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Perché questo è stato. Yossl Ravoker si rivolge a Dio di Zvi Kolitz

«Credo nel sole, anche quando non splende; credo nell'amore, anche quando non lo sento, credo in Dio, anche quando tace». (Scritta su un muro di una cantina di Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata della guerra)
In un bosco dove mi ero nascosto, incontrai di notte un cane, malato, famelico, forse anche impazzito, con la coda tra le gambe. Entrambi sentimmo subito una comunanza, se pure non la somiglianza della nostra condizione [..] Si appoggiò a me, affondò la testa nel mio grembo e mi leccò le mani. Non so se ho mai pianto come quella notte: mi gettai al suo collo e scoppiai in singhiozzi come un bambino. Quando affermo che allora invidiavo le bestie, non c'è da stupirsi, ma ciò che provai in quel momento era più che invidia, era vergogna. Mi vergognavo davanti al cane di non essere un cane ma un uomo. Tale era il nostro stato d'animo, a questo eravamo giunti: la vita è una disgrazia, la morte una liberazione, l'uomo è un flagello, la bestia un ideale, il giorno è terrore, la notte sollievo.
Dalle prime pagine di "Yossl Ravoker si rivolge a Dio" di Zvi Kolitz (Adelphi). Un libro che raccoglie le ultime memorie di un combattente della rivolta nel ghetto di Varsavia del 1943.
Con questo post inizio a raccogliere pensieri e parole per la prossima Giornata della memoria.
Perché questo è stato e non si deve dimenticare.
Questo articolo è stato pubblicato qui

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