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Persio Flacco

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Ultimi commenti

  • Di Persio Flacco (---.---.---.128) 22 agosto 2013 00:19

    Aspettiamoci di veder sbarcare sulle nostre coste un buon numero di quei poveri disperati.
    Suggerirei però che il nostro(?) Paese proponga a livello di commissione europea di seguire un criterio di equità e giustizia per la loro distribuzione: siano smistati in proporzione all’impegno profuso dai diversi paesi europei nella destabilizzazione della Siria (ma anche della Libia). Molti toccherebbero a UK e Francia. Ma anche all’Italia, essendosi prestata all’operazione.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.128) 21 agosto 2013 23:37

    La Bonino ha un solo difetto: è più filo anglosassone della maggior parte degli anglosassoni, come spesso accade ai provinciali che non sanno di esserlo.
    Personalmente avrei gradito un ministro degli esteri che fosse filo italiano, ma mi rendo conto che si tratta di una pretesa assurda.

    Però, forse, renderemmo un servizio al Paese se affidassimo la politica estera italiana in outsourcing gratuito al dipartimento di stato USA. La politica estera italiana sarebbe la stessa, ma almeno risparmieremmo di pagare ricchi stipendi agli inutili intermediari della Farnesina. A cominciare dalla Bonino.

  • Di Persio Flacco (---.---.---.128) 21 agosto 2013 21:19

    Un elemento assai poco considerato, direi anzi sistematicamente ignorato, nelle gran parte delle analisi sulla crisi siriana è la relazione tra questa e l’eventuale guerra contro l’Iran.
    Nel 2008 Siria e Iran, rivedendo un precedente accordo del 2006, hanno siglato un “Patto di mutuo supporto a difesa dell’indipendenza e dell’integrità territoriale di Iran e Siria”: un vero e proprio impegno reciproco ad intervenire militarmente l’uno in difesa dell’altro in caso di conflitto.

    Poniamo che qualcuno stia pensando seriamente ad uno strike contro gli impianti nucleari iraniani, e poniamo che a lavorare per predisporre in tal senso le condizioni che garantiscano la migliore riuscita dell’attacco siano i governanti sionisti israeliani: basta osservare una mappa dell’area per capire che la situazione immediatamente successiva all’attacco potrebbe vedere Israele stretto in una tenaglia tra Iran e Siria, senza contare Hezbollah in Libano e i suoi attacchi missilistici a saturazione che ha già sperimentato con efficacia nel 2006.
    Un rischio terribile, percepibile anche da chi pensa di avere la mano di dio sulla testa.

    La tremenda crisi che si è abbattuta sulla Siria potrebbe togliere da questo scenario un attore assai scomodo: se il regime di Bashar al-Assad cadesse, anche se il suo posto venisse preso da un coacervo di gruppi estremistici il risultato sarebbe raggiunto e la strada di un attacco all’Iran sarebbe aperta.

    Tanto più che probabilmente la caduta dell’attuale regime sarebbe seguita da una fase caotica di gruppi in lotta tra loro incapaci per lungo tempo di esprimere una qualsiasi univocità di intenti.
    Inoltre, caduto Assad per mano della variegata galassia sunnita, anche il movimento sciita di Hezbollah perderebbe uno dei suoi più importanti supporti regionali, e da questo uscirebbe certamente indebolita e ridimensionata nelle sue potenzialità militari.

    Se ciò avvenisse, considerata la distanza che lo separa da Israele, è probabile che l’Iran non avrebbe grandi possibilità offensive nel portare la sua eventuale rappresaglia su Israele. 
    La V flotta USA nel Golfo Persico e le basi militari in Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar, probabilmente riuscirebbero a stendere un ombrello di protezione che si suppone possa essere abbastanza efficace. La formula dubitativa è d’obbligo: è difficile sapere esattamente di quali mezzi di offesa disponga l’Iran. Di certo si sta preparando alla guerra da molti anni.

    Vista in questa prospettiva la ostentata indifferenza di Israele per quello che accade in Siria risulta sospetta, e i raid aerei portati in territorio siriano dai suoi jet acquistano il senso di un aiuto portato ai ribelli in difficoltà. Come pure è indicativa l’uniformità di pessimi giudizi contro il regime siriano e l’indulgenza verso i ribelli che le grancasse sioniste in occidente hanno suonato ininterrottamente dall’inizio della crisi.

    Normalmente, quando si nota nel panorama mediatico la sistematica omissione di un elemento importante per la comprensione degli eventi in atto, è bene sospettare che si tratta di qualcosa di importante, che si tratta di un elemento che cambierebbe il senso di molte delle analisi che vengono proposte.

    Ma nel contesto di un possibile scenario di guerra con l’Iran c’è anche un altro elemento che viene sistematicamente ignorato dai mass media e dalle pensose analisi che li percorrono, forse ancor meglio nascosto dell’altro.

    Si tratta di questo. Ipotizzando che l’Iran reagisca con tutte le sue potenzialità militari all’eventuale attacco contro le sue installazioni nucleari e che decida di iniziare una guerra senza quartiere contro le forze USA e contro Israele, la domanda è: in che modo il conflitto potrebbe arrivare ad una conclusione?

    In genere un conflitto ha termine quando vi è la resa di uno dei contendenti, ma se uno dei contendenti fosse fortemente risoluto a portare lo scontro alle ultime conseguenze, se fosse motivato da ragioni fortemente ideologiche e/o religiose, se disponesse di una popolazione giovane e numerosa, di un territorio vasto e in gran parte montuoso, di buoni dispositivi di resistenza, sarebbe arduo indurlo alla resa. 

    Meglio: sarebbe arduo se fosse possibile condurre una invasione di terra con truppe numerose, ben appoggiate da mezzi meccanizzati, servite da linee di rifornimento efficienti in grado di reggere un lungo conflitto; sarebbe impossibile se non si potesse procedere ad una invasione di terra. In tal caso la resa potrebbe essere la soluzione più economica per l’attaccante, sempre che l’attaccato voglia accettarla. Una volta iniziato un conflitto di questo tipo non ci si può sfilare senza pagare un alto prezzo.

    Ebbene lo scenario seguente ad uno strike condotto da forze aeree israeliane potrebbe diventare questo:
    l’Iran risponde attaccando a sua volta Israele;
    se la risposta iraniana si dimostrasse abbastanza efficace da raggiungere con armi convenzionali e non convenzionali le città israeliane, le basi militari USA, gli interessi americani nell’area, nonostante l’ombrello americano gli USA, pressati dalle lobby nel Congresso, dovrebbero intervenire attivamente contro l’Iran; è probabile che dopo un certo tempo l’attacco dall’aria si dimostrerebbe del tutto inadeguato a piegare l’Iran, ma l’invasione di terra per le capacità statunitensi è irrealizzabile; le FFAA statunitensi si trovano impelagate in un conflitto costosissimo che non possono vincere ma che nemmeno possono perdere volendo mantenere la loro presa sul MO.

    A questo punto la soluzione più probabile per avere ragione militarmente dell’Iran sarebbe l’impiego delle armi nucleari. L’effetto di una tale scelta: è facile prevederlo, sarebbe terribile per tutti gli attori coinvolti e aprirebbe scenari potenzialmente da terza guerra mondiale.

    Questo scenario, che io ritengo probabile in caso Israele decidesse di lanciare il suo strike, e che è ovviamente da evitare ad ogni costo per il bene di tutti, è quello più accuratamente ignorato dai mass media. Il motivo è evidente.

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