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Onorevoli Omertosi

Questa storia si è conclusa a inizio giugno, ma nessuno l’ha detto, finché Sergio Rizzo non ne ha scritto qualcosa (pure poco e male), su un supplemento economico del Corriere della Sera che non legge nessuno, ma che è stato ripreso dalla giornalista Norma Rangeri nella trasmissione “Prima pagina” di Radio tre.

C’era una volta il CAF, dove regnavano tre Re, uno più cattivo dell’altro, che si chiamavano Craxi, Andreotti e Forlani: pretendevano che su tutte le spese del regno si pagassero delle tangenti. Tutti gli altri, feudatari, vassalli, valvassori, amministratori pubblici, politici eletti oppure no, faticavano molto per intascare, anche loro, qualche tangente, quei tre Re ingordi le volevano tutte per loro e per le loro “correnti”, come allora si chiamavano le clientele; però, alla fine, tutti riuscivano ad avere le loro tangenti, perché tanto pagavano con il debito pubblico, mettendole in conto ai ragazzi, ai bambini e a chi ancora doveva nascere.

A quei tempi, tanto tempo fa, c’era il privato e c’era il pubblico. Allora il privato era costituito da ricchi e meno ricchi che investivano i loro soldi in attività. I ricchi comandavano le imprese e i meno ricchi sceglievano a chi associarsi nei loro affari. I soldi erano loro e controllarli era “affar loro”. La politica controllava entrambi, ma in maniera molto diversa: i privati potevano fare ciò che volevano purché rispettassero le leggi e i loro soci, cioè: non falsificassero a favore di altri i bilanci che presentavano ai loro soci. I pubblici invece, erano soggetti a controlli da parte dello stato che li finanziava con le tasse dei cittadini.

Poi in quel regno arrivarono dei magistrati che fecero delle indagini e dei processi e condannarono alcuni che intascavano tangenti: pochi, rispetto ai tantissimi "tangentaroli", ma sempre insopportabilmente troppi per chi governava lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e le tante aziende pubbliche: bisognava trovare una soluzione!

Cerca e ricerca una soluzione, ad un certo punto si scoprì che la soluzione c’era già bella fatta e pure collaudata: funzionava già benissimo e si chiamava “project financing”, oppure “Progetto TAV”, ma per gli amici, più semplicemente: TAV.

Ci avevano lavorato speculatori di chiara fama come Giovanni Agnelli, Caltagirone, Ligresti, ma ci aveva messo lo zampino anche la P2, e si poteva contare su statisti della statura di Cirino Pomicino e su noti faccendieri come Pacini Battaglia.

Il sistema era semplice: si diceva che un’opera pubblica sarebbe stata realizzata con i soldi dei privati, che a tal scopo costituivano una società (TAV Spa), con tanti soldi privati e un po’ di soldi pubblici. In realtà i privati non ci mettevano proprio niente, alcune banche (Comit, BNL, Credito It) ce ne mettevano un po’, e soprattutto aprivano grandi crediti, lucrando poi sugli interessi. La società TAV non era controllata dalla Corte dei Conti che deve controllare solo i conti pubblici; quindi la TAV poteva versare tutte le "tangenti" che voleva, in tutte le forme che preferiva: appalti gonfiati, mediazioni, assunzioni, consulenze, lussuosi posti in vari CdA e quant’altro si potesse inventare: tanto formalmente mica erano soldi pubblici! Con queste “tangenti legalizzate” si potevano comprare consensi di politici di tutti gli schieramenti, commenti entusiasti di tanti giornalisti e opinionisti importanti: ce n’era di olio per ungere tutte le ruote!

Fu così che le poche proteste di persone perbene (Preti, Andreatta, Schimberni…) che avevano capito e denunciato la truffa furono silenziate alla pubblica opinione e tutti i ministri dei trasporti che si succedettero avallarono il “Progetto TAV”. Tanto per far nomi, furono Signorile (1983-7), Travaglini, Mannino, Santuz, Bernini, Costa, Fiori, Caravale, Burlando, Treu, Bersani, Lunardi, Bianchi e perfino Di Pietro. Sotto i loro disattenti sguardi TAV Spa e poi Infrastrutture Spa regalavano e sperperavano accumulando debiti enormi. Se ne accorse, però, l’Unione Europea che nel 2005 impose all’Italia di fermare quella truffa e quell’enorme “debito occulto”.

Un disastro? No, la FIAT rassicurò tutti: Giovanni Agnelli aveva già mandato in scena diverse volte la sua sceneggiata “Privatizzazione dei guadagni e socializzazione delle perdite” e sempre con gran successo: infatti a dicembre 2006 (governo Prodi), con la finanziaria 2007, lo Stato italiano si accolla tutti i debiti di Infrastrutture Spa (cioè TAV Spa). 

Come? Con il comma 966 dell’illeggibile mega-articolo-unico della legge 296: nessuna discussione in aula, nessuna quantificazione di quel debito e quindi del costo di quel comma: solo dopo si saprà che ci è costato quasi 13 miliardi di euro! Per la precisione: € 12 950 000 000. Ma la cosa più bella è che i ladri non rischiarono proprio niente: tutto legale, nessun rischio di essere beccati con una mazzetta in mano o nelle mutande o nel puff del salotto. Fu così che tante amministrazioni pubbliche decisero che era meglio appaltare le loro funzioni pubbliche ad altre società private a cui l’amministrazione “partecipava” mettendoci una parte, spesso tutto, del capitale: negli ultimi vent’anni sono nate migliaia di “partecipate” o “controllate”.

Le partecipate sono una vera pacchia: i soldi sono pubblici ma la forma è privata, quindi se il CdA o il Direttore o il Presidente lo vuole, si può assumere l’amica o il figlio con chiamata diretta senza alcun obbligo di concorso, fregandosene anche dei blocchi delle assunzioni nel pubblico impiego e dei tagli lineari. Se si vuole pagare un bene o un servizio il triplo di quanto normalmente costa, non c’è problema: la Corte dei Conti e le “spending review” non possono ficcare il naso nelle società private! Se si accumulano debiti e si pagano interessi spropositati, non c’è problema: nessuno controlla niente.

In realtà sono anni che la Corte dei Conti denuncia che con le partecipate e le controllate spendono soldi pubblici al di fuori del loro controllo contabile: anche recentemente, alti magistrati come Luigi Mazzillo e Salvatore Nottola, relazionando sui conti 2011, hanno parlato di polvere sotto il tappeto e di debiti fuori controllo: pare che si tratti di 34 miliardi! Ma forse soltanto per le controllate degli enti locali. ottola aveva anche detto: “moltissimi casi di disfunzione nelle società partecipate hanno origine proprio nella corruzione e nell’illegalità… La creazione di enti privati per le funzioni pubbliche è una scelta politica che ci sfugge. Se la cognizione del giudice contabile non comprendesse queste entità, una larga parte delle pubbliche risorse sarebbe sottratta al controllo pubblico… la soluzione di questo problema, per la sua estensione e gravità, non può più essere affidata alla giurisprudenza, ma essere ricondotta alla responsabilità politica».

Cioè: noi vediamo e denunciamo il problema, ma siete soltanto voi onorevoli politici ad avere il potere legislativo e quindi siete voi a dover risolvere. Già: ma i politici vogliono risolvere? La risposta è arrivata un mese fa, il pomeriggio del 5 giugno 2012. Un deputato del PD, Salvatore Vassallo, aveva presentato un emendamento (N° 9.0250) al disegno di legge governativo anticorruzione, che stabiliva, perlomeno per le “controllate”, proprio ciò che la Corte dei Conti chiedeva e che il governo ignorava: “Sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti anche gli amministratori e i dipendenti delle società direttamente o indirettamente partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici, quando essi possiedano la maggioranza del capitale sociale o comunque ne esercitino il controllo ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.”

Peccato che lo stesso Vassallo, visto che il suo emendamento non era gradito né alla commissione né al governo, abbia deciso di ritirarlo.

Però Di Pietro (IdV) lo ha ripresentato a suo nome e ha preteso che andasse in votazione alla camera. Così si è saputo come la pensano i nostri onorevoli sul fatto di controllare e reprimere o meno quelle corruzioni e quelle illegalità che avvengono attraverso le società controllate. Presenti 519. Votanti 345. Astenuti 174: Maggioranza 173. Hanno votato sì 25. Hanno votato no 320. La Camera respinge. Se l’aritmetica non è un’opinione, 320 contrari + 174 che “non ne hanno il coraggio” = 494 deputati omertosi con i corrotti che, su 519 presenti, ci dà un tasso di onorevole omertà del 95%. Anzi, un po’ di più: del 95,2%.

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