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Olimpiadi. Renzi e l’uso politico dello sport

 

Ci sono poche certezze nella vita, e una di queste è il tweet di Matteo Renzi a ogni oro o comunque buon risultato conquistato dagli atleti italiani a Rio. Puntuale, conciso e talvolta polemico, il nostro Primo Ministro è ormai onnipresente nei commenti a caldo di rito dopo ogni gara. O scrive qualcosa lui o ritwitta gli interventi di ItaliaTeam, l'account Twitter che riunisce tutte le federazioni sportive nazionali. Si congratula se si vince, si rammarica se si perde ed enfatizza tutto in entrambi i casi.

La ragione è ovvia: Renzi vuole far sentire la sua presenza in vicende che appassionano lo spettatore medio italiano e che quindi creano un legame con lui. Una strategia culminata con il controverso viaggio a New York per la finale degli US Open dello scorso anno. I suoi commenti (perlopiù scontati) stanno tutti a significare che lui c’è, che non "distrae" la gente con argomenti più seri ma che non interessano a nessuno, ma invece è qui che soffre insieme a noi, semplici cittadini che seguono col fiato sospeso le imprese sportive dei nostri olimpionici. Il tutto inserito nel quadro di una massiccia presenza sui social talmente ampia da oscurare coscienziosamente i risultati ottenuti dalla carica che ricopre.

Furbo il presidente. Ha semplicemente capito che il culto delle emozioni è l'unica via per sfuggire a quel vuoto esistenziale che ha reso la nostra comunità così (in)sofferente alla realtà attuale e così sfiduciata verso il futuro. Un vuoto che non si può contrastare con la ragione, schiacciata da sentimenti di delusione e frustrazione sempre più diffusi, e che può trovare un antidoto solo nella tensione incontrollabile data da fenomeni di costume, come lo sport. Un'oasi di rifugio in tempi di crisi e negatività.

Certo l'uso dello sport come strumento di comunicazione (per non dire di propaganda) politica e culturale è sempre stata una costante dei leader di tutto il mondo. Fu una geniale intuizione di Nelson Mandela quella di ricostruire il suo Paese dai valori dello sport: nel 1995, grazie ai valori trasmessi dal rugby ― il rispetto delle regole, l’umiltà, il senso di appartenenza ― l'allora neoeletto Presidente del Sudafrica riuscì ad unire i suoi cittadini, al di là del colore della pelle, attraverso lo sport giocato dalla minoranza bianca. Ed è solo uno dei tanti esempi positivi (così come ce ne sono tanti negativi: si pensi ai Mondiali di calcio in Argentina del 1978, durante la dittatura) che potremmo ricordare.

Ma Renzi non è Mandela e l'Italia - almeno a suo modo di vedere - non è un Paese da ricostruire, semmai da tenere buono.

Così, quella che potrebbe essere una scuola di valori per i giovani e la chiave di rilancio di un'Italia che ha perso i propri riferimenti culturali e politici, viene utilizzata da Palazzo Chigi come un'informale cassa di risonanza per amplificare la propria presenza al di fuori delle occasioni ufficiali. Almeno fino a quando quel vuoto esistenziale si allargherà al punto che nemmeno la retorica delle emozioni basterà più per colmarlo.

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