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Oltre 10.000 i cervelli in fuga

E’ stata presentata a Roma una ricerca denominata “Giovani professionisti in movimento”, realizzata dal centro studi del Forum nazionale dei giovani in collaborazione con il Cnel. 10.584 giovani dal 1997 al 2010 si sono trasferiti per motivi di lavoro in altri paesi europei. Si è trattato generalmente di lavoratori altamente qualificati. Numerosi sono stati anche i lavoratori che si sono trasferiti in Italia ma, in questo secondo caso, la loro qualificazione è medio-bassa.

In un comunicato emesso dall’agenzia Ansa si riferisce dei contenuti principali della ricerca in questione:

“Sempre più medici, avvocati e architetti in fuga all’estero per trovare lavoro. Sono oltre 10.000 (10.584) i professionisti che tra il 1997 e il 2010 si sono trasferiti stabilmente in altri paesi europei, a partire dai 4.130 che vivono nel Regno Unito, i1.515 in Svizzera e i1.140 inGermania…

Dall’Italia si allontanano così lavoratori altamente qualificati come 2.640 medici, 1.327 insegnanti delle scuole superiori, 596 avvocati e 214 architetti, ma il Belpaese è anche in grado di attrarre professionisti dall’estero, tanto che il saldo tra gli arrivi e le partenze è positivo per circa mille unità.

Si trasferiscono in Italia soprattutto i professionisti rumeni (5.125 tra il 2007 e il 2010), seguiti a lunga distanza dagli spagnoli (1.306) e dai tedeschi (1.030). A contraddistinguerli però è una qualificazione medio-bassa e sono in larghissima parte infermieri (6.531 dei quali 2.154 non specializzati).

Il Forum dei giovani e il Cnel individuano alcuni ostacoli da rimuovere per la libera circolazione dei professionisti in Europa, a partire dal riconoscimento dei titoli fino all’omogeneità dei percorsi formativi.

I professionisti più agevolati nella mobilità Ue, secondo quanto emerge da una serie di interviste, sono i medici e gli architetti, incontrano maggiori difficoltà gli psicologi e i giornalisti, ma i problemi più seri riguardano i notai, i commercialisti, i consulenti del lavoro e gli avvocati.

Con una regolamentazione tra le più pesanti nei paesi industrializzati (secondo l’Ocse fanno peggio dell’Italia solo Slovenia, Turchia e Lussemburgo), il mondo delle professioni non é un ‘gioco da ragazzi’.

Tra gli oltre 2 milioni di iscritti agli ordini professionali, appena il 9,4% ha meno di 30 anni. In particolare, un notaio su due ha più di 50 anni e quasi tre medici su quattro sono over 45. Sono più giovani i giornalisti e gli avvocati: oltre il 60% ha meno di 45 anni”.

Il presidente del Cnel Antonio Marzano è intervenuto alla presentazione della ricerca.

Marzano ha tra l’altro dichiarato:

“Il peso della prolungata crisi economica è caduto sulle spalle non solo, ma soprattutto, dei giovani: tassi di disoccupazione più alti, ed una prospettiva che, per la prima volta, si presenta economicamente meno soddisfacente rispetto a quella delle generazioni giovanili precedenti, testimoniano questa realtà, spesso costituita da precarietà ed incertezza.

Da tutto ciò non sono esenti i giovani professionisti. Migliorarne le condizioni sotto il profilo dell’accesso alle professioni, della meritocrazia, che deve essere alla base del loro successo e delle garanzie di base per le fasi iniziali del loro rapporto di lavoro e della loro mobilità, sono forse i temi che chiedono più attenzione.

L’importanza delle professioni, e dei rispettivi ‘Ordini’, va analizzata anche al di là del contingente del dibattito sulla loro riforma.

Un aspetto centrale di questa riforma è quello del miglioramento della condizione dei giovani professionisti.

La conquista di una solida reputazione è il primo problema di ciascuno di essi. Questo tipo di reputazione non può essere assolta attraverso i soli rapporti di parentela con i professionisti già affermati: sarebbe una soluzione impropria, non inclusiva, privilegiata e non meritocratica”.

I risultati della ricerca sono senza dubbio interessanti, ma sarebbero stati ancor più interessanti se si fosse tentato di verificare quanti dei “cervelli in fuga” italiani sarebbero stati disponibili a rimanere nel nostro Paese, se si fossero presentate le condizioni necessarie. Io credo che molti, al limite dopo una breve esperienza all’estero, sarebbero stati più che disponibili a svolgere le loro attività lavorative in Italia. Negli ultimi anni soprattutto, le difficoltà dei giovani “cervelli” italiani nella ricerca di un lavoro nel nostro Paese sono decisamente aumentate e molti di coloro che sono emigrati all’estero sono stati costretti a farlo.

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