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Non è anti democrazia è solo «il Rosatellum, bellezza»

Ad ogni nuovo Governo, una nuova legge elettorale. È la realtà della politica italiana da circa vent’anni a questa parte: ogni Governo, ogni legislatura, preso atto dell’incostituzionalità della legge elettorale precedente, ne formula un’altra che non sempre tutela la scelta dell’elettore. Quasi mai, per la verità.

di Marco Piccinelli

Il principio ‘un elettore, un voto’, caro alla cosiddetta Prima Repubblica sembra essere uno di quegli assunti da mettere nel dimenticatoio solo perché pronunciati più di vent’anni fa. Quando invece il proporzionale puro sarebbe il sistema elettorale che tutelerebbe realmente la volontà dell’elettore, non mortificando la democrazia e il dibattito politico con dichiarazioni riguardo il voto utile sminuendo liste e partiti concorrenti.

In ogni caso, nella giornata di ieri, la Commissione Affari Costituzionali ha dato il parere favorevole al ‘Rosatellum 2.0’. Il nome è tutto un programma, così come l’infelice pratica giornalistica e politica di posporre -ellum ad ogni tentativo di legge elettorale.

Il ‘Rosatellum 2.0’, in ogni caso, inizierà ad essere votato alla Camera dei Deputati a partire da martedì pomeriggio ed i gruppi dovranno presentare i propri emendamenti.

Uninominale, proporzionale, sbarramento al 3%

Il disegno di legge elettorale prevede che poco più di un terzo dei seggi vengano assegnati grazie a 231 collegi uninominali maggioritari e i restanti su base proporzionale, basandosi su listini bloccati molto piccoli (massimo 4 nomi). I candidati dei collegi uninominali potranno cumulare le candidature fino ad un massimo di 5 e non è previsto il voto disgiunto: l’elettore, infatti, votando con una singola scheda, indica la preferenza verso quel candidato della lista ‘x’ e vota – automaticamente – sia ‘lista x’ che ‘candidato y’.
Lo sbarramento da superare per le singole liste è al 3%, mentre per le coalizioni sale al 10%.

Il sistema più antidemocratico del globo: l’uninominale maggioritario secco

«Credo che la democrazia liberale sia un modello importante a cui fare riferimento, tuttavia non ne ho mai vista una sua straordinaria applicazione», a parlare era Rina Gagliardi, nel periodo in cui era co-direttrice di ‘Liberazione’, il fu quotidiano del Partito della Rifondazione Comunista.

La frase, pronunciata all’incirca dodici anni fa in una trasmissione televisiva di approfondimento politico, calza a pennello con quanto avviene da sempre nel corso delle elezioni inglesi. Il sistema anglosassone denominato "first past the post", ovvero l’uninominale maggioritario secco, rappresenta una evidente strozzatura della rappresentanza: Il Regno Unito possiede un parlamento bicamerale (Camera dei Lord e Camera dei Comuni) e la ‘posta in palio’ è rappresentata dai 650 seggi nella Camera dei Comuni e, dal momento che vige un sistema elettorale uninominale, ogni circoscrizione delle 650 in cui il territorio di Sua Maestà è diviso in collegi e ognuno elegge il proprio deputato (uno) da mandare alla Camera dei Comuni.

Tale meccanismo impone che il partito vincente debba ottenere 326 seggi per raggiungere la maggioranza in Parlamento e le circoscrizioni elettorali sono così divise: 523 in Inghilterra, 59 in Scozia, 40 in Galles, 18 in Irlanda del Nord; non esistono soglie di sbarramento, in ogni collegio i partiti presentano un solo candidato e ne viene eletto uno che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti.

L’italianizzazione della politica britannica

In realtà, a seguito delle ultime elezioni in UK (quelle del 2015), si è parlato di ‘italianizzazione’. L’UKIP, il partito di cui Farage era segretario fino al momento della ‘Brexit’, infatti, prese un solo seggio ma ottenne il 12,6% dei voti. La sperequazione del rapporto fra percentuale ottenuta e i rappresentanti eletti è dietro l’angolo anche per l’Italia, qualora il ‘Rosatellum 2.0’ dovesse essere approvato.

Tanto per fare un esempio, la giornalista e blogger Caitlin Milazzo, l’8 maggio 2015, all’indomani dei risultati delle elezioni in UK, twittava: Ukip takes one seat, but our final Ukip map shows a lot of purple. pic.twitter.com/Fn7d756TCE – Caitlin Milazzo (@CaitlinMilazzo) 8 maggio 2015. «Ukip takes one seat, but our final Ukip map shows a lot of purple», ovvero «Ukip prende un solo seggio, ma la nostra mappa finale dei voti dell’Ukip mostra molta porpora», dove il colore menzionato sta a significare la presenza e la percentuale raggiunta dal partito della destra inglese nella cartina.

Non parteggio, né ora né ieri per l’UKIP, tuttavia il sistema britannico uninominale iniziò a mostrare delle evidenti crepe che già – per la verità – potevano essere riscontrabili nel conteggio dei parlamentari nella Camera dei Comuni ponendo a confronto le elezioni del 2010 e quelle del 2015: il partito Conservatore di David Cameron, nonostante guadagnasse poco più dello 0,8%, si vide aumentare i seggi da 307 a 331 mentre i laburisti, sebbene avessero incrementato la propria percentuale di uno 0,4%, si videro riminuire le unità di rappresentanti da 258 a 232.

La rappresentanza è sempre più ‘cosa loro’, l’elitarietà della partecipazione democratica sta avendo un’ascesa del tutto vertiginosa e il dibattito a riguardo – sia esso giornalistico, sia esso politico – deve essere sempre più incardinato fra il maggioritario con sbarramento alto o il maggioritario con sbarramento basso. Tertium non datur.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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