», accompagnato da «uno stabile e consolidato asservimento della dirigenza sanitaria agli interessi di parte della locale classe politica»; se infatti l’obiettivo della politica è la ricerca del consenso elettorale quello dei dirigenti “di loro fiducia” è 


«acquisire consenso presso i propri referenti politici e conseguentemente assicurarsi il mantenimento dell’attuale posizione lavorativa» .

È esattamente l’insieme di quel deterioramento dell’azione amministrativa oggetto della normativa anticorruzione. La legge 190/2012 (Severino) non è soltanto una norma del diritto penale: regola, anche, la prevenzione dalla corruzione “amministrativa”, cioè della mala gestione amministrativa che magari non trascende nella commissione dei reati di corruzione o abuso d’ufficio, ma tuttavia pregiudica l’interesse pubblico a vantaggio di quello privato.

Come dice, Titolare? Il sistema anticorruzione nel caso di Perugia ha funzionato? No. Come non ha funzionato per Mafia Capitale, per il Mose, per la piattaforma dell’Expo e per gli altri tantissimi casi di corruzione per appalti o concorsi truccati.

L’azienda ospedaliera di Perugia era dotata di un piano anticorruzione ampio, diffuso e formalmente ineccepibile. Ma, come è evidente, non ha funzionato.

Del resto, il responsabile anticorruzione degli enti pubblici è nominato dalla politica: l’ennesimo caso di controllore nominato dal controllato. E se il nominato ha nei confronti della politica l’atteggiamento del vassallo, è evidente che intende il proprio ruolo come ineccepibile produttore di documenti formali, che però al momento opportuno si gira dall’altra parte, per non vedere e non sentire.

Il caso Perugia, Titolare, purtroppo è un caso Italia. Dovrebbe essere chiaro, ormai, che le riforme degli ultimi 25 anni sono state un disastro. L’introduzione dello spoils system favorisce la nomina fiduciaria dei vertici. Purtroppo, non si tratta di una fiducia nelle capacità manageriali e gestionali, ma nella volontà e capacità di piegare le norme, eluderle, fino a violarle, così da comportarsi da “furbetti del favorino” ed alimentare le conventicole. L’assenza totale di controlli efficaci fa sì che sia solo la magistratura e la polizia giudiziaria a far emergere casi di mala amministrazione gravissimi. Ma, trattandosi di un intervento repressivo, esso è sempre tardivo e comunque limitato alle circostanze rare e fortunate in cui emergano dall’ombra gli atteggiamenti corruttivi.

Per un caso Perugia (nel quale vi è stata la rivelazione dell’inchiesta e per altro persino persone danneggiate dai trucchi nei concorsi accettavano l’irregolarità gestionale e riferivano ai capi di essere state chiamate a testimoniare) che emerge, centinaia, forse migliaia, restano nell’ombra.

È il caso di comprendere che le nomine fiduciarie possono andare bene per dirigenti che non gestiscono direttamente appalti, concorsi, personale e risorse, come il consigliere politico, il portavoce o i capo dello staff di segreteria. È il caso di prendere atto che occorre ripristinare un sistema di controlli preventivi, gestito da soggetti terzi, esterni alle amministrazioni, che rispondano in prima persona delle eventuali illegittimità non rilevate.

La pubblica amministrazione, contrariamente alla vulgata, non è un’azienda. In un’azienda è perfettamente normale che l’apparato amministrativo operi per l’interesse specifico dell’imprenditore ed indirettamente per il proprio ad ottenere la riconferma. Nella PA occorre che la dirigenza operi, certo, al meglio e che sia valutata rigorosamente per le sue capacità: ma la dirigenza non è al servizio della corrente di partito di turno. Oltre a dover attuare con lealtà e competenza l’indirizzo politico amministrativo, deve agire nell’interesse della Nazione e dei cittadini.

L’inchiesta di Perugia rivela che persino gli strumenti di valutazione della dirigenza, in un sistema privo di anticorpi, sono alterati: la direttrice della pediatria era stata forzata dalla direzione generale a valutare positivamente il genetista, la cui utilità in un reparto come pediatria, caro Titolare, è facile per chiunque percepire come pari a zero.

Sono necessarie urgentemente misure drastiche, che ridiano serietà, oltre che correttezza, alle procedure concorsuali, valutative, selettive, di appalto. Si potrebbe anche scoprire che, liberata da queste sacche di mala gestione, la pubblica amministrazione potrebbe costare meno e lavorare meglio nell’interesse di noi tutti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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