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Noel Gallagher, Chasing Yesterday recensione

Il secondo disco di Noel Gallagher rappresenta tutto quello che ci si aspettava da uno come lui che, con classe, sperimenta poco ma lo fa con un'intelligenza, cercando un passato nascosto nel futuro.

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Il secondo disco però è sempre il più difficile. Non solo perché ammucchi dietro di te quello di buono e di cattivo che hai seminato, ma perché ti avventuri anche in un futuro di probabilità da cui non riesci facilmente ad uscirne. Chasing Yesterday è un mare di strade aperte da cui prendere un unico indirizzo sembra quasi impossibile, forse perché dentro c’è davvero tutto quello che Noel Gallagher sa fare e questo ha sempre portato a dischi che nella loro interezza hanno saputo avere una sostanza.

Le canzoni ci sono, le promesse anche, subito a partire dalla prima traccia, Riverman, la cui delicatezza sembra introdurre in nuovo capitolo della vena acustica noeliana, sulla falsariga del precedente album, con arie oniriche inframmezzate da fiati e tracce di chitarra evanescente che creano un’atmosfera di una solennità sinceramente evitabile. La solita strada è quella presa da The Girl With X-Ray Eyes che riesce a sostenere il peso di un terzo brano in un album fatto per essere molto di più. Lock All The Doors è invece un salto indietro di vent’anni, una traccia sulla cui introduzione si può benissimo cantare una reprise di Morning Glory, con un cimento forsennato nel riprendere storie ormai sepolte da far saltare sulla sedia.

Gli Oasis sono qui, nel quarto brano, respirano e vivono in 3 minuti e 50 di goliardico revival che nessun reduce di quegli anni ha saputo finora riproporre con il solito orgoglio e la medesima metodica improvvisazione. Un mondo diverso, estremamente condizionato da ascolti di easy listening e letture lisergiche – se ce ne sono state – è invece The Right Stuff, da prendere come un regalo di eccessiva maniera in cui chitarre piangono sostenute da un giro di basso ormai noto in cui tornano i fiati a creare un cortometraggio quasi nebbioso distante anni luce dal resto dell’album. While The Song Remains The Same è un’increspatura spumosa sopra il mare di tranquillità accennato dal brano precedente, si muove, si sostanzia in un crescendo di chitarre che si innalzano a creare un’onda del tutto inattesa. Dopo il passaggio granitico di The Mexican (un climax ammiccante con suoni bluesy e ancora fiati a rimestare l’atmosfera) l’arrivo è di nuovo ad una traccia che riprende i fasti del brit pop, li scardina e li rende il più attuali possibile. You Know We Can’t Go Back, a dirla tutta, potrebbe essere almeno una delle tante b-side degli anni di Heaten Chemistry, ben definita nella sua gracile interezza, ma piacevole e costruita su una base conosciuta ai più e impossibile da non amare nella sua fiera consistenza. The Ballad Of The Mighty I, gemella di Heat Of The Moment, figlia di What A Life, chiude il disco nel miglior modo possibile, malinconica ma forte abbastanza nel tirare fuori i denti nel momento del bisogno, nella chiusura di un’esperienza dai toni velati e quasi dimessi che salgono scientemente in un climax finale.

Chasing Yesterday, al di là dell’esegesi oasisiana possibile e scongiurabile, si apre una strada dagli sfondi già noti senza i quali nessuna mossa sarebbe possibile, con i colori che anni vengono dipinti su personaggi che conosciamo e siamo certi di capire. Noel non ha bisogno di dimostrare niente di più di quello che è e in questo disco ci ha provato, sardonicamente, lasciando intendere ad un fedele ascoltatore che nei fiati e negli assoli più costruiti e meno immediati dei precedenti che il gioco è proprio quello di far capire che è la accanto a Weller e Johnny Marr, con tutto quello che ne comporta.

Se volete davvero vederlo, Noel Gallagher, ascoltate Lock All The Doors ed immaginatelo seduto al bancone di un pub mentre sorride di lato bevendo una birra alla vostra salute, perché è quello che forse starà davvero facendo, guardando da lontano l’ennesima cover band degli Oasis soccombere sotto il suono di Morning Glory.

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