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Open access. Il permesso d’autore

 

Il saggio “Open access” descrive i vantaggi dei sistemi aperti di conoscenza rispetto a quelli vincolati alle leggi commerciali (Luciano Paccagnella, Mulino, 2010; eBook 2011).

“Il modo migliore di prevedere il futuro è inventarlo” (Alan Kay, http://vpri.org).

L’attuale società aperta della libera conoscenza si sviluppa più rapidamente e più razionalmente, grazie alle magie della cooperazione e del lavoro volontario. Infatti le licenze dei software liberi si avvalgono del copyleft, cioè l’uso rovesciato del diritto d’autore: “Anziché utilizzare il copyright per limitare il diritto di copia, lo si usa per garantire a chiunque tale diritto e per impedire che qualcuno possa limitarlo nel futuro. Se gli autori di software libero rinunciassero semplicemente ai propri diritti e rilasciassero il software al pubblico dominio, questo potrebbe essere utilizzato per la creazione di programmi proprietari, cosa che la Free Software Foundation (www.fsf.org) intende combattere in tutti i modi” (p. 60). Si tratta quindi di un particolare “permesso d’autore”.

Chi copia il software non commette reato: “E' reato copiare software proprietario, ma non è reato copiare software libero” (p. 62). Infatti l’esperto italiano Emmanuele Somma denunciò la campagna pubblicitaria televisiva troppo generica e troppo intimidatoria andata in onda nell’autunno 2000. La sua richiesta fu accolta dal Giurì dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria. Chi fosse interessato a dei chiarimenti legali può segnarsi questi siti: www.copyleft-italia.it, www.aliprandi.org (Simone Aliprandi), www.piana.eu (Carlo Piana), www.fabiobravo.it.

In genere nei software liberi sono presenti “i credits, ovvero i nomi di coloro che maggiormente hanno contribuito allo sviluppo di quel programma… La meritocrazia tipica della cultura hacker impone che siano sempre riconosciuti i meriti individuali. La reputazione che ne consegue può essere utilizzata come segnale di competenza tecnica sul mercato del lavoro” (p. 75).

D’altra parte “L’interesse economico nella partecipazione a progetti di sviluppo di software libero non si esprime solo a livello individuale, ma anche sul piano degli investimenti aziendali… Questo avviene probabilmente in parte per migliorare la propria immagine pubblica”. Naturalmente “per le imprese, l’investimento dell’open source è giustificato anche da una logica di ‘coopetition’: cooperare su alcune cose per competere su altre”, per ottenere ritorni economici a medio e lungo termine. Ad esempio circa il 70 per cento del codice del kernel di Linux, cioè il cuore del sistema operativo, è stato scritto da programmatori retribuiti.

Inoltre esistono anche le licenze “Creative Commons” che riguardano differenti generi di contenuto: editoriale, artistico, scientifico, ecc. Queste licenze tutelano la proprietà intellettuale e permettono all’autore di decidere caso per caso quali diritti mantenere e quali concedere a tutti. Un grande esperto americano di proprietà intellettuale è Lawrence Lessig: www.lessig.org/blog, www.ethics.harvard.edu/lab.

Ed è meglio puntualizzare che “il software è brevettabile negli Stati Uniti. L’Unione europea al contrario, ha sempre negato la brevettabilità del software, considerandolo un’opera dell’ingegno a carattere creativo e dunque soggetta a essere tutelata dalla normativa sul copyright” (nota 8 a p. 100). Per quanto riguarda il file sharing, non si può negare in molti casi la plateale illegalità. Però questi comportamenti sono diventati abitudinari e servirebbero delle nuove legislazioni per regolarizzarli, tenendo pure conto del punto di vista delle industrie discografiche.

Se poi pensiamo che ogni “forma di conoscenza viene oggi creata, archiviata e diffusa in formato digitale, è facile capire che le conseguenze della scelta di un formato proprietario, piuttosto che di uno aperto, potrebbero rivelarsi importanti… Una piccola impresa che sceglie un formato proprietario per la gestione dell’inventario dei propri prodotti sceglie più o meno consapevolmente di legarsi anche in futuro all’azienda che detiene i diritti su quel formato” (quasi sempre l’azienda che produce il software). Chiaramente lo stesso discorso vale per le pubbliche amministrazioni, tutti i professionisti, le scuole e le università. Infatti la Provincia Autonoma di Bolzano ha già installato dei sistemi informatici liberi: http://fuss.bz.it.

In ogni caso, “In quanto individui liberi, siamo obbligati a scegliere. Per farlo è necessario conoscere” (Paccagnella). Altrimenti qualcun altro sceglie per noi e non fa i nostri interessi. E se l’informazione è “la percezione di una differenza” (Bateson, 1972) nella realtà personale, la comunicazione è “un processo di costruzione collettiva e condivisa del significato, processo dotato di livelli diversi di formalizzazione, consapevolezza e intenzionalità” (Paccagnella, 2004). E livelli differenti di verità sociale. Infatti possiamo “pensare alla comunicazione come al “processo di cottura”: ciò che serve per trasformare il crudo (l’informazione) nel cotto (la conoscenza)” (p. 172).

Comunque la considerazione didattica più semplice di Paccagnella è la seguente: “Se la paura degli insegnanti è quella del plagio, un copia e incolla da una fonte reperita in rete è smascherabile in pochi secondi, a differenza di una copiatura tradizionale da un libro di carta” (p. 175).

Luciano Paccagnella insegna Sociologia della comunicazione e Sociologia della conoscenza e delle reti nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Torino.

Sitografia ampliata: www.ledigital.it (libreria multimediale), www.ledizioni.it (libreria digitale, www.quasi.unimib.it (progetto interdisciplinare che studia la società dell’informazione), www.numediabios.eu (osservatorio), www.lisp.formazione.unimib.it, www.tecnoetica.it (blog di Davide Bennato), www.arpanet.it (strategie digitali e comunicazione per la cultura), www.arpanet.org (libreria elettronica), www.arpamagazine.com (rivista arte e tecnologia), http://it.edufindme.com (network che promuove gli studi all’estero), www.encyclomedia.it (progetto multimediale interdisciplinare ideato e diretto da Umberto Eco), www.vitodibari.net (docente e consulente multimediale), www.dicosmo.org (esperto e docente), www.kurzweilai.net (Accelerating Intelligence), www.documentfoundation.org (il direttore è Italo Vignoli che è pure il presidente della suite open source www.plio.it), www.comifin.eu (la sicurezza finanziaria nel Web), www.partecipasalute.it (i cittadini e la sanità), www.ieee.org (Advancing Technology), www.khanacademy.org (didattica gratuita on line), www.medialibrary.it (libri e musica), www.linkedopendata.it, www.infomedia.it (pubblicazioni per programmatori), http://edernet.wordpress.com (il blog-rivista di Francesca Di Donato, ricercatrice).

Chi avesse bisogno di aggiornamenti statistici e di nuove informazioni sull’utilizzo di Internet può visionare www.audiweb.it, www.osservatoriocontenutidigitali.it e www.internetworldstats.com, http://webaccessibile.org, www.assowebitalia.it, www.cefriel.it (centro studi internazionale), www.multicanalita.it (osservatorio sui media).

Il testo completo dei principi del manifesto della Budapest Open Access Initiative è reperibile all’indirizzo www.soros.org/openaccess/read.shtml.

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