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Per un Islam della liberazione: incontro con lo studioso e ricercatore Gharbi Kacem

Ho conosciuto Gharbi Kacem in un modo piuttosto singolare.

L'amico scrittore Santiago Alba Rico, di ritorno a Tunisi da un viaggio di lavoro in Colombia, mi aveva parlato della sua visita a François Houtart, sacerdote cattolico e sociologo marxista, fra gli esponenti più radicali della teologia della liberazione, che aveva trovato in buona salute e sempre combattivo alla veneranda età di 88 anni. Houtart gli aveva chiesto di portare i saluti ad un amico tunisino che stava scrivendo una tesi di dottorato sulla teologia della liberazione e che, fuoriuscito da tempo dal partito islamico Ennahdha, riteneva che questa esperienza latino-americana potesse a sua volta orientare una riflessione su un Islam di sinistra. Intrigata dall'argomento, ho accompagnato Santiago all'incontro con Gharbi Kacem e successivamente ho voluto incontrarlo di nuovo per approfondire l'argomento.

Tunisia in Red: cominciamo a parlare del percorso che l'ha avvicinata all'Islam politico.

G. Kacem: a soli tredici anni, il 6 giugno 1981, ho assistito alla conferenza stampa in cui venne lanciato il Movimento della tendenza islamica (MTI) che successivamente sarebbe diventato il partito Ennahda (La Rinascita). Naturalmente ero troppo piccolo per militare nelle loro fila, ma già mi sentivo in qualche modo attirato dai loro principi, così lontani dall'ambiente in cui ero cresciuto. La mia famiglia infatti non era molto praticante, direi tendenzialmente laicizzante. Mia madre, insegnante di francese, solo recentemente ha cominciato a indossare il velo, dopo aver compiuto l'hajj (il pellegrinaggio alla Mecca), mentre mio padre, funzionario pubblico, era un nazionalista vicino alle posizioni di Nasser. Uno dei miei zii materni, Ridha Galai, è stato fra i fondatori del movimento di sinistra radicale “Perspectives”. Provengo perciò da un ambiente molto variegato, ma essenzialmente francofono, in cui la pratica religiosa era piuttosto marginale. Come spesso succede, la mia religiosità e il successivo impegno nell'islam politico sono stati suscitati da una volontà di reazione allo spirito laico dell'ambiente familiare. E dalla politica di Habib Bourghiba che aveva imposto al paese una laicità troppo spinta, che non mi sembrava consona alla sensibilità tunisina.

Alla fine del liceo, fra il 1986 e il 1987, avevo maturato la scelta di entrare nel MTI, anche come espressione dell'appartenenza al gruppo di compagni di scuola che, in maggioranza, erano islamisti convinti.

Quanto tempo è durato il feeling con Ennahda?

All'incirca fino al 1991, anno in cui venni arrestato e imprigionato. Venni fermato in flagranza di reato, cioè in possesso di volantini inneggianti a Ennahda. Ma la polizia era a conoscenza anche del fatto che sovente nascondevo a casa mia alcuni membri del partito che erano in clandestinità. Mi è capitato anche di ospitare Habib Ellouze e Walid Bennani (1), attualmente deputati all'Assemblea Costituente.

Rimasi in prigione per otto anni, dal 1991 al 1999, un periodo della mia vita di cui tuttora non riesco a parlare. Per farle capire quanto mi sia difficile ripensare al carcere, dirò che solo di recente ho trovato il coraggio di dirlo a mia figlia.

Rinchiuso tra quelle mura, non mi è certo mancato il tempo per riflettere su Ennahda e sulle mie scelte politiche. Con altri militanti incarcerati si avviò una discussione vivace sul senso della nostra prigionia, ma soprattutto sul nostro movimento e più in generale sul significato dell'Islam politico. Progressivamente mi resi conto che se un sistema dittatoriale che incarnava il potere come fine in sé ci aveva imprigionato, noi stessi nell'affrontarlo avevamo lo stesso fine. La sostanza della lotta di Ennahda risiedeva in un pragmatismo “amorale” e negativo che prevedeva la mera conquista del potere per il potere stesso. Tale attitudine speculare alla dittatura era naturalmente giustificata in quanto islamica e di conseguenza dogma indiscutibile. Forse sono stati i miei studi di filosofia (interrotti dalla prigionia) che avevano lasciato in me una mente più aperta rispetto alla maggioranza dei miei compagni di allora, non saprei... so solo che non riuscivo più a identificarmi in quel tipo di logica. I tragici avvenimenti algerini degli anni '90 contribuirono ulteriormente a convincermi ad abbandonare quella ideologia: il colpo di stato che aveva interrotto il processo elettorale non poteva giustificare il bagno di sangue che fu attuato dai gruppi del GIA. Così come non riuscivo più a comprendere il legame con Allah e la religione in questa continua e feroce lotta per il potere senza esclusione di colpi. In realtà la storia dell'Islam è una storia politica, se pensiamo a quanto avvenne all'indomani della morte di Mohamed per la successione al califfato. Se solo il Profeta poteva avere uno statuto riconoscibile tramite il suo rapporto diretto con Allah, i suoi successori non potevano rivendicarlo e vanno quindi considerati semplicemente uomini politici in lotta per il potere. L'islam autentico non poteva essere rappresentato in questo modo.

E una volta fuori dal carcere, cosa è avvenuto?

Mi davo da fare per procurarmi da vivere e allo stesso tempo desideravo riprendere gli studi che avevo dovuto interrompere durante la prigionia. Ma non mi fu permesso di riscrivermi alla facoltà di scienze umane e sociali “9 avril” fino al 2003. Avevo fatto causa al Ministero degli Studi Superiori tramite un avvocato, ma alla fine riuscii a iscrivermi in maniera del tutto illegale tramite una funzionaria di sinistra del rettorato con la quale escogitammo uno stratagemma per giustificare la mia assenza di 8 anni dall'ambiente universitario. Invece di citare il carcere, la donna mi suggerì di procurarmi un attestato di lavoro falso nel quale si motivava la mia assenza dai corsi con la necessità di lavorare a causa di problemi famigliari. Dopo una settimana sono stato reintegrato nella facoltà, anche se ho dovuto ripetere il 3° anno. Dopo il master del primo anno, avrei dovuto scegliere un relatore per la mia tesi che trattava del pensiero di Leo Strauss, il filosofo tedesco naturalizzato americano che ha ispirato tanta parte della dottrina neocons statunitense. Scelsi Salah Mosbah il quale ebbe un ruolo fondamentale nel mutamento del mio pensiero. Con lui si aprì una vivace dialettica, da un parte c'ero io che argomentavo contro la sinistra e dall'altra Mosbah che attaccava la destra religiosa. Vi fu un animatissimo scambio di idee e ricevetti molti libri in prestito per approfondire gli argomenti che cominciavano ad appassionarmi. Fu lui a introdurmi alla teologia della liberazione e che mi parlò della sinistra islamista. In quel periodo, usciva un mensile edito da musulmani di sinistra dal titolo 15-21 (15° secolo nella definizione musulmana e e 21° in quella cristiano-occidentale). In quella rivista lessi per la prima volte dei preti rossi e della rivisitazione del rapporto fra marxismo e cristianesimo e mi accorsi che, in una maniera inconsapevole, già stavo elaborando un pensiero affine a quello della teologia della liberazione. Mosbah mi incitò ad andare avanti nelle ricerche che mi condussero al pensiero filosofico e politico di Enrique Dussel (2) e alla rilettura della storia dell'Islam.

Il professore mi disse che avrei avuto molti problemi e che anche gli amici più vicini mi avrebbero rinnegato. Lo sapevo ed ero preparato a questo. In un'intervista al giornale di Ennahda, “L'alba”, avevo già spiegato ad un compagno di università che non appartenevo più al movimento e che mi ero avvicinato al marxismo perché ritenevo fosse il più adatto a comprendere le ragioni degli oppressi. Non tutto quello che dichiarai nell'intervista venne pubblicato e venni persino additato come personaggio sospetto.

Quali sono a suo avviso gli elementi della teologia della liberazione che possono essere trasferiti in una concettualizzazione dell'Islam politico?

Innanzitutto la teologia della liberazione riporta il discorso sulla realtà sociale delle popolazioni, realtà sociale, ma anche economica, politica e culturale. Alla luce di questi principi può essere interpretato anche il testo coranico, disancorandolo da una lettura letterale.

Un Islam della liberazione potrà inoltre fornire risposte all'eterna domanda che ci poniamo come musulmani, “perché vi è stata la decadenza della nostra civiltà rispetto a quella occidentale” nella misura in cui avrà la capacità di porci di fronte ai nostri stessi errori. Certamente, non è facile ammetterlo, ma abbiamo anche noi delle colpe... In America Latina la rilettura del cristianesimo ne ha evidenziato le deviazioni, come l'istituzionalizzazione della chiesa che ha allontanato le gerarchie ecclesiastiche dall'essenza stessa dell'umanità e dai suoi bisogni. Purtroppo, gli errori dell'Islam risalgono al giorno stesso della sepoltura del Profeta Mohamed, alle successive lotte intestine per il potere. Anche la messa per iscritto della Sunna (3) è stata una deviazione (il Profeta Mohamed ne aveva vietato la compilazione proprio perché non venisse confusa con il Corano) perché fatta in base ai rapporti di forza politici del momento, secoli dopo la scomparsa del Profeta. Sono in pochi inoltre a ricordare come sia stato Egli stesso ad elaborare una sorta di Costituzione il cui 1° articolo prevedeva l'uguaglianza fra i cittadini di tutte le religioni. Significativo è anche il fatto che quando Egli si trasferì a Yatrib, fuggendo dalla Mecca, la rinominò Medina, che significa la città, equivalente della polis greca, stabilendo le basi della cittadinanza universale.

Ci sono sure nel Corano che esprimono principi simili a quelli del cristianesimo sociale?

Principalmente la sura XII, quella della storia di Giuseppe, che noi musulmani consideriamo uno dei profeti. Credo che questi sia stato il primo a pianificare un'economia statale e la giusta distribuzione dei prodotti della terra. Ma vi sono innumerevoli passaggi del Corano in cui il Profeta Mohamed dichiara chiaramente l'uguaglianza fra gli uomini e la proprietà comune delle risorse naturali.

Come arriva a riconciliare il materialismo storico marxista con la religione?

Prima di tutto le due visoni si riconciliano in un modo del tutto naturale nel “mito” di una società esemplare, dunque hanno in comune un'etica egualitaria. Io poi considero il materialismo storico come un aspetto del marxismo che è stato amplificato dal pensiero europeo. Il marxismo, come lo vedo io, è il concetto del vivere in comune, dunque un valore che ritroviamo in tutte le religioni. Marxismo come etica di vita, non scienza.

Sono convinto che un movimento di liberazione islamica non possa che essere di sinistra, basato sul testo fondatore dell'Islam, cioè il Corano. Del resto posso anticiparvi che sto scrivendo un articolo sul fondamento coranico di una economia socialista, un programma più radicale delle stesse tesi della sinistra stalinista tunisina, pronta a fare concessioni sulla base del principio leninista di “un passo indietro e due avanti”. Secondo tale fondamento fare concessioni è un peccato. Più concretamente nell'articolo invito alla statalizzazione dei mezzi di produzione (rimane da discuterne le modalità) e la proibizione della proprietà privata delle terre agricole. Naturalmente ciò richiederà una autentica rivoluzione culturale che permetterà di ricostruire la coscienza popolare. Il mio riferimento è all'esperienza delle cooperative agricole in Tunisia negli anni '60 e che è fallita per varie ragioni, fra queste la resistenza delle fasce contadine che allora non compresero che era nel loro interesse.

Può fornirci qualche informazione sulla sinistra di ispirazione musulmana in Tunisia e in altri paesi?

A dire il vero si tratta di un movimento molto disperso, non si può ancoraparlare di organizzazione o di una struttura vera e propria per viadella sua natura intrinsecamente elitaria. In Sudan il principale ispiratore è stato Mahmoud Taha, mentre in Egitto la figura più rappresentativa è quella di Hassan Hanaf. E anche in Tunisia sono intellettuali come il professore di filosofia Hamida Enaifer o il giornalista Slaheddine Jourchi, i principali rappresentanti di questa tendenza. Occorre precisare che in Tunisia non si può ancora parlare di sinistra islamica vera e propria, quanto piuttosto di a un movimento di islamisti progressisti, più vicini alla vostra Democrazia Cristiana di un tempo. Occorrerà dapprima creare le condizioni perché nasca questo movimento socio-politico e fare in modo che sia veramente di sinistra.

Secondo molti, Islam e democrazia sarebbero incompatibili. Qual è il suo punto di vista?

Dipende di quale Islam e di quale democrazia parliamo. Comunque, affermare che siano incompatibili tout court è falso. Non c'è un solo Islam, così come non c'è un solo cristianesimo. Le appartenenze di classe e quelle regionali ne definiscono le modalità, l'Islam praticato in Indonesia non è lo stesso dell'Arabia saudita. In Tunisia il partito di Ennahda non è compatibile con una vera democrazia perché al fondo rimane una ispirazione fondamentalista che lo spinge a considerare la democrazia non come fine in sé, bensì come un mezzo per arrivare al potere. La gestione della polis non appartiene alla cultura maggioritaria di questo partito, rendendolo quindi pericoloso. Rachid Ghannouchi stesso (4) è salafita, secondo me.

E la Tunisia è un paese musulmano o islamista?

Musulmano, senz'altro. Io sono ancora fiducioso perché l'attuale governo ha commesso gravi errori e la gente ad un certo momento farà una scelta diversa.

Perchè Ennahda ha vinto le elezioni del 2012?

Si è trattato a mio avviso di un voto-sanzione nei confronti della dittatura precedente che aveva perseguitato gli islamisti. Nell'immaginario della popolazione tunisina essi sono stati visti come le principali vittime di Ben Alì. Si è votata in realtà una visione ideale di un certo ceto politico. Sicuramente sull'esito del voto ha inciso anche il desiderio di un ritorno ad una religiosità che era stata duramente repressa. Ma non va trascurato neppure il peso che ha avuto la propaganda: direttamente o indirettamente, in 5000 moschee gli imam hanno invitato a votare per Ennahda.

A questo proposito, approfitto per affermare che bisognerà affrontare la questione delle moschee, Gramsci stesso considerava la Chiesa come parte della società civile, quindi in Tunisia si tratterà di ridefinire il ruolo politico e sociale della moschea.

In Tunisia esiste il pericolo di una dittatura islamista, come credono alcuni?

Se alle prossime elezioni vincerà un solo partito, Ennahda o Nidaa Tounes, il pericolo esiste, ma parliamo di dittatura tout court. È auspicabile perciò che ci sia un certo equilibrio fra tutti i partiti.

Sia Ennahda che Nidaa Tounes rappresentano gli interessi della destra e delle sfere capitalistiche a livello mondiale: il primo incarna una destra iperliberista sul piano economico e conservatrice su quello morale, speculare alla visione economica di Nidaa Tounes che ha, al contrario, un'ispirazione del tutto laica dal punto di vista della morale. Partendo da questa constatazione i paesi in via di sviluppo non possono che avere governi dispotici, mentre la destra in occidente non ne ha bisogno poiché è riuscita ad alienare la coscienza popolare. In Tunisia, per spezzare lo slancio rivoluzionario, la destra, religiosa o laica che sia, farà di tutto per ricreare il sistema di governo precedente, magari con uno stile rinnovato.

E un alternativa alle due destre esiste?

Sì, certamente. Sta per nascere e costituirsi un movimento che potrà essere alternativo, la teologia della liberazione dovrà superare la fase teorica (e in effetti lo sta facendo) e costruire un movimento autenticamente popolare e patriottico, un movimento democratico e sociale. In attesa della costituzione di questo blocco storico, invito la sinistra a farsi una seria autocritica e a diventare ciò che deve essere veramente, cioè un movimento dialettico e non dogmatico.

Secondo lei, perché la sinistra non riesce a ottenere più credibilità e sostegno da parte delle fasce popolari più disagiate?

Per i motivi summenzionati e perché agli occhi delle persone più umili appare come una sinistra “atea” che ha prodottouna rottura epistemologica - nel senso negativo del termine - con la realtà culturale e religiosa del paese e inoltre -cosa di cui sono convinto- è una sinistra troppo elitaria e laica. In breve, il lavoro che attende la teologia della liberazione islamica è duplice: critica della tradizione islamica e critica della tradizione marxista.

È vero che salafismo e terrorismo sono aumentati in Tunisia? è un effetto ottico?una reazione? O solo islamofobia all'occidentale?

Diciamo che si tratta di tutte e tre le cose messe insieme. Di sicuro ci sono delle forze occulte che hanno creato il mostro per poi successivamente abbatterlo e sfruttare politicamente la vicenda.

All'interno di Ennahda esistono dei riformatori?

Fortunatamente ve ne sono e fra questi Samir Dilou, a capo del Ministero dei diritti umani (anche se è un liberale di destra) e il responsabile del dipartimento Cultura del partito, Ajimi Ourimi.

Ci sarà una scissione all'interno di Ennahda?

Difficile rispondere in modo categorico. Quello che penso è che sia nell'interesse stesso del partito andare ad una scissione indolore che permetterà ad una certa frangia “liberale” di orientare il movimento verso la modernità, nel senso positivo del termine.

Con chi, fra questi studiosi che auspicano un Islam illuminato, sente più affinità: Mohamed Talbi, Yadh Ben Achour o Olfa Youssef(5)

Le tesi di Talbi sono quelle che più si avvicinano al mio pensiero. Ben Achour invece rappresenta la destra liberale francofona, mentre con Olfa Youssef mantengo rapporti d'amicizia, anche se avrei preferito si limitasse ad essere una ricercatrice critica dell'Islam e non entrasse in (a) Nidaa Tounes!

Chi vincerà le prossime elezioni?

Sono piuttosto scettico...prevedo una vittoria della destra (Nahda o Nidaa Tounes) e ancor peggio un'alleanza fra i due partiti che significherà la fine del processo rivoluzionario. Se la sinistra non riuscirà a riorientare la propria strategia culturale, cioè ad aumentare la propria penetrazione nella cultura popolare (alla Chavez, per intenderci), non potrà mai ambire a diventare la prima forza politica del paese.

Un'ultima domanda: perché invece di fondare un nuovo partito, come ha in mente, non entra nel raggruppamento del Front Populaire?

Il motivo è in alcune delle risposte precedenti: la sinistra, nella sua forma attuale, non rappresenta un'alternativa adeguata.

  1. Ellouze e Bennani sono considerati fra gli elementi più fondamentalisti all'interno di Ennahda.

  2. Enrique Dussel, filosofo argentino, teorico della liberazione. Dall'esilio in Messico scrisse il suo manifesto programmatico “Filosofia de la liberaciòn” (1973)

  3. Sunna: La Sunna per eccellenza è costituita dal complesso degli atti e detti del Profeta Maometto, che sono stati trasmessi nei singoli ḥadīth ("racconti" o "aneddoti" brevi di 5 o 10 righe). Esistono milioni di aḥādīth classificati per isnād (lett. "legame", nel senso di "legame di trasmissione di una tradizione giuridica") ed affidabilità. La collezione della totalità dei singoli ḥadīth costituisce appunto la Sunna. La Sunna è la raccolta dei comportamenti che il Profeta ha assunto in differenti occasioni e sono diventati, per questa ragione, esempi da seguire da parte della comunità dei musulmani e chiave d'interpretazione per la liceità o meno di fattispecie non previste espressamente dal Corano. A tali comportamenti è stato quindi attribuito un significato e un valore normativo.
    In senso più ampio la Sunna comprende anche i comportamenti dei Compagni del Profeta e delle maggiori personalità del primo periodo dell'Islam.(http://it.wikipedia.org/wiki/Sunna)

  4. Rached Ghannouchi, carismatico presidente del partito Ennahda, rientrato in Tunisia il 30 gennaio 2011, all'indomani della cacciata di Ben Alì, dopo vent'anni di esilio.

  5. Mohamed Talbi, tunisino, fu il primo rettore dell'Università di Tunisi, autore, fra l'altro, di “Ma religion c'est la liberté”, oppositore di Ben Alì e fra i massimi esponenti dell'Islam liberale in Tunisia.

    Yadh ben Achour, la cui opera più recente è”La deuxieme fatiha- L'Islam et la pensée des droits de l'homme”, è un giurista tunisino che è stato presidente de l'Haute instance pour la réalisation des objectifs de la révolution, de la réforme politique et de la transition démocratique nel periodo post-rivoluzione. E' attualmente membro del Comitato per i diritti dell'uomo alla Nazioni Unite.

    Olfa Youssef, islamologa e ricercatrice universitaria tunisina.

    L'intervista originale è uscita sul sito http://www.tunisia-in-red.org/?p=2127
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