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Pandemia: i debiti al pettine, edizione britannica

Dall’inizio della pandemia, i governi hanno attuato una espansione fiscale senza precedenti, non solo sul piano quantitativo: si pensi, ad esempio, ai prestiti garantiti dallo stato, erogati a favore delle imprese. Il punto è presto detto: che accadrà quando (e non “se”) gran parte dei beneficiari alzeranno la mano sostenendo di non essere in grado di ripagare? Vediamo che ne pensano in Regno Unito.

Dalla prossima primavera, le aziende britanniche dovrebbero iniziare a ripagare i prestiti ottenuti dietro garanzia pubblica (al momento sono 46 miliardi di sterline, ma l’importo è in crescita), utilizzati per supplire alla scomparsa dei flussi di cassa da oltre 2 milioni di imprese. Questa “resa dei conti” sarà preceduta, salvo proroghe, dalla scadenza della cassa integrazione pubblica e da quella dei versamenti Iva, previste per l’autunno.

Si stima che una azienda britannica su cinque disponga di riserve per meno di un mese di fabbisogno di cassa. L’Office for Budget Responsibility, organismo indipendente equiparato al nostro Ufficio Parlamentare di Bilancio, stima che fino a 35 miliardi di prestiti garantiti dallo Stato potrebbero diventare inesigibili.

Che fare in quel caso, quindi? La maggior parte dei crediti sono con aziende la cui piccola e piccolissima dimensione preclude ipotesi di conversione del debito in capitale proprio (situazione molto simile a quella italiana, peraltro).

Il Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, ha chiesto consigli all’organismo rappresentativo del settore dei servizi finanziari, che la settimana scorsa ha presentato i risultati delle proprie valutazioni. Le proposte sono graduate in funzione dell’entità dei prestiti contratti, quindi indirettamente della dimensione di impresa.

Per le imprese di dimensioni minori, quelle che hanno contratto prestiti fino a 250 mila sterline, si suggerisce una sorta di trasformazione dei debiti in un equivalente di imposta, nel senso che il rimborso sarebbe differito subordinato a metriche di ripresa dei flussi di cassa e della redditività. Una sorta di addizionale dell’imposta sui redditi delle società, in pratica.

Per le imprese indebitatesi dietro garanzia pubblica per importi sino a un milione di sterline, si suggerisce la conversione dei prestiti in debito subordinato o in azioni privilegiate, che sono strumenti di capitale senza diritto di voto, quindi tali da non intaccare il controllo dell’impresa, ma che hanno maggiorazione e precedenza sul pagamento dei dividendi.

Da ultimo, è prevista l’opzione di ricapitalizzazione pubblica vera e propria, quella che tanto piacerebbe ad ampia parte della politica italiana, ma il suggerimento britannico è rigoroso, per prevenire o contenere l’inevitabile aumento di aziende zombie prodotte da questa pandemia:

Business Capital Growth Shares (BCGS) could be created and held by a new or adapted growth capital fund. This would be for viable SMEs that have either not taken out debt or are able to repay their debt but nonetheless need growth capital. This would allow them to rebuild cash reserves, invest in working capital and relaunch after the crisis. The growth capital could help support the regeneration of local and regional economies to drive the long-term recovery of communities across the UK.

Come si nota, viene rimarcata la “vitalità” delle aziende beneficiarie, in quello che somiglia molto ad un sano tentativo di private equity pubblico. Si potrebbe osservare che un veicolo di capitale pubblico di questo tipo non pare essere necessario, visto che c’è già l’iniziativa privata. Ovviamente, questo è un suggerimento ideal-tipico, che tenta di evitare quello che rischia di accadere un po’ ovunque: soldi pubblici ad aziende che non stanno in piedi. Con l’ingresso nel loro capitale, per costruire il monumento al cosiddetto Stato imprenditore, sogno bagnato di molti politici e del caravanserraglio di consulenti internazionali alla ricerca di incarichi governativi.

Come che sia, ribadisco l’utilità di seguire da vicino le prassi degli altri paesi, in questo sconvolgimento epocale. Perché il rischio, a muoversi in determinati modi, è quello di mandare fuori controllo il debito pubblico senza riuscire ad evitare una carneficina di aziende. O meglio, finendo a pagare sontuosi “redditi di cittadinanza” ai dipendenti di aziende passate dal coma farmacologico allo stato vegetativo. Non saranno scelte semplici, per nulla.

Ma di certo è meglio pianificare prima, anziché lanciarsi in proclami ideologici e sogni di socialismo surreale e poi frignare per avere sovvenzioni da altri paesi.

Foto: Number10/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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